Giorni di Storia

date, nomi, avvenimenti che raccontano il '900

ArchivioHistory FilesIn Primo PianoNomi

Juan Pelleschi, l’ingegnere italiano che amò così tanto l’Argentina (1845-1922)

Nel febbraio di cento anni orsono, a poco meno di quattro anni dalla fine della “Grande Guerra”, che il maturo professionista toscano aveva combattuto in difesa della sua amatissima Patria d’origine, si spegneva a Buenos Aires il noto Ingegnere Giovanni Pelleschi, un patriota a tutto tondo, un uomo di scienza e di cultura che avrebbe contribuito – e non poco – a rendere più grande l’Argentina, la sua seconda Patria. Si, proprio quel grande e ospitale Paese Sudamericano presso il quale egli aveva avuto la possibilità di intraprendere una nuova e più affascinante vita, peraltro degna di grandi soddisfazioni e di tappe decisive, come cercherò di documentare attraverso queste modestissime pagine, rivolte sia ai lettori Italiani che a quelli Argentini, gli stessi che ormai a migliaia seguono con attenzione questo importante portale storico.

Le origini e la vita in Italia (1845 – 1874).

Giovanni Pelleschi nacque a Follonica (Grosseto), allora di pertinenza del Granducato di Toscana, il 9 dicembre del 1845, da Francesco Nicola, Ingegnere e amministratore dei beni Statali in Maremma, nonché direttore delle miniere locali, e da Eufemia Taruffi, membri di un’agiata famiglia originaria di Bastia di Empoli (Firenze). Educato  sin da ragazzo al culto dello studio frequentò, nonostante la morte del padre (1858) e per incitamento della madre i corsi di Filosofia e Lettere presso le Scuole Pie di Firenze, per poi proseguirli con quelli di Meccanica e Costruzioni presso il Regio Istituto Tecnico, ove conseguì il titolo di Perito. Nel 1866, poco più che ventenne, fu mobilitato nel Regio Esercito Italiano, prendendo così parte alla 3^ Guerra d’Indipendenza. Di lì a qualche mese si sarebbe unito in matrimonio con la signorina Giacinta Assunta Boni, dalla quale ebbe la prima figlia, Cesira, nata nel 1867. In seguito si laureò in Ingegneria presso la Regia Università degli Studi di Bologna. Tra il 1870 e il 1873 svolse la professione di Ingegnere, occupandosi di strade e opere idrauliche, settori nei quali si distinse per <<splendide prove di insolito ingegno>>, come ebbe a ricordare in alcuni suoi scritti l’ingegnere Giovanni Morandini, il quale lo ebbe collaboratore presso il proprio Studio Tecnico per un certo periodo.

La svolta Argentina (1873 – 1922).

Ricordi della missione nel Chaco – foto di Giovanni Pelleschi

Anche se qualche storico ha ipotizzato che l’Ing. Pelleschi possa essersi trasferito in Argentina attorno al 1874, in realtà la data esatta dovrebbe essere quella del 1873, anno in cui lo troviamo assunto presso il Dipartimento Nazionale delle Opere Pubbliche, in Buenos Aires, allora sotto la direzione dell’ingegnere italiano Pompeo Moneta[1]. In tale ambito si occupò di alcuni lavori pubblici, come ad esempio, la prima triangolazione del territorio nazionale, ma anche alla costruzione di ponti, ferrovie e strade, la più celebre delle quali fu certamente la mulattiera che avrebbe collegato le località di Andalgalà (Catamarca) con la provincia di Tucumán, attraversando il massiccio dell’Aconquija. Tra il 1875 e il 1876 il Pelleschi lavorò, quindi, alla realizzazione di ben 547 km. di linea ferroviaria che avrebbero unito le città di Córdoba e Tucumán, certamente il tratto più lungo costruito nel Paese Sudamericano e il primo di proprietà del Governo nazionale, tratto che verrà inaugurato nel maggio 1877 dal presidente Nicolás Avellaneda. Nel frattempo – era il 1876 – l’Ingegner Pelleschi, deciso ormai a rimanere per sempre in Argentina, si era fatto raggiungere dalla moglie Giacinta Assunta, la quale partì alla volta del Rio de la Plata con le due figlie, Cesira e Eufemia, quest’ultima purtroppo morta durante l’attraversamento dell’Oceano. Ciò che in verità lo avrebbe reso celebre, e non solo in Argentina, fu l’incarico che il professionista toscano ricevette nel corso dello stesso anno 1877, vale a dire quella di guidare una spedizione nel Chaco, onde studiare il corso del fiume Bermejo[2] e valutarne la navigabilità, ma soprattutto al fine di preparare la colonizzazione di quel territorio. Si imbarcò a giugno, con una scorta di sei soldati e cinque baqueanos[3]. Dopo 70 giorni di navigazione e più di 1.000 km. percorsi, la spedizione fu persino attaccata dai locali a colpi di armi da fuoco, tanto che un proiettile sfiorò alla schiena lo stesso Pelleschi. Dopo aver attraversato ampi territori, visitando le località di Colonia Rivadavia, OránTucumánCatamarca e Mendoza, la spedizione fece ritorno a Buenos Aires all’inizio del 1878, portando seco anche non poche lastre fotografiche realizzate dallo stesso Ingegnere di Follonica.

Foto di un villagio di Matacos realizzata dal Pelleschi

La sua celebrità riconosciuta a livello internazionale scaturì, tuttavia, grazie alla stampa, avvenuta a Firenze nel 1881 (per i tipi dell’Arte della Stampa), del libro “Viaggio lungo il fiume vermiglio (Rio Bermejo) di Giovanni Pelleschi, Mendoza, Tucuman”[4], nel quale molto spazio fu dedicato ad informazioni etnografiche e naturalistiche, cui fece seguito, nel 1897, il testo “Los Indios Matacos y su Lengua“, realizzato assieme al religioso Padre Joaquin Remedi e pubblicato a Buenos Aires. Nel 1878 fu nominato Ispettore tecnico delle Ferrovie Central Argentino, Central Norte e Andino, lavorando così a Rosario, Villa María (Córdoba), Río IV, Córdoba e Tucumán. Nel 1881 gli fu commissionato lo studio della linea da Metan a Salta e Jujuy, mentre nel 1882 <<…la possibilità di un tracciato nel prolungamento della FCC Norte che eviti il ​​tunnel e il viadotto attualmente in costruzione>>. In quello stesso contesto l’Ingegnere fu al centro di una polemica riguardo all’opportunità di far passare per Jujuy la ferrovia internazionale per la Bolivia, laddove la sua disinteressata difesa gli valse l’appoggio di editori e Governatori locali, che di lui avevano gran stima. La sua presenza in Argentina fu caratterizzata da un grande dinamismo, che spesso sfociò in mille iniziative, anche in campo imprenditoriale, come lo fu l’essersi associato con i noti Church e Mackinlay, con i quali fondò la “Ferrocarril Villa María”, a Rufino (Santa Fe), finalizzata alla costruzione della già citata rete ferroviaria nella provincia di Córdoba. Questa linea – è doveroso ricordarlo – fu quella che avrebbe reso possibile lo sviluppo economico di quell’area, dando sfogo alla creazione di numerose colonie agricole, presso le quali avrebbero ben presto trovato lavoro non pochi immigrati provenienti dalla stessa Italia. Lungo il percorso ferroviario l’Ing. Pelleschi, nel frattempo raggiunto attorno al 1889 – e poi fattivamente coadiuvato – dal fratello Pietro, anche lui Ingegnere,  costruì anche alcune importanti Stazioni, alle quali volle dare i seguenti nomi: Ausonia (antico nome dell’Italia), Etruria (antico nome della sua regione), Santa Eufemia (sua madre e sua figlia), Assunta (sua moglie) e La Cesira (sua figlia). La linea ferroviaria, interamente progettata e condotta a termine dallo stesso Pelleschi, fu completata nel 1891, dopo circa diciotto mesi di lavoro intenso, e la sua fama raggiunse anche l’Italia, tanto da essere divulgata dalle principali riviste tecniche dell’epoca. Da una di esse apprendiamo, in particolare, che la tratta aveva lo scopo di collegare le ferrovie del Centro con quelle del Nord dell’Argentina, per un’estensione di circa 226.500 chilometri. Come ricordò la testata giornalistica: <<Col suo prolungamento fino a Bahia Blanca sarà la grande ferrovia centrale del Paese che va dall’Atlantico al Nord […]. Essa ferrovia è la prima che ha introdotto i vagoni tubolari nord-americani che, con un peso proprio di sole 8 tonnellate, ne portano altre trenta>>[5].

L’Ing. Pelleschi primo da sx al Padiglione Argentino assieme a Re Vittorio Emanuele III

La sua poliedricità lo portò ad occuparsi di varie iniziative, così come a ricoprire posti di elevato prestigio, soprattutto nell’ambito della folta Comunità Italiana stanziata in Argentina. I suoi biografi ci ricordano che il Pelleschi fu per sei anni Presidente  dell’Ospedale Italiano di Buenos Aires (1902-1908), per il quale fu ideatore di importanti iniziative assieme al mecenate Josè Devoto, ma anche uno dei più validi collaboratori del celebre quotidiano “La Nación”, così come membro del celebre “Instituto Geografico Argentino”, della “Junta de Historia y Numismatica Americana”  e della “Società Scientifica Argentina“. Considerato fra gli Italo-Argentini più in vista agli inizia del Novecento, ottenne da Re Vittorio Emanuele III la Croce di Cavaliere dell’Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro, nel 1905, seguita, nel 1912, da quella di Commendatore dell’Ordine della Corona d’Italia. Fra le tappe più significative della sua vita troviamo, poi, la nomina, nel 1909, a Commissario Generale per l’Esposizione Internazionale dei Trasporti, che si sarebbe tenuta nel 1910 a Buenos Aires, in occasione delle celebrazioni del centenario della celebre “Revolución de Mayo”, che il professionista accettò, rinunciando al relativo compenso. In verità, ciò che lo rese davvero “unico” al cospetto delle due Patrie fu l’incredibile sua scelta di tornare in Italia allo scoppio della 1^ Guerra Mondiale, non prima di aver presieduto, nella stessa Buenos Aires, la Commissione Direttiva della “Società di Padronato” che avrebbe gestito il rimpatrio in Italia dei volontari combattenti. Aveva quasi 70 anni quando nel febbraio del 1916 lasciò Buenos Aires per arruolarsi volontario.

Già il 9 marzo di quel tragico anno l’Ing. Pelleschi avrebbe vestito i panni di soldato nel 35° Reggimento Fanteria e, in seguito, di Maggiore del Corpo Ingegneri dello stesso Regio Esercito Italiano, destinato ai servizi del Genio presso lo Stato Maggiore Generale, allora acquartierato a Udine[6]. Al periodo della “Grande Guerra” è poi legata un’altra sua importante iniziativa, la creazione della c.d. “Fondazione Comm. Giovanni Pelleschi”, eretta in Ente Morale don Decreto Luogotenenziale del 16 dicembre 1917, n. 2104, la quale ebbe lo scopo di erogare una rendita annua per due premi da elargire ad altrettanti militari del suo Reggimento, il 35° Fanteria, distintisi per atti di valore e di disciplina[7].Terminato il conflitto mondiale, Giovanni Pelleschi fece ritorno nella sua amata Buenos Aires, ove purtroppo non ebbe la gioia di riabbracciare la moglie, Giacinta Assunta, morta il 20 febbraio dello stesso 1918, l’anno della Vittoria. Nella Capitale porteña, nella casa di Calle Alsina, 319, il celebre Ingegnere toscano si sarebbe spento di lì a qualche anno, esattamente il 6 febbraio del 1922, all’età di settantasette anni. Nel corso del 1927, per assolvere ad un suo desiderio, la famiglia ne traslò il corpo in Italia, ove tali resti furono inumati nella tomba di famiglia, presso il cimitero di Bastia di Empoli, vicino a Ponte a Elsa, che come si comprende è un luogo lontanissimo da Buenos Aires, la città che sicuramente lo avrebbe onorato molto di più. Si parliamo proprio di quella Patria Argentina che con tantissimo affetto lo aveva accolto alcuni decenni prima, facendolo assurgere fra i principali protagonisti di quel progresso scientifico, tecnologico e culturale, proprio di un Paese moderno e civile che vi si era dedicato anima e corpo sin dal lontano 1862, allorquando la Repubblica Argentina voluta da Bartolomé Mitre – purtroppo anche col sangue versato da tanti patrioti – fu un atto concreto e indispensabile.

Col. (A) Gerardo Severino
Storico Militare

[1] Cfr. Dionisio Petriella e Sara Sosa Miatello, Diccionario Biografico Italo-Argentino, Buenos Aires, Società Dante Alighieri, 1976, p.524.

[2] Questo fiume totalmente sconosciuto era allora abitato per 4/5 da tribù nomadi e guerriere, come i Toba e i Matacos, serpeggiando per circa 2.000 km.

[3] Termine Sudamericano usato per designare una persona che conosce le strade e le scorciatoie di un pezzo di terra, le sue caratteristiche fisiche e la lingua ei costumi della sua popolazione, a cui abitualmente appartiene.

[4] Il resoconto del viaggio di esplorazione nel Gran Chaco argentino e lungo il Rio Bermejo era stato già pubblicato parzialmente su due giornali italiani di Buenos Aires, l'”Operaio italiano” e la “Patria“.

 

[5] Cfr. corrispondenza dal titolo “Ferrovie Argentine”, in <<Monitore delle Strade Ferrate>>, n. 13 del 28 marzo 1891, p. 204.

[6] Cfr. Petriella e Sosa Miatello, op. cit., p. 525.

[7] La Fondazione ricevette un Capitale nominale di £. 3000, di cui £. 2000 in buoni novennali del Tesoro e £. 1000 di rendita al 3,50 %, custodito nella Cassa di riserva dello stesso Reggimento. Cfr. “Fondazioni ed Enti a Carattere Militare”, in <<Annuario Ufficiale delle Forze Armate del Regno d’Italia – anno 1942>>, vol. 1, Roma, Istituto Poligrafico dello Stato, 1942, p.52.