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17 aprile 1970. Apollo 13. La storia di un “fallimento di successo”

Fu la missione che tenne con il fiato sospeso tutto il mondo. Appena l’anno precedente, il 20 luglio 1969, l’uomo era sbarcato sulla Luna con la missione Apollo 11 di Neil Armstrong, Buzz Aldrin e Michael Collins. L’equipaggio dell’Apollo 13 era composto dal comandante James Lovell Jr, dal pilota del modulo di comando John Swigert Jr. e dal pilota del modulo lunare Fred Haise Jr. Il loro razzo Saturn V venne lanciato lanciato alle 14:13 dell’11 aprile 1970 dal Kennedy Space Center della NASA in Florida. Il modulo di comando si chiamava Odyssey e il modulo lunare si chiamava Aquarius.

Il primo a cambiare i piani di volo fu un bambino di tre anni.  Infatti tre settimane prima del lancio dell’11 aprile l’astronauta Charles Duke, uno dei sostituti, e la sua famiglia avevano passato del tempo con alcuni amici il cui figlio di tre anni aveva avuto la Rosolia. Poiché Duke non aveva avuto la “rosolia” da bambino, gli mancava l’immunità contro il virus e si ammalò. Duke si era allenato insieme agli altri e aveva partecipato alle riunioni con gli altri cinque membri dell’equipaggio fino al venerdì 3 aprile, dunque mentre era ancora contagioso. Così nel corso degli esami fisici dei membri dell’equipaggio, condotti il 6 aprile, i medici raccolsero i campioni di sangue e li analizzarono per riscontrare se qualcuno degli astronauti avesse tutti gli anticorpi contro la rosolia.  Anche se nessuno, tranne Duke, presentava i sintomi della Rosolia, i risultati furono buoni per Lovell e Haise, che con molta probabilità avevano l’immunità alla Rosolia. Non fu la stessa cosa per Thomas “Ken” Mattingly . Anche Young e Swigert dell’equipaggio di riserva erano immuni. Perciò si decise per la sostituzione di Mattingly. Il dottor Charles Berry, direttore della ricerca e delle operazioni mediche presso l’allora Manned Spacecraft Center, ora Johnson Space Center di Houston, era preoccupato che l’esplosione della Rosolia su Mattingly avrebbe potuto compromettere la missione. Il periodo di incubazione del virus sarebbe coinciso con il periodo in cui gli astronauti erano in orbita lunare. A prendere il posto di Mattingly fu il suo sostituto John “Jack” Swigert. I responsabili del programma spaziale “Apollo” avevano dovuto “combattere” con non pochi dubbi e interrogativi che partivano da una riflessione: nessuno voleva correre il rischio che un astronauta si ammalasse durante le fasi delicate di una missione spaziale. Le scelte da fare erano molteplici: o si ritardava il volo di 28 giorni fino alla prossima “finestra” di lancio, ossia nel maggio del 1970, al fine di consentire l’atterraggio nello stesso sito di Fra Mauro con le stesse condizioni di illuminazione. Ma quella restava comunque una proposta costosa. Altra scelta poteva essere quella di far volare l’intero equipaggio di riserva, ma non era una strada percorribile: l’astronauta Duke sarebbe stato ancora sintomatico al momento del lancio. L’unica soluzione, dunque, fu quella di far rimanere a terra Mattingly e far invece volare Swigert al suo posto.

 

(La Nasa ha rilasciato le immagini in alta risoluzione di come i tre astronauti dell’Apollo 13 videro la Luna. Sopra il video postato sull’account YouTube della Nasa)

Un’altra preoccupazione che era emersa era il dubbio che Swigert non si era addestrato direttamente con Lovell e Haise. Il fatto che l’equipaggio avesse l’affiatamento giusto era una delle altre variabili, ma il capo delle operazioni di volo Donald K. “Deke” Slayton concordò sul fatto che Swigert era un membro dell’equipaggio competente e ben integrato e che il modo più sicuro di agire era di mettere a terra Mattingly e far volare Swigert al suo posto.

La fase finale prima del decollo dell’Apollo 13, terza missione di allunaggio sulla Luna prevista nell’area degli “altopiani di Fra Mauro” continuò senza intoppi fino l’11 aprile 1970.

Intorno alle 9.00 dell’11 aprile il capo ufficio supporto degli astronauti Thomas Stafford svegliò l’equipaggio per la tradizionale colazione a base di bistecche e uova. Da lì il trio si trasferì nell’area di “adattamento” in cui i tecnici li aiutarono a indossare le tute spaziali. Poi salirono a bordo del furgone di trasferimento fino alla piattaforma di lancio. Qui salirono sull’ascensore fino al livello di 320 piedi dalla base della torre di lancio. Poi si trasferirono a bordo del loro modulo di comando Odissea, prima Lovell posizionandosi sul seggiolino di sinistra, poi Haise sul seggiolino di destra e infine Swigert per prendere posto al centro. Meno di due ore e mezza prima del decollo, tutti e tre i membri dell’equipaggio erano dentro la capsula e iniziarono i check di controllo pre-lancio. Il decollo avvenne esattamente alle 14:13 di quel giorno, le 19.30 ora europea.

Durante il viaggio verso la Luna, il 13 aprile, si è rotto un serbatoio di ossigeno nel modulo di servizio Apollo. Fu il momento drammatico in cui si decise di annullare la missione. Erano passate circa 55 ore dal lancio della missione e a 321.860 chilometri dalla Terra, il serbatoio 2, uno dei quattro serbatoi di ossigeno del modulo di comando e servizio esplose dopo la richiesta del Controllo missione, fatta all’equipaggio, di miscelare l’ossigeno nei serbatoi per impedirne la stratificazione. All’avvio della miscelazione, i cavi che portavano corrente al miscelatore andarono in corto circuito, creando una scintilla che, nell’ambiente ricco di ossigeno del serbatoio, incendiò l’isolamento del cavo.

L’odissea che tenne il mondo con il fiato sospeso iniziò proprio in quel momento. Tutto diventò più difficile. A terra, al centro operazioni e controllo della missione, la direzione di volo, gli ingegneri, i tecnici e tutti i team di supporto vissero giorni difficili. Gli astronauti in volo invece cercarono di non perdere il controllo nonostante la consapevolezza di essere sotto pressione. Tutto il mondo seguiva con trepidazione i drammatici eventi in televisione. Alla fine si decise che l’unica decisione da prendere per salvare la vita all’equipaggio era quella di far trasferire i tre astronauti nel modulo lunare attraccato al modulo di comando e utilizzato come “scialuppa di salvataggio”. Uno dei problemi principali poi era che il modulo lunare era predisposto per ospitare due persone per due giorni. Invece ci si ritrovava a dover ospitare tre persone per quattro giorni di viaggio.

Per effettuare le manovre per il ritorno sulla Terra occorreva impostare e modificare la traiettoria di rientro. Un cambio di rotta non sarebbe stato difficile utilizzando la spinta propulsiva del motore del Modulo di Servizio, ma i controllori a Terra, non sapendo l’esatta entità del danno, preferirono evitare l’uso di tale propulsore, e per correggere la traiettoria del rientro venne utilizzato il motore di discesa del Modulo Lunare.

Il 17 aprile 1970 avvenne l’ammaraggio. Ad aiutare gli astronauti, ma in particolare Swigert, per le manovre di rientro, da terra c’era Mattingly e il fatto che il virus della Rosolia lo aveva “costretto” a terra in qualche modo fu propizio per l’operazione che fece ritornare a casa sani e salvi tutti i componenti dell’Apollo 13.

Vincenzo Grienti

Il trailer del film “Apollo 13” (1995) di Ron Howard