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L’uomo dai mille volti: l’intramontabile Alec Guinnes, protagonista de “Il Ponte sul fiume Kwai”

Un film che resterà per sempre nella storia della cinematografia mondiale, diretto da David Lean, con uno straordinario Alec Guinness. Anzi Sir Alec Guinnes, nei panni del colonnello inglese Nicholson di stanza con il suo reggimento in Birmania. Ed è proprio in terra asiatica che obbedendo ad un ordine superiore alza bandiera bianca lui e i suoi uomini cadendo in mano dei giapponesi. Viene trasferito in un campo di prigionia sperduto nella giungla sotto il comanda del colonnello nipponico Saito che tra le altre cose ha molte beghe a cui pensare, primo fra tutti l’ordine di costruire, in tempi brevi, un ponte sul fiume Kwai. In mancanza di braccia Saito punta a far lavorare forzatamente non solo i soldati inglesi prigionieri, ma anche gli ufficiali. Un’intenzione a cui si oppone Nicholson. Tra i due colonnelli scoppia un conflitto e il giapponese non risparmierà nulla, neanche le più disumane punizioni e misure di coercizione per “piegare” Nicholson. Ma il britannico riesce a resistere perché ritiene suo obbligo morale dare l’esempio ai suoi uomini. Saito cambia tattica e chiede a Nicholson la sua collaborazione per la costruzione del ponte. Nicholson approfitterà della circostanza per dimostrare ai giapponesi la superiorità degli inglesi anche nella costruzione di ponti. Così, grazie alla sua grande empatia e capacità di leadership tra i suoi soldati li coinvolge a tal punto da far “scendere in campo” persino i militari ricoverati in infermeria. Nicholson è tenacia e il suo gesto parte dall’impegno di compiere uno sforzo elevato ed eroico. Fa apporre una targa in legno a testimoniare nel tempo gli autori dell’opera dell’ingegneria inglese. E’ così preso dalla riuscita del lavoro che non si rende conto di collaborare coi nemici in un’opera che giova soltanto ai loro interessi. Infatti il giorno dell’inaugurazione arriva una pattuglia d’assalto inglese – guidata da un prigioniero americano che era riuscito a fuggire e conosceva quindi il territorio – con l’ordine di far saltare il ponte per impedire il transito di truppe e materiali nemici. Nicholson, nella sua infatuazione, tenta d’impedire la distruzione della sua opera ma nulla può più fare e cade ucciso, mentre il ponte, minato dagli incursori, salta in aria.

Un film, che venne premiato con 7 Oscar reso ancor più famoso per una marcetta “fischiettata” che entrerà nella storia delle colonne sonore cinematografiche. Il luogo che venne reso famoso dal film è veramente esistito e venne davvero colpito dagli attacchi aerei degli Alleati tra il 1944 e il 1945. Era un passaggio chiave della “Ferrovia della Morte” che collegava la Thailandia con il Myanmar. Venne costruito per attivare una linea di collegamento per le truppe giapponesi. La struttura fu completata ma a lasciarci la vita furono tantissimi prigionieri di guerra e civili del luogo costretti ai lavori coatti. La ferrovia non venne utilizzata moltissimo. Anzi, il percorso di collegamento venne distrutto dai britannici. Oggi è possibile visitare il ponte a piedi oppure a bordo di un treno che attraversa quasi 80 chilometri. Ogni anno si celebra il Bridge Festival tra le fine novembre e i primi di dicembre ricco di luci, di suoni e di spettacoli, ma con il pensiero e l’omaggio ai caduti di una guerra assurda. Il film, uscito nel 1957, è tratto dal libro di Pierre Boulle, scrittore, sceneggiatore, militare ed ex agente segreto. Boulle utilizzò le sue esperienze di guerra per scrivere Le Pont de la rivière Kwaï (1952). Il libro era una storia semi-immaginaria basata sulla reale situazione dei prigionieri di guerra alleati costretti a costruire una ferrovia di 415 km che passava sopra il ponte e che divenne nota proprio con il nome di ” Ferrovia della Morte “. Durante la costruzione della linea morirono 16.000 prigionieri e 100.000 coscritti asiatici.

Allo scoppio della seconda guerra mondiale, Boulle si arruolò nell’esercito francese in Indocina. Dopo che le truppe tedesche occuparono la Francia, si unì alla Missione della Francia Libera a Singapore . Durante la guerra fu sostenitore di Charles de Gaulle. Boulle prestò servizio come agente segreto sotto il nome di Peter John Rule e aiutò il movimento di resistenza in Cina, Birmania e Indocina francese .

E’ però il protagonista del film, Alec Guinness, quello che a Hollywood avevano soprannominato “l’uomo dai mille volti” a fare la differenza in questo kolossal che non è solo un film di guerra, ma anche un . Nato a Londra, nel quartiere di Marylebone, Guinnes ha un’infanzia difficile. Per qualche tempo lavora anche come redattore, prima di decidere di fare l’attore. Nel 1934 entra nella compagnia shakespeariana di John Gielgud. Durante la guerra si arruola in marina. Nel 1946 debutta nel cinema con “Grandi speranze” cui seguono, nel corso degli anni, altri 70 titoli. Guinness ha il pregio di sapersi adattare con estrema naturalezza a ruoli diversi. Nel film “Sangue blu” (1949) di Robert Hamer riesce nell’impresa di interpretare otto ruoli differenti (uno dei quali da donna), da cui nasce il suo l’appellativo di “Uomo dai mille volti”. Nel corso della sua carriera è anche il nevrotico soldato scozzese in “Whisky e gloria” (1960) di Ronald Neame, il pasticcione del “Nostro agente all’Avana” (1959) di Carol Reed, il cardinale Mindszenty nel “Prigioniero” (1955) di Peter Glenville, Carlo I in “Cromwell” (19699 di Ken Hughes e nonno Fauntleroy in “Il piccolo lord” (1980) di Jack Gold. Per la tv è il protagonista della serie “La talpa”, tratta dalla spy story di John Le Carrè. La sua massima fortuna arriva grazie alla collaborazione con il regista David Lean. Sotto la sua guida vince un Oscar con “Il ponte sul fiume Kwai” (1957). Interpreta anche “Lawrence d’Arabia” (1962), “Il dottor Zivago” (1965) e “Passaggio in India” (1984). Nel 1958 vince la Coppa Volpi come miglior attore a Venezia con “La bocca della verità” di cui aveva anche scritto la sceneggiatura. Quando è già un attore affermato, a metà degli anni Settanta, decide di rimettersi in gioco interpretando, con la regia di George Lucas, il cavaliere Jedi Obi-Wan Kenobi nella trilogia di “Guerre Stellari”. Un ruolo non troppo amato che, però, gli dà grande popolarità fra i giovani oltre ad un cospicuo guadagno del 2,5% netto sugli incassi del film. Lavora anche per il cinema italiano: nel 1972 è Innocenzo III in “Fratello Sole, Sorella Luna” di Franco Zeffirelli. Nel 1973 gira con Ennio De Concini “Gli ultimi dieci giorni di Hitler”. Insignito nel 1994 del titolo di ‘Sir’ dalla Regina Elisabetta, nel 1980 vince il suo secondo premio Oscar, questa volta alla carriera (Fonte: Cinematografo.it)

Berni Pozzo Dal Negro