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31 gennaio 1944: l’uccisione di Mariano Buratti, eroe della Resistenza

Ricorre quest’anno (esattamente il 31 di gennaio) l’80 anniversario della morte di uno fra gli Eroi più puri della Resistenza e della Guerra di Liberazione, il Professor Mariano Buratti, un insigne studioso di Filosofia, un educatore di rara efficacia, il quale, come molti esponenti del mondo della Scuola, dopo l’8 settembre 1943, mentre ricopriva il grado di Brigadiere richiamato della Guardia di Finanza, decise di brandire le armi per affrancare il suo Paese dalla tracotanza nazista. Durante la sua esistenza, infatti, egli militò, anche se per poco tempo, nel Corpo, congedandosi con il grado di Sotto Brigadiere. Rimise l’uniforme dei finanzieri altre due volte, nel 1941 e nel 1943, allorquando fu richiamato alle armi, per le esigenze legate alla mobilitazione militare. E fu proprio mentre si trovava in forza alla 9^ Legione di Roma che il suo destino trovò l’epilogo. Esponente di spicco del Partito d’Azione, il Brigadiere Buratti si coprirà di gloria in molte azioni patriottiche organizzate dalla Resistenza romana e viterbese. Sarà quindi arrestato su delazione, sopporterà le torture del magg. Kappler a via Tasso e, infine, vedrà porre fine ai suoi giorni all’alba di un freddissimo 31 gennaio del 1944, sotto i colpi di mitra del plotone d’esecuzione.

Mariano Buratti, un Eroe d’altri tempi (1902 – 1944)

Anche se, per puro caso, nell’albo delle Medaglie d’Oro al Valor Militare, il suo nome precede quello di un altro Eroe della Guardia di Finanza, il Tenente Attilio Corrubia, il Brigadiere Buratti è certamente una figura molto più complessa rispetto agli altri Eroi con le “Fiamme Gialle”. La sua personalità fu così ricca d’elementi, ma soprattutto dotata di una forte intensità emotiva, fattori, questi, che ci hanno indotto a tracciarne un percorso biografico con il quale ricordarlo in occasione del citato anniversario. Il presente scritto, in ogni modo, non deve ritenersi soltanto un contributo storiografico, ma un percorso attraverso il quale si cercherà di far conoscere ai giovani una “Fiamma Gialla” di rare virtù. Nato il 15 gennaio 1902 a Bassano di Sutri (VT), il Buratti, dopo aver conseguito la licenza ginnasiale, fu chiamato alle armi ed inviato al Battaglione Radiotelegrafisti di Roma. Ammesso a frequentare il Corso Allievi Ufficiali di Complemento, fu assegnato al 26° Reggimento Fanteria “Bergamo”, di stanza a Piacenza. Qui vi prestò il “servizio di prima nomina” nella 4^ Compagnia “Mitraglieri” del I Battaglione. Collocato in congedo illimitato il 7 novembre 1923, dopo aver prestato “servizio straordinario” nel presidio della città di Fiume, egli fece ritorno a Bassano di Sutri. Il 12 giugno 1924 fu ammesso al corso Allievi Guardie di Finanza, destinato al Battaglione di Maddaloni. Essendogli stati riconosciuti i benefici derivategli dal grado di ufficiale, fu promosso “Sotto Brigadiere”, destinato alla Legione Territoriale di Trieste, Compagnia di Bisterza. Da qui raggiunse, in seguito, il Distaccamento di “Quota 909”, la Brigata volante di Bisterza, la Brigata di Dolina dei Noccioli, la Brigata di Sezza e la Brigata di Struggano. Il 1° agosto 1926, Buratti fu trasferito a Maddaloni, in qualità di istruttore delle reclute. Vi rimase fino al 1° dicembre, allorquando fece ritorno a Trieste. Il suo ultimo reparto fu la Brigata di Ronchi dei Legionari, in provincia di Gorizia. Il 12 giugno 1927, allo scadere della ferma triennale, il sottobrigadiere fu posto in congedo illimitato, assegnato al Centro di Mobilitazione della Legione R. G. F. di Roma.

Entrato a far parte del mondo della scuola, il 27 maggio 1930, Buratti, che nel frattempo aveva messo su famiglia, si trasferì a Marino, in provincia di Roma. Tre anni dopo, la sua vita viene sconvolta dalla morte della giovane moglie Cristina e della bambina che la stessa aveva in grembo. Sconvolto dal nuovo e più terribile evento (già in precedenza aveva perso la figlioletta Magda), il maestro Buratti chiese ed ottenne il trasferimento a Roma, assegnato alla scuola elementare “Ferrante Aporti”. Nel 1936, ancora sconvolto dagli eventi, il Buratti preferì arruolarsi nella Milizia Volontaria Sicurezza Nazionale, pur di partecipare alla guerra Italo-Etiopica. Rientrato in Patria nel 1937, si unì nuovamente in matrimonio, riprendendo così l’insegnamento, gli studi universitari, ma soprattutto quelli letterari, pubblicando vari articoli su riviste e giornali. Nel giugno del 1941, si laureò in Pedagogia presso la Facoltà di Magistero dell’Università di Roma, superando di lì a poco il concorso per la cattedra di Storia e Filosofia nei corsi A e B del Regio Liceo Ginnasio “Umberto I” di Viterbo, lo stesso che oggi porta con orgoglio il suo nome. In pari tempo, il Prof. Buratti fu richiamato alle armi da parte della 9^ Legione G.di F. di Roma, in qualità di Brigadiere. A causa di una malattia tropicale, fu però inviato in licenza illimitata a decorrere dal 25 settembre dello stesso ’41. Richiamato ancora una volta il 12 febbraio del ‘42, il sottufficiale fu inviato nuovamente in congedo, anche se comunque a disposizione del Centro di Mobilitazione della R. G. F. di Roma. Il 26 marzo, la moglie Maria Luisa gli regalò il piccolo Enzo Maria, nascita che finalmente gli restituirà la gioia di vivere.

Durante l’estate 1943, in relazione alla crisi militare e politica venutasi a creare in seguito allo sbarco degli anglo-americani in Sicilia, il Brigadiere fu nuovamente richiamato in servizio ed assegnato alla Compagnia di Viterbo, ove prestò qualche mese di servizio. Da quel momento e fino all’8 settembre 1943 il passo fu veramente breve. Il Buratti, che seguendo il suo maestro De Ruggero, aveva aderito al Partito d’Azione ed ai Gruppi di Ricostruzione Liberale, trovandosi nuovamente in convalescenza (e quindi giustificato dal punto di vista del servizio militare), decise di darsi alla macchia. Dopo aver organizzato a proprie spese, in San Martino al Cimino, una banda armata, iniziò a lottare contro gli occupanti tedeschi, seguito in questa nuova impresa anche dalla moglie e dal figlioletto. Verso la fine di novembre ’43, la banda si spostò in direzione del Lago di Vico, accampandosi sotto il Monte Venere, ove portò a compimento numerose ed importanti azioni. La “Banda del Cimino”, entrata a far parte del raggruppamento “Monte Soratte”, fu molto efficiente e soprattutto molto temuta per via degli atti di sabotaggio, delle imboscate e del “cecchinaggio” dei quali si rese protagonista, godendo della complicità dei finanzieri dell’organizzazione partigiana “Fiamme Gialle”, capeggiata dal Generale Filippo Crimi. Fra questi anche i partigiani, per lo più militari sbandati, del cap. Salvatore Scibetta.

Per le importanti azioni compiute in campo aperto, la banda fu più volte elogiata dal Comandante in Capo delle Forze Alleate operanti in Italia, il generale Alexander. All’alba del 12 dicembre 1943, mentre si apprestava a far ritorno a Viterbo, il Buratti ed altri due patrioti furono bloccati nel piazzale di Ponte Milvio da un reparto di SS. Inizialmente tradotti nelle carceri di “Regina Coeli”, dopo alcuni giorni, i malcapitati furono invece portati nella famigerata “Casa degli Orrori” di via Tasso 155, sede dell’SD, la brutale polizia politica del magg. Herbert Kappler. Qui Buratti fu torturato e seviziato allo scopo di estorcergli i nomi dei suoi complici e dei luoghi ove essi si nascondevano. Nonostante la durezza delle sevizie, il nostro brigadiere non negò le proprie responsabilità, né tanto meno tradì i suoi amici. Compagno di cella del dottor Caggegi e di altri patrioti che di lui daranno ampie testimonianze, il nostro Eroe rimase a via Tasso fino all’alba del 31 gennaio 1944, allorquando, assieme ad altri tre sventurati, montò su di una camionetta militare che di lì a poco li condurrà al Forte di Bravetta. Fu così che in quella fredda mattina (nove giorni dopo lo sbarco degli Alleati ad Anzio), il Professore Buratti – il nostro Brigadiere Buratti – assieme ad altri otto sventurati, fu fucilato da un plotone d’esecuzione.

Una vecchia fotografia di Forte Bravetta dove venne ucciso il Brigadiere Buratti

Dalle testimonianze del cappellano che aveva assistito i condannati, emerge che prima che i mitra si facessero sentire, Buratti, seduto su di una sedia e con le mani legate dietro il dorso, gridò per primo, ed invitò gli altri compagni a fare altrettanto, la nobilissima frase: “Viva l’Italia”, l’ultima di una vita terrena così ricca e travagliata come la sua. I gloriosi resti del brigadiere Buratti riposano oggi nel sepolcro monumentale, eretto all’interno del Cimitero del Verano, in ricordo di tutti i martiri fucilati nelle varie località romane durante i nove mesi d’occupazione tedesca. L’esempio di virtù e di coraggio offerto dal Brigadiere Mariano Buratti, gli valsero la Medaglia d’Oro al Valor Militare, concessa dal Principe ereditario Umberto di Savoia (con decreto luogotenenziale in data 25 febbraio) “motu proprio” alla memoria. Quella che segue ne è la struggente motivazione, con la quale concludiamo questo modesto contributo: <<Nobilissima tempra di patriota, valente ed appassionato educatore di spiriti e di intelletti. Raccoglieva intorno a sé, tra i monti del Viterbese, un primo nucleo di combattenti dal quale dovevano sorgere poi valorose formazioni partigiane. Primo fra i primi nelle imprese più rischiose, animando con l’esempio e la parola i suoi compagni di lotta, infliggeva perdite al nemico e riusciva ad abbattere un aereo avversario. Arrestato in seguito a vile delazione, dopo aver sopportato, con la fierezza dei forti e col silenzio dei martiri, indicibili torture, veniva barbaramente trucidato dai suoi aguzzini. Esempio purissimo di sublime amor di Patria. Monti del Viterbese / Roma, 15 settembre 1943 – 31 gennaio 1944>>.

Col. (a) Gerardo Severino
Storico Militare