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La Divisione di Fanteria “Livorno” in prima linea nella difesa della Sicilia il 10 e 11 luglio 1943

Tra le unità del Regio Esercito che si opposero tenacemente all’invasione alleata della Sicilia del 1943 non può non menzionarsi la Divisione di Fanteria “Livorno” che, di sede in Piemonte, fu trasferita nell’isola a fine dicembre 1942 per l’impiego bellico in Tunisia, ma a seguito del crollo del teatro nord africano trovò il battesimo di fuoco nel settore di Gela il 10 ed 11 luglio. Si trattava di una delle ultime unità di fanteria del Regio Esercito bene addestrata ed inquadrata, motorizzata quasi per intero, con un organico di 530 ufficiali e 12.500 tra sottufficiali e truppa, equipaggiata con uniformi adatte al clima torrido siciliano ed un elevato spirito di combattività. Articolata su due reggimenti di fanteria ed uno di artiglieria, i quadri erano stati selezionati con molta cura includendo i comandanti di battaglione ed almeno un ufficiale per compagnia in s.p.e.[1]. 

Caserma del 33° a Cuneo – Archivio Salvatore Reale

Il suo concetto di impiego in Sicilia fu affidato all’interpretazione del comandante, gen. Chirieleison, che avendola suddivisa in gruppi tattici, già dislocati in aree differenti a seconda del periodo, risultò diverso da quella delle altre unità divisionali. Infatti Chirieleison puntò sulla costituzione di gruppi formati da interi reggimenti di fanteria e gruppi organici a differenza di altre divisioni di fanteria che frazionando l’organico in più gruppi indebolirono l’efficacia degli stessi.

 Il generale Rossi (dal libro “L’invasione della Sicilia” di C. Zingali)

Alle 04.00 del 10 luglio 1943 il gen. Rossi, Comandante del XVI Corpo d’Armata, tra le prime contromisure adottate a seguito delle notizie ricevute sugli sbarchi, ordinò al III gruppo del 28°Rgt. Art. e al comando del F°Rgt. Ftr. di muovere da Butera in direzione di Monte S. Nicola[2] per fornire copertura al Gruppo Tattico Bruni[3] che avrebbe agito presso l’estremità occidentale dello schieramento della XVIII Brigata costiera della quale costituiva la riserva. Posto a presidio della stazione di Butera e costituito con unità del III battaglione del 33°Rgt. Ftr.[4], si mise in marcia alle ore 05.15 raggiungendo a piedi M. te Poggio Lungo[5] intorno alle 08.00 ove non trovò i reparti costieri, già catturati, ma i resti del 209° gruppo di artiglieria che, ancora impegnati in azione, furono messi fuori combattimento 10 minuti dopo. Il Gruppo Tattico e due compagnie ranger occuparono quasi contemporaneamente le pendici nord e sud della quota ma gli uomini di Bruni, già oggetto di fuoco dell’artiglieria navale, intervenuta in appoggio ai ranger, abbandonarono le posizioni rallentando la puntata offensiva delle due compagnie avversarie che intanto prendeva consistenza con una manovra a tenaglia[6]. Il ripiegamento proseguì verso le posizioni di partenza, dalle quali intorno alle 13.00 gli uomini di Bruni arrestarono l’avanzata americana con un nutrito fuoco di sbarramento[7]. Nel frattempo tra le valutazioni strategiche del gen. Guzzoni[8] rientrava l’impiego della divisione Livorno per il contrattacco su Gela dell’11 luglio, in cui i criteri furono articolati su tre direzioni da percorrere a cavallo di altrettante strade convergenti sulla città. La tattica utilizzata all’epoca è stata criticata negli ultimi anni ma grazie alla relazione dell’ufficiale responsabile dell’Ufficio Operazioni e Servizi si apprendono finalmente le ragioni. La manovra di attacco escludeva il concetto di far muovere la divisione su un’unica colonna onde evitare notevoli perdite in uomini e tempo causati sia dai probabili attacchi sui fianchi, vista la notevole concentrazione di forze, sia per il ritardo di inizio manovra dovuto al raduno dei reparti. L’unica manovra alternativa da attuare sarebbe consistita in un attacco sui fianchi dei reparti avversari avanzanti distanti almeno una decina di chilometri dalle teste di ponte, ma essa, pur avendo garantito una probabile e maggiore resa, sarebbe stata irrealizzabile per l’indisponibilità di truppe più numerose e diversamente armate. Quindi prendendo in considerazione la violenza del fuoco navale, la conformazione del terreno e facendo affidamento sull’intervento aereo promesso il Comando decise di scaglionare i reparti in profondità ed in formazioni molto rade sfruttando i canaloni o fossati[9]. In tutto ciò le difficoltà delle alte temperature e della faticosa avanzata lungo i chilometri della piana di Gela furono affrontate anche grazie agli allenamenti del cosiddetto “circo Mona”[10]. Alle 18.00 il gen. Chirieleison emanò l’ordine di trasferimento dei reparti sulle basi di partenza individuate a nord ed ovest di Gela da dove puntare sulla città articolando il dispositivo di attacco su due colonne principali ed una fiancheggiante:

-Colonna d’attacco di sinistra, del col. Martini, Comandante del 34°Rgt. Ftr, costituita dal III/34°, dal I/28°Art. in appoggio specifico, una compagnia mortai da 81 mm. e i resti del gruppo mobile “E”. La direttrice d’attacco era sulla destra della SS 117 che costituiva il limite di settore divisionale con la divisione tedesca H. Goering. Il Gruppo Mobile“E” doveva muovere alla sinistra dello schieramento per mantenere il contatto tattico con la destra della Goering (btg. genio);

-Colonna d’attacco di destra, del col. Mona, Comandante del 33°Rgt. Ftr, costituita dal I/33° e I/34° (meno due compagnie) e III/28°Art. in appoggio specifico, rinforzato da una batteria da posizione da 100/22 schierata a M. te S. Nicola e dal battaglione mortai da 81 (con una compagnia in meno). La base di partenza era costituita dall’allineamento dei Monti L’Apa e Zai, con direttrice d’attacco a cavallo della rotabile Butera-Gela. Entrambe queste colonne dovevano essere coordinate dal gen. Perugini, Comandante la fanteria divisionale;

-Colonna fiancheggiante, comandata dal ten. col. Mastrangeli, costituita dal II/33°Ftr. e dal IV/28°Art. (meno una batteria) in appoggio specifico, che doveva schierarsi presso la stazione di Butera. La direttrice d’attacco era a cavallo della rotabile che da Butera andava verso la SS 115, col compito di coprire il fianco destro della divisione da eventuali provenienze nemiche da Licata, distaccando degli elementi in direzione di Torre di Manfria.

Mortaista della Livorno con pezzo da 45mm (dal libro: “La Livorno, Divisione fantasma” di C. Nanni)

Il resto della forza fu impiegata in appoggio e per presidiare altre zone nel seguente modo:

-Il II/34°Ftr. doveva occupare e mantenere le posizioni di M. te Falcone-Poggio delle Femmine-stazione di Butera e fungere da unità in secondo scaglione della colonna d’attacco di destra;

-Il II/28°Art. doveva schierarsi nella zona di M. te S. Nicola e fornire appoggio alla colonna fiancheggiante;

-Una compagnia del I/34°Ftr. ed una batteria del IV/28°Art. dovevano raggiungere la località di Case Le Schiette, sulla rotabile Mazzarino-Riesi, per sbarrare eventuali provenienze da Riesi;

-Il posto comando di Divisione doveva essere dislocato a Butera ma successivamente sarà spostato su M. te S. Nicola[11].

Nonostante le difficoltà iniziali le manovre di attacco della colonna di sinistra e di destra ebbero uno sviluppo favorevole travolgendo le linee nemiche di prima e seconda schiera, progredendo sotto il continuo fuoco navale e catturando un cospicuo bottino in prigionieri e materiali, ma i successivi attacchi di artiglieria navale decimarono i battaglioni giunti alla periferia della città mentre in alcune porzioni della piana di Gela altri reparti dovettero affrontare gli attacchi di unità meccanizzate portati sui fianchi e sul tergo da cui furono sopraffatti. Altrove i superstiti rimasero in attesa di rinforzi ripiegando sulle basi di partenza col favore del buio in altri settori della piana i combattimenti proseguirono ininterrotti fino alle 07.00 del 12 luglio come accadde per i resti del III/34°Ftr. del t. col. Leonardi quando insieme ai bersaglieri della 155^ Cp. resistettero fino ad esaurimento di munizioni. Altro reparto rimasto in posizione più avanzata fino al 12 luglio tenendo la posizione per qualche ora in più fu la compagnia del cap. Giublich della colonna “Mona” che, pur avendo rifiutato la resa più volte, vista la forte penuria di munizioni, l’impossibilità di munizionamento idoneo per contrastare i mezzi corazzati ed il totale accerchiamento che precludeva qualunque via di fuga fu costretta alla resa. La colonna fiancheggiante entrata in azione in ritardo resistette fino alle 16.30 quando subendo il bombardamento navale e l’accerchiamento dei reparti meccanizzati ripiegò coi superstiti sulla base di partenza. L’11 luglio le perdite subite dai battaglioni di primo scaglione a causa dell’incessante fuoco navale e dei mezzi meccanizzati ridussero la forza del 50%.

Mitragliera c.a. a San Cataldo 1943

Fallito il contrattacco su Gela, dal 12 luglio in poi si verificava una transizione da uno schieramento offensivo ad uno difensivo ma la necessità di proteggere i resti della divisione che si organizzavano a caposaldo a nord e nord ovest comportò per l’11^ Cp. del cap. Ceci il compito di resistere ad oltranza sul caposaldo fortificato dei Monti Zai e l’Apa insieme a pochi elementi della 3^ Cp. del cap. Puppione del 384° battaglione costiero. La conquista di questo caposaldo era l’obiettivo affidato al I battaglione ranger ed al l I battaglione 41° reggimento fanteria americana che mossero all’assalto dell’obiettivo con il supporto dei mezzi corazzati della compagnia “H” del 67° Rgt. corazzato, con l’accompagnamento del 83° Battalion Chemical mortar  l’appoggio dell’artiglieria campale, navale e del fuoco aereo. Una sproporzione di forze che secondo quanto pianificato dagli americani avrebbe dovuto travolgere i difensori entro le 06.00 del 12 luglio ma in realtà le cose non andarono come previsto perché la strenua resistenza degli uomini di Ceci e di Puppione, sostenuti dai pezzi di artiglieria e di qualche pezzo da 47/32 impose alle fanterie ed ai corazzati americani cambi di strategia tali da completare la conquista solo tra le 14.00 e le 15.00.

Il generale Chirieleison (dal libro “L’invasione della Sicilia” di C. Zingali)

La difesa di questo caposaldo la cui posizione all’incrocio tra la S.P. 8 nota come Gela-Butera e la S.P. 83 che gli consente di affacciarsi sulla piana di Gela attribuì al sito fortificato un’importanza strategica tenuta in considerazione nelle disposizioni del Gen. Chirieleison, ma l’evoluzione tattica dei giorni successivi portò all’allineamento difensivo della Livorno e della “Herman Goering” lungo l’asse Vizzini-Grammichele-Caltagirone-S.Michele di Ganzaria-Bivio Gigliotto-Piazza Armerina-Varco Ramata con la divisione italiana schierata con fronte ad ovest, i cui compiti consistettero nel mantenere il contatto tattico con le forze posizionate tra Caltanissetta e San Cataldo, sbarrare le provenienze nemiche da Caltanissetta, Barrafranca e Mazzarino, e garantire lo sbocco orientale da quest’ultima cittadina al bivio Gigliotto. Nell’ambito di questi movimenti e schieramenti dei reparti divisionali, in vista di battaglie di retroguardia, il 12 luglio il sistema difensivo organizzato dal col. Mona, comandante il 33°Rgt. Ftr, era già stato articolato sulle pendici meridionali del colle della città di Butera con una forza totale di 50 ufficiali e 660 tra sottufficiali e truppa del II/33°, una batteria del II/28°Art. in appoggio ed una compagnia mortai da 81. Il compito affidato era di opporsi alle provenienze nemiche da Gela per sbarrare l’accesso alla strada per Mazzarino. A Case Le Schiette, altro caposaldo, la responsabilità di arrestare le puntate offensive provenienti da Riesi era stata affidata al t. col. Carta il cui Gruppo Tattico omonimo era costituito da una compagnia del I/34°Ftr. ed una Btr. del IV/28°Art. mentre altri reparti posti al comando del col. Martini avrebbero dovuto prendere posizione tra Mazzarino ed il sughereto del bivio Gigliotto, ma non furono i soli perchè si organizzarono altri capisaldi per rallentare l’avanzata avversaria con manovre di contenimento.

Il “posto scoglio” di Butera, inteso come sistema difensivo articolato, modificato nella notte sul 13 da Mona[12] con la costituzione di un fronte di gola in funzione di fronte principale, assunse la conformazione di un’opera chiusa sebbene scaglionata su più nuclei[13], ma l’area fin dal mattino del 12 in seguito alla cattura dei Monte Zai e l’Apa era già fortemente controllata dai ricognitori americani. Questi indirizzavano il fuoco di artiglieria navale ben assestato al punto da bloccare i movimenti italiani e tedeschi, mentre contemporaneamente la fanteria americana si ammassava nei pressi di M. te S. Nicola a pochi chilometri dalla città, posizioni raggiunte anche dall’artiglieria campale. Questa il 13 luglio apriva il fuoco scompaginando una parte del sistema difensivo che provocò la reazione di fuoco italiano con l’eliminazione di alcuni blindati giunti ai piedi delle posizioni di Mona ma, nonostante la cattura della città di Butera sembrasse prossima, la resistenza proseguì fino alle 20.00 quando arrivò l’ordine di ripiegamento al Bivio Gigliotto. Nel momento in cui la manovra di ripiegamento su Mazzarino, seguita personalmente dal col. Mona nel suo ordinato svolgimento, si completava alle 00.30 lo stesso Comandante nel tentativo di opporsi con l’arma ad un attacco di sorpresa dei ranger rimase ucciso[14].

Un soldato americano dopo lo sbarco in Sicilia

Nel frattempo a Case Le Schiette gli uomini di Carta fronteggiavano i reparti americani schierati a poca distanza lungo l’allineamento di tre colline nei pressi di Riesi i cui tentativi di penetrazione del 12 fallirono con l’eliminazione di un mezzo americano. Poche ore dopo intorno alle 02.00 un’altra puntata offensiva nemica nel tentativo di aggirare le posizioni italiane fu respinta dopo aspri scontri combattuti a distanza ravvicinata con l’utilizzo di bombe a mano[15]. Nonostante il crescendo della pressione americana le posizioni italiane erano ancora salde ma vista la manovre di ripiegamento in corso tra Butera e Mazzarino il col. Carta rimodulò il sistema difensivo organizzandolo in due capisaldi, uno lungo la strada per Riesi e l’altro nei pressi del bivio per Mazzarino. Poco dopo un altro attacco avversario venne portato coi mortai che pur arrecando poche perdite tra gli italiani fu smorzato dall’intervento dei pezzi da 100 e dai 75/18, ma essendo ancora in corso il movimento di ripiegamento dei resti sulle nuove posizioni occorreva proteggerli rimanendo sul posto per tenere le posizioni ad ogni costo fin quando nella notte sul 14 Carta ed i suoi uomini ricevuto l’ordine di raggiungere il sughereto del bivio Gigliotto si disimpegnarono puntando sulle nuove posizioni[16].

La lapide che commemora la battaglia di Gela sulla strada provinciale n.8 per Butera

Il sughereto del bivio Gigliotto fin dalle 12.00 del 12 luglio era presidiato dal II/34° del magg. Coco con una forza di 30 ufficiali e circa 600 uomini tra truppa e sottufficiali che dopo avere organizzato il sistema difensivo al fine di sbarrare eventuali provenienze nemiche da Mazzarino e proteggere il fianco destro della Goering[17] il 14 luglio ripiegò su Piazza Armerina e Varco Ramata per difendere quel nodo stradale da possibili infiltrazioni americane provenienti da Pietraperzia, Barrafranca e Caltanissetta, lasciando il presidio del Gigliotto alle forze di Carta. Intanto la continua e forte pressione americana comportò il frazionamento della Livorno venendo articolato su 4 gruppi tattici, consistenti in quello del: sughereto comandato dal t. col. Carta, Piazza Armerina del t. col. Bruni, Bellia agli ordini del t. col. Mastrangeli e Varco Ramata del magg. Coco[18]. Al Gigliotto il 14 luglio il t. col. Carta informato dell’arrivo del 18° reggimento fanteria americana da Mazzarino e di reparti corazzati da Ponte Olivo rimodulò il sistema difensivo per fronteggiare il doppio attacco trascorrendo gran parte del giorno nel suo apprestamento[19]. Gli attacchi iniziarono l’indomani 15 luglio alle 08.30 con un fuoco di inquadramento di artiglieria che nel corso della giornata diventò sempre più intenso e violento, utilizzando anche quello aereo in appoggio alle due colonne avanzanti. Nel corso della mattinata i tedeschi abbandonarono le posizioni tenute nei pressi, invitando Carta a fare lo stesso prima del brillamento di punti strategici della strada statale Gela-Piazza Armerina, ma a tal riguardo l’ordine di Chirieleison di non abbandonare il sughereto impose agli uomini di Carta di affrontare da soli il duplice attacco[20].

Il maggiore carrista Giovanni Elena (MAVM) – Dal libro “L’invasione della Sicilia” di C. Zingali

Nel frattempo ad essi si era unito un reparto semoventi del 233°Btg c.c. del magg. Elena, che poco dopo morì nel rogo, ma man mano che la morsa americana si stringeva, pur essendo respinti i tentativi di infiltrazione ad est e a sud del sistema difensivo, l’incessante fuoco di artiglieria scompaginava le difese innescando un rogo nel sughereto. Il suo divampare nella boscaglia causò l’impossibilità di mantenere le posizioni rendendo la situazione sempre più drammatica per il modo con cui disimpegnarsi dall’avversario verificandosi scontri molto ravvicinati perché, il ripiegamento pur essendo iniziato a scaglioni tra le 17.30 e le 18.00, erano presenti ancora reparti che combattevano aspramente per non rimanere intrappolati tra le fiamme roventi e non essere uccisi dal piombo nemico. Ad aggravare le manovre di disimpegno intervennero le interruzioni della strada statale Piazza Armerina-Gela e la presenza di carri armati americani a ridosso del vicino centro abitato di San Cono[21]. Nei giorni successivi con l’avanzata del fronte avversario i resti della Livorno divennero il punto di congiunzione tra le divisioni tedesche Goering e Sizilien, e di saldatura dei settori dei due Corpi d’Armata il XII e il XVI. In tale area del centro della Sicilia la viabilità fra l’estrema sinistra della Sizilien e l’estrema destra della Livorno era caratterizzata da numerose strade che, provenendo da Valguarnera-Varco Ramata ed Enna, offrirono agli anglo americani la possibilità di una rapida avanzata all’interno della maglia difensiva. Infatti la 1^ e la 45^ Divisione americana premevano da Mazzarino e Delia mentre la 1^ Divisione canadese avanzava su Caltagirone diretta a Piazza Armerina. Durante la notte sul 16 la Livorno completò i movimenti retrogradi assumendo un nuovo schieramento più arretrato ed articolato con: il gruppo tattico di Raddusa al comando del cap. Mantovani, in sostituzione del ten. col. Carta, a sud di Raddusa; il gruppo tattico del ten. col. Bruni forte di circa 450 uomini a nord di Raddusa col compito di sbarrare le provenienze da Valguarnera; il gruppo tattico del magg. Coco presso la stazione di Pirato con il compito di sbarrare le provenienze nemiche da Enna e Valguarnera; il gruppo tattico del t. col. Mastrangeli presso la stazione Dittaino. A disposizione rimaneva il CIX gruppo Art. da 149/13. La notte sul 17 il gen. Chirieleison riarticolò il sistema difensivo su tre gruppi tattici presso le stazioni di Raddusa, Dittaino e Pirato per coprire i principali assi di avanzata del nemico in forza del quale il gruppo Mantovani si fuse con quello Bruni costituendo un robusto caposaldo a nord della stazione di Raddusa e lasciando nel centro abitato alcuni elementi per mantenere il contatto tattico con la Goering[22].

Una casamatta crivellata di colpi testimonia ancora oggi l’aspra battaglia di Gela

Alle 20.00 iniziarono le prime scaramucce con cinque carri armati nemici che portatisi a tiro del Gruppo Bruni furono arrestati dal fuoco dei mortai da 81 intervenuti a protezione del ripiegamento in corso su Portella Grado, ma queste manovre coinvolsero anche i due gruppi Mastrangeli e Coco mentre si schieravano a nord della stazione di Dittaino ed alla stazione di Pirato, situata quest’ultima a sud di Leonforte. Il ripiegamento sulle nuovi posizioni rispondeva alle esigenze di garantire la copertura dell’ala sinistra, del centro e dell’ala destra dello schieramento difensivo. La linea di resistenza del gruppo Bruni fu articolata su 7 capisaldi, situati su posizioni forti per le caratteristiche del terreno, ove le artiglierie occuparono posizioni arretrate e baricentriche a supporto di tutto il settore difensivo del medesimo gruppo. Nel primo pomeriggio iniziarono i tiri di artiglieria nemica, controbattuti da quella italiana, che proseguirono fino alle 18.50 ma nella notte del 18 sul 19 la fanteria inglese attaccava il sistema difensivo che sul finire del 18 luglio subiva un indebolimento per l’abbandono del ponte da parte dei tedeschi e delle zone di loro responsabilità. Ciò consentì alle 23.30 a due compagnie inglesi di occupare facilmente due colline a sud della stazione di Raddusa e del ponte costringendo all’1.30 il cap. Scimè, comandante del gruppo di artiglieria, a riorganizzare al buio lo sbarramento di fuoco del gruppo[23]. L’assalto delle tre compagnie del I Btg. Hampshire della 231^ Brigata di fanteria britannica “Malta” iniziò alle 03.00, cui si aggiunsero nel corso della notte le incursioni portate sul tergo del sistema difensivo da altre unità inglesi che impegnò parecchio gli italiani ma soprattutto i comandanti in una battaglia notturna divenuta molto aspra e considerata tra le più dure combattute dalla Livorno.

Una battaglia durata ben 5 ore dove nonostante la perdita del caposaldo si riuscì a portare in salvo il IV Gruppo artiglieria ma che vide grosse perdite da entrambi gli schieramenti. Da appunti del cap. Scimè scritti a matita consultabili presso l’A.U.S.S.M.E., a riprova dell’alto numero di morti, quelli inglesi contati sul terreno furono circa 200[24]. Il 19 luglio rappresentò il giorno in cui la Livorno cessò di esistere come unità organica perché i reparti superstiti, soprattutto le artiglierie, passarono sotto il comando tedesco con cui proseguirono l’intera battaglia di Sicilia, ma già in quella medesima giornata i comandi si adoperarono a Roma per la ricostituzione della Divisione. In tale occasione fu deciso di inviare in Sicilia il 185°Rgt paracadutista Nembo, per cui ritenendo prossima la sua ricostituzione i resti della Divisione furono ritirati dal fronte ad eccezione dei reparti combattenti. Nel frattempo questi ultimi erano passati alle dipendenze dei tedeschi per il cambio della responsabilità della fronte e di conseguenza i due gruppi Mastrangeli e Coco, assorbiti nello schieramento difensivo del XIV Corpo d’Armata tedesco, operarono nella zona di Agira alle dipendenze tattiche della XV Divisione Sizilien. Ciò fu determinato dalla caduta delle posizioni di Portella di Recattivo e Portella Grado del gen. Schreiber e del t. col. Bruni che minacciando entrambi i lati della Sizilien costrinse il Gen. Rodt ad arretrare il gruppo tattico di Ens tra Agira e Leonforte ed il 129° reggimento del t. col. Fullriede su Petralia-Gangi.

La copertina del libro di Salvatore Reale e Giovanni Iacono sulla battaglia di Gela dal 10 al 12 luglio 1943

Il comando tedesco organizzò entrambi i gruppi di Coco e Mastrangeli inserendoli nel nuovo assetto difensivo spostando nella notte del 20 luglio il Gruppo Tattico Coco da Leonforte ad est di Agira col compito di organizzare uno sbarramento di fuoco contro eventuali provenienze da sud-est[25] e schierando il I/28°Art. sulle pendici sud di Agira. L’artiglieria del gruppo Mastrangeli fu inviata ad Agira per operare coi reparti tedeschi del Capitano Mayerhofer mentre la fanteria, ormai ridotta ad una compagnia, occupò le posizioni a sud di Assoro organizzandosi a caposaldo nei pressi della stazione[26] per battere le provenienze nemiche. In realtà la compagnia era stata appena rinforzata da pochi elementi misti consistenti in 4 ufficiali e 50 uomini di truppa, tratti dalla sussistenza e dai servizi postali e di sanità che aumentarono la forza combattente a soli 13 ufficiali e 175 uomini di truppa[27]. Oltre alla compagnia rimasero due plotoni mortai e tre semoventi[28]. Il Gruppo Coco schierato nella zona di Solfara Campana a contatto con elementi tedeschi del 104° reggimento Panzergrenadier divenne fin da subito oggetto del fuoco dell’artiglieria nemica che a sua volta fu contrastata dal tiro di controbatteria e di sbarramento, ma il bombardamento sulle posizioni di Coco e di Mastrangeli proseguì fino a mezzanotte. Nel tardo pomeriggio del 20 il t. col. Ens informato sulla precaria situazione del gruppo Mastrangeli ordinò la costituzione di una forte compagnia completa di tutte le armi automatiche e di accompagnamento rinforzata da tre semoventi in funzione controcarro ponendola agli ordini del Capitano Iannarone per avere una forza composta da pochi uomini ma con molte armi[29]. Mastrangeli, malgrado il grado, non trovando impiego ripiegò insieme ai resti su Nicosia col resto del Gruppo dove durante lo spostamento divenne oggetto di fuoco di artiglieria[30]. Il 22 luglio il comando tedesco ordinava al Gruppo Tattico Coco di occupare nuove posizioni schierandosi sempre su Solfara Campana ma su un fronte di circa 6 km venendo battute alle 20.00 del 23 luglio da un breve tiro dell’artiglieria nemica. Tre ore dopo le posizioni furono bersagliate da un violento tiro di preparazione della durata di un’ora per cui italiani e tedeschi attendevano l’assalto delle fanterie nemiche. Questo fu affidato al 1° Btg. Dorsetshire della 231^ Brigata Malta che contrariamente a quanto previsto da Coco fu portato sulle quote occupate dalla 4^ compagnia tedesca che messa in seria difficoltà costrinse la 7^ Cp. di Coco ad intervenire in suo soccorso su richiesta delle 01,40 del t. col. Groel, comandante del settore. L’intervento era stato organizzato dal comandante della 7^ affidando al 1° plotone mitraglieri l’appoggio iniziale ai tedeschi ed il successivo contrattacco sulle posizioni inglesi, ma l’abbandono dei tedeschi le cui posizioni furono occupate dagli inglesi consentì a questi di aprire il fuoco sulla 7^ che veniva battuta contemporaneamente da altre due posizioni, di fianco e sul rovescio essendo stata aggirata da nord. In tal maniera la 7^ Cp. sotto attacco da tre lati fu impegnata in combattimenti divenuti aspri e serrati della durata di tre ore. I reparti inglesi ebbero ragione del plotone schierato sulle pendici ovest di Solfara Campana dove questo pur difendendosi accanitamente fu sopraffatto dopo circa mezz’ora, mentre gli altri due plotoni nonostante le forti perdite subite resistettero ad oltranza fino alle 03.20 quando ridotti in soli 3 ufficiali e 40 uomini, il t. col. Groel ordinò il loro ripiegamento a sud della strada Agira-Regalbuto. A causa della violenza della lotta e dell’oscurità fu impossibile accertare il numero di perdite e trasportare i feriti ma solo a combattimento finito furono quantificate in tre ufficiali, un ufficiale medico e circa 120 uomini di truppa[31].

La situazione generale della Divisione alla data del 23 luglio si presentava critica avendo la fanteria ridotta ai resti del II/34° del magg. Coco che, ormai priva di armi di accompagnamento ed impegnata in linea ad Agira, non poteva essere restituita nell’ottica della sua ricostituzione mentre dei tre battaglioni distrutti del 33° erano rimasti solo 450 superstiti. Il comando del 33° e 34°Rgt. Ftr. fu affidato al t. col. Carta ed al col. Martini mentre il Btg. mortai divisionale era ridotto a 230 superstiti. Si trattava di reparti privi delle armi di reparto, dei mezzi di collegamento, con gli autoreparti ridotti ai minimi termini. L’efficacia dell’artiglieria si limitava al I ed ai resti del III gruppo schierati entrambi ad Agira che avendo il 70% dei mezzi inutilizzabili perché distrutti o inefficienti poterono contare solo sulla parte residua in linea ma priva dei mezzi di collegamento. Il comando di artiglieria pur essendo al completo era privo di mezzi radio e di automezzi. I reparti del Genio avevano subito molte perdite specialmente tra la compagnia marconisti, il plotone telegrafisti e la compagnia artieri. Dei quattro ospedali da campo ne erano rimasti solo due di cui quello di Agira ancora funzionante. Per i CC.RR. e la sussistenza sarebbero occorsi solo i complementi. Molto critica la situazione di automezzi e motocicli. Dal censimento delle forze disponibili sarebbe stato possibile costituire solo due battaglioni di fanteria di formazione, uno per reggimento, e di un gruppo di artiglieria, ma era quasi nulla in vista della ricostituzione della Divisione perché occorrevano uomini, materiali, armi e mezzi e nello specifico reparti pronti all’impiego consistenti in almeno 4 battaglioni dotati di armi di accompagnamento, le armi per i due battaglioni di fanteria di formazione, un battaglione mortai divisionale ed uno controcarro, entrambi al completo di armi, tre gruppi di artiglieria al completo, materiali e mezzi per il gruppo da costituire sul posto. Occorreva ripristinare anche il battaglione del genio, servivano due ospedali da campo dotati di autoambulanze in numero adeguato, automezzi e motocicli[32].

Il generale Guzzoni (dal libro “L’invasione della Sicilia” di C. Zingali)

Intanto il 24 luglio dopo i duri scontri tra inglesi e la 7^ i superstiti di quest’ultima e la 4^ Cp. tedesca ripiegarono pochi chilometri a sud della strada Agira-Regalbuto dove il Gruppo Coco formò tre caposaldi ma l’indomani il t. col. Ens, succeduto a Groel dispose che il battaglione di Coco occupasse un fronte più ampio di 12 km. Una novità dello stesso giorno fu il ritorno alle dipendenze del XVI Corpo d’Armata su disposizione del gen. Guzzoni dei resti della Divisione e delle artiglierie[33]. Disposizioni che inclusero anche il 185° reggimento paracadutisti Nembo che partito da Firenze il 10 luglio era arrivato in Sicilia tra il 27 ed il 28[34]. La sera del 25 luglio un nuovo attacco nemico portato sulle posizioni di Coco non riuscì a sfondare così come anche l’attacco del mattino successivo proveniente da sud ad opera di carri armati nel tentativo di aggirare le posizioni fu arrestato e ricacciato dall’azione di fuoco di un reparto controcarro tedesco col quale cooperarono alcuni mitraglieri di Coco. Nella notte del 26 sul 27 luglio i reparti del 28°Art. schierati con quattro batterie subirono il fuoco di controbatteria nemico da Nissoria mentre un nuovo attacco dei canadesi della durata di ben sette ore dalle 21.00 alle 04.00, vide alternarsi le fasi della battaglia ma alle 11.00 del mattino i canadesi conquistarono una collina soprastante Agira. L’artiglieria italiana lamentò la perdita di due uomini ed il danneggiamento di un pezzo mentre i resti dei pezzi furono trasferiti nei pressi di Gagliano da dove puntarono su Troina, lasciando forze esigue ad Agira ed inviando a Regalbuto alle 20.50 una sezione della batteria da 75/18 con compito anticarro. Tra le forze rimaste nei pressi di Agira c’erano ancora quelle di Coco le cui posizioni stravolte dal bombardamento di artiglieria rimasero isolate dal col. Ens, ma all’alba del 28 luglio la 1^ Divisione canadese e la 231^ Brigata Malta puntavano su Agira da ovest e da sud sulle posizioni del Gruppo Ens nel cui dispositivo difensivo si trovavano gli uomini di Coco[35]. Questi ultimi, seppur duramente provati, si prepararono ad affrontare un nuovo attacco di fanteria della consistenza di circa 500 soldati che avanzavano col supporto di qualche autoblinda. Ancora una volta l’assalto fu arrestato costringendo gli avversari ad un ripiegamento precipitoso. Questa dura resistenza, nonostante avesse destato l’ammirazione dei tedeschi anche nei riguardi dei mortaisti che coi pezzi da 45 avevano sbaragliato le fanterie nemiche infliggendo loro perdite e costringendoli al ripiegamento al punto da ritentare poco dopo l’assalto coi mezzi corazzati, non concedeva tregua. Infatti a mezzogiorno si materializzava una minaccia ben più grave rappresentata dall’attacco di una colonna corazzata di circa 16 carri armati sempre sul settore destro. Gli uomini di Coco sebbene in netta inferiorità di uomini e della potenza di fuoco non si tirarono indietro e pur privi delle armi di accompagnamento resistettero concorrendo con la 2^ compagnia tedesca, che nel frattempo era intervenuta. Gli scontri durarono circa un’ora terminando con la penetrazione dei carri armati nella maglia difensiva che incuneatisi tra i capisaldi di Coco e quello tedesco raggiunsero la rotabile.

Le perdite subite dagli uomini di Coco furono molto alte consistenti in 7 ufficiali e 190 militari di truppa mentre quelle nemiche contate sul terreno ammontarono ad almeno 50 morti e parecchi feriti. Con la strada per Agira ormai libera la città fu conquistata nel primo pomeriggio ma i problemi per i resti del Gruppo Coco non erano ancora cessati perché adesso si prospettava il rischio di rimanere chiusi in una sacca per due fattori: la distanza dai reparti tedeschi e la cattura di Regalbuto dei reparti provenienti da Catenanuova. Ciò avrebbe isolato Coco dalle strade Regalbuto-Troina e Regalbuto-Adernò per cui il Maggiore valutando i rischi spostò gli auto carreggi, i viveri, cucine ed autoambulanze sulla rotabile 121 oltre il bivio Adernò-Troina. La sera del 28 luglio, mentre i tedeschi, già schierati a difesa delle posizioni lungo la strada Agira-Regalbuto ripiegarono su quest’ultima cittadina facendo brillare i ponti, Coco che nel frattempo aveva ristabilito il collegamento col comando di Ens a mezzo motociclisti, ricevette gli ordini di abbandonare in nottata le posizioni più avanzate ad occidente per difendere quelle a nord di Regalbuto. All’01.30 iniziò la marcia di trasferimento nei pressi di questa cittadina, dove era stato costituito un nuovo caposaldo col compito di proteggere il ripiegamento del grosso dei reparti diretti a nord[36], ma nel corso della giornata i pesanti bombardamenti aerei su Regalbuto, con almeno 15 incursioni a distanza di circa 30 minuti, avevano raso al suolo gran parte del paese causando numerose vittime civili e la distruzione di molte abitazioni le cui macerie ostruivano il transito ad est, per cui il Maggiore inviò alcuni uomini della compagnia comando che si adoperarono coi reparti tedeschi sia per soccorrere la popolazione, estraendo feriti e cadaveri, che per ripristinare il passaggio dei propri mezzi militari[37].

Nel corso della medesima giornata il gen. Chirieleison in vista della ricostituzione della Divisione aveva considerato la possibilità di creare un reggimento di fanteria ponendolo al comando del col. Martini, che denominato 34° reggimento di formazione, era costituito da due battaglioni coi superstiti del 33° e 34° reggimento, ognuno articolato su tre compagnie ma con una forza ridotta a circa 400 uomini. La fusione tra i resti dei due reggimenti avverrà di fatto il 5 agosto. Il battaglione del 34° sarebbe stato essenzialmente di fucilieri perché armato di soli fucili mentre quello del 33° dotato anche di 7 fucili mitragliatori e 10 mitragliatrici. Questo battaglione del 33° fu denominato I Btg. di formazione posto al comando del t. col. Bruni e formato dai resti del II/33° di Mastrangeli e del III/33° di Bruni[38]. Nell’intento del generale c’era anche la formazione di un terzo battaglione con i resti di quello mortai divisionale e del 233° battaglione c.c., quest’ultimo ridotto a 18 ufficiali e 195 uomini di truppa, ma occorreva che fossero dotati almeno di armi individuali per completare l’armamento. Chirieleison prendeva in considerazione anche l’ipotesi di inviare nella penisola gli elementi del 233° battaglione c.c. perché costituito da personale specializzato per una celere costituzione di reparti c.c.[39]

Nel frattempo gli anglo canadesi dopo la conquista Agira pianificarono per il 29 luglio un forte attacco alle posizioni difensive italo tedesche di Regalbuto che iniziò con il fuoco di preparazione dell’artiglieria seguito alle ore 16.00 da una duplice manovra coordinata tra la fanteria proveniente da sud ed una formazione corazzata che percorrendo la strada Agira-Regalbuto puntava sul fianco sinistro. Le posizioni di Coco e di qualche reparto tedesco furono attaccate da sud e da ovest dal fuoco dei carri armati che lo riversarono sul rovescio delle posizioni. La lotta durò circa tre ore nel corso della quale la fanteria impattando sul fuoco degli italiani con l’appoggio di una sezione del I/28°Art. fu arresta ancora una volta rimanendo bloccata sulle pendici sud trovando riparo nei fossati. Ciò aveva determinato il momentaneo fallimento dell’operazione ma non c’era tempo per rifocillarsi ed organizzarsi poiché l’artiglieria alle 19.30 aprì nuovamente il fuoco per circa un’ora, coordinandosi con l’attacco dei mezzi corazzati, cessato il quale iniziò l’avanzata dei carri armati. Questi raggiungendo il rovescio delle posizioni penetrarono nella difesa ponendo fine alle 21.00 all’impari lotta terminata con perdite molto alte tra gli uomini di Coco, quantificabili in 3 ufficiali e 215 uomini tra truppa e sottufficiali. Durante quelle cinque ore di combattimento, che aveva consentito ai tedeschi di arretrare sul costone di Villa-Mammana-S. Lucia da dove nei successivi giorni bloccarono l’avanzata nemica, gli uomini di Coco diedero fondo a quasi tutto il munizionamento ed il disimpegno dal nemico avvenne solo su ordine dello stesso Ens che seguendo le fasi della lotta si era reso conto dell’assottigliamento della forza. Ciò destò l’ammirazione del magg. Bulder comandante il presidio tedesco di Regalbuto. Dopo avere raggiunto questa cittadina i resti del Gruppo Coco raggiunsero Troina, ove fino al 6 agosto fu lasciata una compagnia di fanteria e parte consistente dei due gruppi di artiglieria, proseguendo con gli altri elementi verso Cesarò e Randazzo. Il 30 luglio il magg. Coco riuniti i superstiti consistenti in non oltre 300 effettivi e presentate le condizioni di efficienza dei reparti aderì parzialmente alla richiesta del t. col. Ens di cooperare mettendogli a disposizione i resti della 6^ compagnia del cap. Visioli[40] ancora discretamente efficace[41]. L’impiego della stessa avvenne in seconda schiera a cavallo della strada per Troina mentre il maggiore Coco il 1° agosto insieme ai 210 uomini, non costituenti ormai reparti organici, raggiunse il reggimento a S. Lucia del Mela.

In una settimana di combattimenti tra il 23 ed il 29 luglio il Gruppo Tattico Coco a fronte di circa 805 uomini aveva perso 525 soldati, lasciando la 6^ Cp alle dipendenze tedesche che in realtà non fu l’unico reparto impiegato per la difesa di Troina essendo infatti schierati in linea il I e III Gr. Art. del 28° l’1, il 3, il 4 ed il 5 agosto. La battaglia di Troina causò perdite e danni in uomini e mezzi anche all’artiglieria i cui gruppi alle 01.30 del 6 agosto ripiegarono su Cesarò su ordine di Ens faticando parecchio per dovere trasportare a braccia lungo le mulattiere tre pezzi da 100/17 inefficienti ma non i tre da 75/18 efficienti per fortuna trainati dai trattori.  La caduta di Troina ed il quasi totale logoramento dell’unità aveva determinato lo scioglimento di gran parte del personale consideratosi libero di potere raggiungere il Comando di artiglieria a S. Lucia del Mela, ad eccezione di circa 250 uomini e di qualche mezzo del I gruppo che ripiegarono su Randazzo e dei tre pezzi efficienti da 75/18 schierati a sud-ovest di Cesarò. Il 3 agosto la 6^ Cp. del 34° del gruppo Coco, provata duramente, su disposizioni del t. Col. Ens intorno alle 13.00 prese posizione a nord di Bronte per mettersi a disposizione del primo comando tedesco giunto in zona[42], ma le pessime condizioni di armamenti e calzature consigliarono di farla rientrare presso il comando del 34° di S. Lucia del Mela col nucleo Maletto ove potersi riorganizzare. Nel frattempo da quest’ultima località gli automezzi del 33°Ftr. e quelli della sezione pesante erano continuamente impegnati in viaggi verso Castroreale per organizzare il trasferimento della Nembo mentre un altro autocarro fu inviato al Btg. mototricicli per lo sgombero su Fossano, ma fin dal 1° agosto il gen. Rossi, Comandante il XVI C. A. dispose l’eventuale impiego della Livorno e della Nembo (gruppo Tattico Barcellona) col compito di agire ad est ed ovest della penisola di Milazzo temendo uno sbarco nemico ove avrebbero operato insieme al 71°reggimento granatieri motorizzato tedesco. Quindi il gen. Chirieleison concentrò le forze in vista di un intervento nel settore di Milazzo organizzando il dispositivo difensivo con il 34°Rgt. di formazione schierando il I/34° a nord e nord-est di S. Filippo, il II/34° a sud-ovest di S. Lucia del Mela ed il reparto mortai a rinforzo del I/34°. In tale schieramento il I/34° insieme al III/185° Nembo occupava posizioni avanzate che nel caso di ingaggio col nemico avrebbe ricevuto in rinforzo il II/34° ed il VIII/185°. In riserva rimase l’XI/185° a S. Lucia del Mela. Nel frattempo il 5 agosto il 33° reggimento si fuse col 34° costituendo il 34°Rgt. di formazione affidato al col. Martini e nell’ambito delle fusioni e trasferimenti o nomine di comando il t. col. Carta lasciato il comando del 33° rientrò a Cuneo con la Bandiera mentre a capo del 4°Btg. mortai divisionale fu messo Mastrangeli. Le forze di questo reggimento di formazione rimasero sul posto fino al 10 agosto per poi ricevere insieme ai resti della Divisione ed alla Nembo gli ordini di trasferirsi a Messina per abbandonare l’isola[43]. In realtà alcuni reparti italiani furono inseriti fin da subito tra quelli non indispensabili alla difesa costiera della cuspide nord orientale della Sicilia, cui dare “in linea di massima la precedenza nel traghettamento”. Tra essi il Btg. c.c., con una forza di 20 ufficiali, 18 Sottufficiali e 186 uomini di truppa, il cui traghettamento avvenne alle 04.00 del 6 agosto.

Prigionieri della Divisione “Livorno” a Gela

L’8 ed il 9 agosto attraversarono lo stretto di Messina la Bandiera del 34° e i resti del I/28°, II/28° e III/28°Art. Tra l’11 ed il 13 agosto fu ultimato il traghettamento della Divisione[44] la cui forza della stessa alla data del 18 agosto si era ridotta a 237 ufficiali e 3.969 tra sottufficiali e truppa a cui si aggiunsero altri 110 ufficiali e 1600 militari di truppa di artiglieria già rientrati ai depositi. Quindi il totale della forza divisionale superstite e censita tra ufficiali e sottufficiali e truppa consisteva in 347 e 5.569 a fronte di 530 e 12.500 alla data del 10 luglio. I numeri dimostrano le alte perdite subite in oltre 30 giorni di battaglie tra morti, feriti, prigionieri, dispersi ammontanti a 183 ufficiali e 6.931 tra sottufficiali e truppa. I numeri fanno riferimento solo all’organico della divisione e non ai reparti giunti in rinforzo o aggregati come il 185° Nembo, il CIX Gruppo da 149/13 e la 153^ sez. CC. RR. e i resti dei vari N.A.P. Tuttavia lo spirito del gen. Chirieleison e dell’intera divisione era ancora indomito alla data 18 agosto esprimendo agli alti comandi dello S.M.R.E. in vista della sua ricostituzione la volontà di utilizzare le forze residue perché “converrebbe lasciarle tutti i suoi elementi provati da numerosi combattimenti per avere un fondo su cui costruire felicemente, per mantenere viva la fiamma della “Livorno”. Si trattò di uomini che da almeno due anni non avevano goduto delle licenze e che nel corso della battaglia di Sicilia destarono più volte alti elogi dai comandanti tedeschi che con essi avevano operato ed attirando anche l’attenzione del “Times”. Nel Dopoguerra nonostante le forti restrizioni governative nel concedere le decorazioni al Valor Militare ai reduci che combatterono in Sicilia, alla Divisione furono concesse: 3 medaglie d’oro alla memoria, 13 di argento alla memoria ed altrettante 19 ai viventi, 4 medaglie di bronzo alla memoria e 66 di bronzo ai viventi.

Salvatore Reale
Saggista ed esperto di storia militare

 

Documenti dell’Ufficio Storico S.M.E: 
-Cartella 1506
-Cartella 2124/A 2124/B
Fondo M 9

Bibliografia, opere di consultazione generale:

-E. Faldella, “Lo sbarco e la difesa della Sicilia.”, Roma l’Aniene, 1956.
-G. Iacono, “Gela. Le operazioni dei reparti italiani nella battaglia del 10-11 luglio 1943. Vicende belliche nella fascia costiera della Sicilia Sud-Occidentale”, Tipografia C.D.B. Ragusa 2008.
-S. Reale, G. Iacono, “Tre giorni vissuti da eroi. Le voci dei protagonisti. Gela 10-12 luglio 1943” Amazon 2020.
-C. Nanni, “La Livorno Divisione fantasma”. International Magazines
-S. Spinella “La guerra nei miei occhi. II Guerra mondiale. Lo sbarco in Sicilia”- Tipografia FADIA Soc. Coop. di Castelnuovo Scrivia (AL)

Opere dell’Uffico Storico SME:
-A. Santoni, “Le operazioni in Sicilia e Calabria”(luglio-settembre 1943), Roma USSME, 1989.

Monografie:    
-Raffaele Cristani, “Per non dimenticare. La Divisione Livorno in Sicilia nel 1943” Tradizione Militare.
-Raffaele Cristani, “Il travigante. Storia del s. ten. Cristani”, 2006.
-Operations of company “C”, 41st Armored Infantry Regiment (2nd Armored Division) at Gela, Sicily, 12 July 1943 (Sicily Campaign). Captain A. Shadday. The Infantry School Fort Benning, Georgia.

 

 

[1] Servizio permanente effettivo.

[2] L’ubicazione è a nord ovest di Gela distante 9 km in linea d’aria dal mare.

[3] Il gruppo prendeva il nome da quello del Comandante.

[4] Era costituito dalla 9ª, 10ª e 11ª compagnia fucilieri (quest’ultima rimasta ancora per qualche ora nell’abitato di Butera), 12ª compagnia armi di accompagnamento e compagnia controcarro.

[5] Monte situato ad ovest di Gela e presidiato da reparti costieri.

[6] A.U.S.S.M.E. Cartella 1506 “Relazione del Gruppo Tattico Bruni” e telegramma 2/2112 del 10/07/1943.

[7] A.U.S.S.M.E Cartella 1506 “Dichiarazione del caporal mag. Lipari Antonino e del fante Munafò Giovanni.”

[8] Comandante la VI Armata in Sicilia.

[9] A.U.S.S.M.E. Fondo M 9 t. col. Graceffa.

[10] A seguito di una ispezione del P.pe Umberto in Sicilia essendo stato rimproverato al Col. Mona la legnosità dei suoi reparti, il Comandante impose la ginnastica per molte ore al giorno anche sotto il caldo di luglio, trasformando il piazzale dell’autoreparto in una piazza d’armi dando vita al c.d. “Circo Mona”. Notizie tratte dal libro di C. Nanni “La Livorno divisione fantasma.”

[11] A.U.S.S.M.E. Cartella 1506 “Ordine d’operazione n°1 del comando divisione Livorno.”

[12] A.U.S.S.M.E. Cartella 1506 “Azione della notte del 12 luglio e nella giornata del 12 luglio.”

[13] Il fronte di gola era il fronte situato verso l’interno della posizione da difendere, ma per comprendere meglio tatticamente il concetto di gola bisogna riferirsi a quello di stretta, essendo intesa quest’ultima come una comunicazione angusta ove le truppe schierate nel senso della fronte occupavano posizioni poco estese ma molto profonde. quindi la gola rientrava nelle specialità della stretta per l’importanza tattica che le dava. “appunti di arte militare-tattica. Parte seconda. Regia accademia di artiglieria e genio. anno 1943.”

[14] A.U.S.S.M.E. Fondo M 9 Ten. Giallonardo Ercole.

[15] A.U.S.S.M.E. Cartella 1506 “Relazione sul combattimento di C. Le Schiette.”

[16] A.U.S.S.M.E. Cartella 1506 “Rottura del contatto a Le Schiette e Butera.”

[17] A.U.S.S.M.E. Cartella 1506 “Relazione sulle operazioni svolte dal gruppo tattico del Maggiore Coco dal 10 al 31 luglio 1943.”

[18] A.U.S.S.M.E. Cartella 1506 foglio n°2/2154 del 14 luglio “Situazione della Divisione”.

[19] A.U.S.S.M.E. Cartella 1506 “Relazione sull’attacco nemico alla posizione del Sughereto.”

[20] A.U.S.S.M.E. Cartella 1506 “Operazioni, situazioni, informazioni.”

[21] A.U.S.S.M.E. Cartella 1506 “Relazione sull’attacco nemico alla posizione del Sughereto.”

[22] A. Santoni, “Le operazioni in Sicilia e in Calabria.”

[23] A.U.S.S.M.E. Cartella 1506, vari allegati.

[24] A.U.S.S.M.E. Cartella 1506 “Annotazioni del Cap. Scimè.”

[25] A.U.S.S.M.E. cartella 1506 “Relazione sulle operazioni del gruppo tattico del Maggiore Coco dal 10 al 31 luglio.”

[26] A.U.S.S.M.E. Cartella 1506 “Succinta relazione sull’attività svolta dal II Btg. 33° Rgt. Ftr. dal Gruppo Tattico Mastrangeli durante il ciclo operativo di Sicilia dal luglio 10 al 28 luglio 1943.”

[27] A.U.S.S.M.E. Cartella 1506 vari allegati

[28] A. Santoni, “Le operazioni in Sicilia e Calabria, luglio-settembre 1943”

[29] A.U.S.S.M.E. Cartella 1506 “Succinta relazione sull’attività svolta dal II Btg. 33° Rgt. Ftr. dal Gruppo Tattico Mastrangeli durante il ciclo operativo di Sicilia dal luglio 10 al 28 luglio 1943.”

[30] A Nicosia il Gruppo rientrò ai rispettivi reggimenti e il 21 i resti del II Btg raggiunsero Cesarò dove riunitosi ai resti del III/33° ed al Comando di Btg. sostarono fino al 24 luglio. L’indomani proseguì il trasferimento a Castell’Umberto rimanendo fino al 27 luglio. Notizie dalla “Succinta relazione sull’attività svolta dal II Btg. 33° Rgt. Ftr. dal Gruppo Tattico Mastrangeli durante il ciclo operativo di Sicilia dal luglio 10 al 28 luglio 1943.”

[31] A.U.S.S.M.E. cartella 1506 “Relazione sulle operazioni del gruppo tattico del Maggiore Coco dal 10 al 31 luglio.”

[32] A.U.S.S.M.E. cartella 1506 “Dati di base aggiornati per la ricostituzione della Divisione.” Allegato 33

[33] A.U.S.S.M.E. cartella 1506 “Comando FF. AA. (6^ Armata) Ufficio Operazioni.” Allegato 34.

[34] A.U.S.S.M.E. cartella 1506 “Comando 185° Reggimento Nembo.” – “Relazione sul ripiegamento del reggimento dalla zona di Barcellona di Sicilia a quella calabra.”

[35] A. Santoni, “Le operazioni in Sicilia e Calabria. Luglio-settembre 1943”

[36] C. Nanni, “La Livorno divisione fantasma.”

[37] A.U.S.S.M.E. cartella 1506 “Relazione sulle operazioni del gruppo tattico del Maggiore Coco dal 10 al 31 luglio.”

[38] A.U.S.S.M.E. Cartella 1506 “Succinta relazione sull’attività svolta dal II Btg. 33° Rgt. Ftr. dal Gruppo Tattico Mastrangeli durante il ciclo operativo di Sicilia dal luglio 10 al 28 luglio 1943.”

[39]A.U.S.S.M.E. cartella 1506 “Reggimento di formazione e sua efficienza.”

[40] A.U.S.S.M.E. Cartella 1506 “Relazione sullo spostamento del Nucleo Tattico Maletto a Rodi”

[41] A.U.S.S.M.E. cartella 1506 vari allegati.

[42] A.U.S.S.M.E. Cartella “Dal promemoria del Cap. Falco (Nucleo Maletto) del giorno 4 agosto 1943 al Capo di Stato Maggiore”

[43] A.U.S.S.M.E. Cartella 1506 “Comando 185° Reggimento Nembo. Relazione sul ripiegamento del reggimento dalla zona di Barcellona di Sicilia a quella calabra.”

[44] A.U.S.S.M.E. Cartella 1506 “Diaro Storico Militare, luglio-agosto 1943”