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Il consumo del salnitro naturale in Italia. Il ruolo determinante del Cile

Prima di dare inizio al presente saggio è opportuno rinfrescarci la memoria, evidenziando, quindi, che in chimica, con il termine di “salnitro” si identifica il nitrato di potassio, ovvero il sale di potassio. Tale sostanza si presenta come una polvere bianca, che generalmente si forma in maniera naturale in luoghi umidi e privi di aria, tant’è vero che, molto spesso, anche nelle nostre case, a causa dell’umidità di risalita, si forma sui muri, venendo così gergalmente definita “muffa bianca”. Ma il salnitro del quale tratteremo oggi ha avuto ed ha ben altra destinazione, essendo utilizzato sia come fertilizzante per le varie colture agricole, sia come additivo alimentare, ma soprattutto per la produzione della polvere da sparo e di altri composti. Va da sé che un prodotto così importante ebbe un ruolo determinante nell’ambito della chimica industriale mondiale, appena questa iniziò la sua rapida ascesa, riguardando da vicino anche il nostro Paese, soprattutto dopo la proclamazione del Regno d’Italia, quando finalmente la nostra Penisola, da <<espressione geografica>>, come l’aveva definita il Metternich a Vienna, nel 1815, divenne una Nazione con vocazione industriale. Da quel momento in poi l’importazione dal Cile, già allora uno dei principali produttori al mondo di salnitro, divenne un fatto concreto, tanto da spingere i due Paesi a stilare accordi commerciali, oltre a convenzioni diplomatiche, come abbiamo ricostruito in precedenza, e sempre su questo portale. Seguiamo, quindi, le tappe più significative di questo commercio e dei relativi rapporti tra Italia e Cile.

Il duro lavoro dei minatori di salnitro in un’antica stampa dell’Ottocento

Il salnitro del Cile e l’industria in Europa

In Europa, l’utilizzo massiccio del salnitro ebbe luogo, oltre che per scontate motivazioni militari, dovendo produrre quantitativi enormi di polvere da sparo a causa delle continue guerre che caratterizzarono il Settecento e l’Ottocento, soprattutto in relazione alla c.d. “rivoluzione chimica”, che s’impose a partire dagli albori del XIX Secolo. Ebbene, tra una guerra e l’altra – l’Europa stava vivendo l’epopea Napoleonica – nei Paesi più progrediti del “vecchio Continente” si registrò un eccezionale sviluppo tecnico scientifico, il quale ebbe riverberi sia nel campo della metallurgia, della chimica, della meccanica, che dell’industria tessile, settori che riguardavano da vicino anche i vari Stati Preunitari italiani, compreso il molto spesso criticato Regno delle Due Sicilie, ove, i settori tessile e della cantieristica navale erano all’avanguardia. Terminata l’esperienza Napoleonica, l’Europa iniziò un nuovo percorso che, almeno per sommi capi, potremmo definire “di pace”, anche se, come si ricorderà, la medesima esperienza politica non pochi stravolgimenti avrebbe procurato di soppiatto anche in America Latina, ove a partire dal 1810 in poi si verificarono rivolte, “pronunciamienti” e guerre civili tendenti ad ottenere l’autonomia dalla Madrepatria Spagnola. In questa fase ebbe però inizio anche un processo di ripopolamento delle campagne abbandonate: ripopolamento necessario onde accrescere la produttività in campo agricolo, dovendo peraltro rispondere al sempre più crescente aumento della richiesta di alimenti, conseguente all’aumento della stessa popolazione europea. In tutto questo rimaneva, però, irrisolto il problema dell’improduttività dei terreni, ragion per cui la scienza iniziò a studiare una soluzione plausibile onde aumentare la resa agricola, reintegrando così la massiccia sottrazione al terreno degli elementi essenziali per la nutrizione vegetale, quali: azoto, fosforo e potassio. E fu proprio la chimica che venne in soccorso all’agricoltura, cercando di analizzare gli effetti di alcuni sali che potessero “fertilizzare” adeguatamente le aride campagne, tenendo presente che, almeno sino a quel frangente storico, l’unica sostanza azotata utilizzata in gran parte degli Stati europei era rappresentata dal concime di stalla, ovvero dalle alghe marine. A tali espedienti si sarebbe aggiunto, almeno nella nostra Penisola, appena varati i primi accordi commerciali con il Cile, anche il guano, una speciale sostanza costituita da escrementi di uccelli, solidificati e mineralizzati, il quale si trovava allora in abbondanza soltanto in alcune lontane isole dell’Atlantico o del Pacifico. Certamente il guano, che comunque iniziò ad essere importato dal Cile in Italia ancor prima del 1861, da solo non bastava per soddisfare l’enorme domanda rivolta dall’agricoltura nazionale.

A questo handicap, quindi, avrebbe però corrisposto la scoperta scientifica del salnitro, o meglio dell’utilità del salnitro quale fertilizzante, visto che il minerale era presente in natura da epoca immemorabile. I principali giacimenti di nitrato di sodio si trovavano sull’arido altopiano desertico che si estende fra la Cordigliera delle Ande e il Pacifico, fra il 18° e il 26° grado di latitudine Sud, per una lunghezza di circa 600 chilometri: come si comprende un vastissimo territorio suddiviso fra Bolivia, Perù e Cile. Il Regno di Sardegna, quello delle due Sicilie e qualche altro Stato preunitario che disponeva di fabbriche iniziarono così un vero e proprio traffico mercantile, con bastimenti che affrontarono per anni gli Oceani, partendo soprattutto da Napoli e da Genova. L’importazione divenne sempre più consistente dopo la proclamazione del Regno d’Italia, per poi raggiungere il record storico nel primo decennio del Novecento, allorquando l’importazione del prezioso minerale raggiunse (siamo nel 1911, quando a Torino si tenne la celebre Esposizione Universale) la considerevole cifra di 60.000 tonnellate annue[1]. L’importazione di salnitro fu bilanciata dall’esportazione in Cile di non pochi prodotti italiani, quali manufatti di cotone, lino, rajon, canapa e seta, prim’ancora che di macchinari industriali, ovvero da non pochi bastimenti mercantili e persino navi militari prodotte presso gli storici cantieri nazionali di Genova, Spezia, Castellammare, Monfalcone e così via. Non solo, ma la “via del salnitro” avrebbe aperto anche la strada a non pochi emigranti italiani, soprattutto dopo il 1870, allorquando ebbe luogo una massiccia emigrazione verso il Cile da varie Regione del Centro-Sud Italia. Come è stato già ricordato in altro contributo, i vari trattati di “…amicizia, commercio e navigazione” raggiunti da Italia e Cile favorirono non poco il reclutamento controllato di molta manodopera italiana, la quale si spinse presso le principali miniere del Paese Sudamericano. Certo non furono momenti felici per gran parte dei nostri emigrati, ma certamente il lavoro nelle miniere di salnitro, in Cile, Bolivia e Perù, fu sempre meglio rispetto alla fame che si soffrì in Italia nei primi decenni post unitari. L’importazione del salnitro dal Cile proseguì praticamente sino allo scoppio della 2^ guerra mondiale, venendo, infatti, interrotta a causa della c.d.  “guerra dei convogli”. Riprese timidamente dopo il 1945, ma ben presto ebbe fine, come evidenzieremo a breve.

Il salnitro e la sua storia

Gli storici sono concordi nel far risalire al periodo dei conquistadores spagnoli la scoperta di quanto fosse utile il salnitro in agricoltura, anche se a quei tempi il nitrato di sodio veniva estratto in quantità e in zone limitate, ma soprattutto attraverso tecniche davvero primitive. Fu solo attorno al 1770 che i Gesuiti principiarono una nuova stagione in campo agricolo, utilizzando massicciamente, nelle varie Colonie spagnole in Sud America, il salnitro come fertilizzante. La svolta decisiva si ebbe, tuttavia, nel 1813, allorquando il botanico boemo Taddeo Haenke, giunto in America Latina con la spedizione di Alejandro Malaspina[2], girovagando fra il Cile e il Perù, mentre procedeva all’identificazione di nuove piante, si inoltrò in una zona desertica interna, scoprendo così come enormi estensioni di terreno erano ricoperte da sali, il “caliche”, una sostanza derivata dall’evaporazione di antichi mari, composta da una miscela di nitrato di sodio, nitrato di potassio, cloruro di sodio e altri sali minori. Verificatane scientificamente l’utilità, l’Haenke convinse alcuni imprenditori a estrarre e raffinare il nitrato di sodio, il quale a quel punto, oltre che ad essere un economico surrogato del nitrato di potassio come ingrediente per la polvere da sparo, poteva essere utilizzato anche come ottimo concime per la terra. Nacquero così, negli allora territori Vicereali del Cile e del Perù alcune fabbriche, dette “oficinas”, la prima delle quali viene storicamente registrata nella zona mineraria peruviana di Tarapacà, ove il “caliche” iniziò ad essere trattato con acqua bollente in calderoni di ferro o rame, quindi non più con pericolosi espedienti di primitiva memoria[3]. La scoperta giunse all’orecchio di alcuni industriali inglesi, i quali intravidero grossi e soprattutto lucrosi affari commerciali, tenendo, infatti, presente il fatto che il nitrato di sodio poteva, nel campo dell’industria chimica, sostituire con vantaggio il più costoso nitrato potassico, solitamente utilizzato nel processo delle camere di piombo per la produzione dell’acido solforico e per la produzione dell’acido nitrico, indispensabile per la giovane industria dei coloranti. A partire, poi, dal 1830 si registrò un massiccio flusso dell’esportazione del nitrato di sodio verso l’Europa, prodotto che veniva imbarcato principalmente nei porti dell’odierna Bolivia. Tale commercio fu destinato a crescere sempre di più, man mano che taluni perfezionamenti tecnici ne consentirono l’aumento della produzione, abbattendo enormemente i costi industriali[4].

Il nitrato cileno all’esposizione universale di Torino

Il salnitro e le guerre, sia commerciali che non

Ben presto, però, la preziosa sostanza offerta all’uomo dalla natura sarebbe stata anche oggetto di aspre contese, sia commerciali che militari, una delle quali, la c.d. “Guerra del Salnitro” è stata più volte richiamata su questo portale storico, in occasione di alcuni saggi dedicati all’America Latina. Ebbene tutto ebbe inizio nel 1866, allorquando il cileno Jose Santos Ossa ottenne dal Governo della Bolivia le prime concessioni minerarie, tanto che ben presto arrivarono in quell’area geografica i primi capitali di investitori, sia cileni che inglesi. La Bolivia, in cambio delle concessioni minerarie, impose sulle esportazioni un dazio molto pesante, il quale innescò le vive proteste della principale compagnia cilena operante in quell’ambito, la stessa che peraltro era interessata anche alla gestione della ferrovia che collegava i porti costieri alle stesse miniere. Fu così che il Cile, al fine di difendere gli interessi nazionali, il 14 febbraio del 1879 occupò Antofagasta, il porto boliviano dove veniva imbarcata la maggior parte del salnitro. A quel punto il Perù intervenne in difesa della Bolivia, dando così vita, tra il 1879 e il 1883, alla citata sanguinosa “Guerra del Pacifico”, meglio nota come “Guerra del Salnitro, non di certo il primo conflitto combattuto per via delle c.d. “materie prime”. Come è stato già ricordato in atri saggi tematici, il Cile avrebbe vinto la guerra, conquistando così i porti di Tacna e Arica, ma occupando anche il porto peruviano del Callao e la stessa Lima. Con il “Trattato di Ancòn”, che ufficialmente pose fine alla guerra fratricida, furono ridisegnati i confini fra i tre Paesi. La Bolivia fu costretta a cedere al Cile la regione di Antofagasta, ricca di minerali, col porto omonimo, perdendo l’accesso al mare e il Peru a cedere al Cile la regione mineraria di Tarapacà, con il porto di Iquique. Da quel momento in avanti il Cile avrebbe conquistato di fatto il monopolio sulla produzione e sull’esportazione del nitrato, che divenne così uno dei settori più remunerativi per lo stesso Erario nazionale. In verità, al di là di questo importante aspetto, l’industria del salnitro avrebbe “fatto la fortuna” solo di pochi imprenditori locali e stranieri, soprattutto inglesi[5], i quali ottennero guadagni stratosferici, purtroppo sulle spalle dei poveri minatori, molti dei quali, a partire dal 1870 in poi, anche di origine italiana, come si ricordava prima. Nel 1872 furono fondate da Guillermo Wendell le prime raffinerie a Santa Laura, mentre questa località faceva ancora parte del Perù, così come l’inglese Santiago Humberstone dava vita alle raffinerie di La Palma, località che ben presto sarebbe divenuta una delle zone minerarie più importanti del Paese. Non mancarono le invenzioni industriali connesse allo sfruttamento del salnitro, ricordano che nello stesso 1872, l’ingegner Charles Wilson costruì a Quebrada de Las Salinas, nel deserto di Atacama, il primo impianto con il quale, attraverso il calore solare, divenne possibile distillare 20.000 litri di acqua dolce al giorno dall’acqua salina disponibile sul posto[6].

L’officina salitrera di Iquique

Il declino del salnitro

Negli anni che seguirono, tuttavia, il prezzo sempre più crescente del nitrato di sodio, dovuto soprattutto alla forte tassazione imposta dal Governo cileno, spinse molti Paesi europei a studiare nuovi processi per produrre nitrati direttamente dall’azoto dell’aria, praticamente gratuito e accessibile a tutti[7]. Nel frattempo erano stati inventati i processi di fabbricazione dell’acido solforico, i quali non avevano più bisogno di acido nitrico. Agli inizi del Novecento emersero, tuttavia, anche i primi segni dell’impoverimento delle riserve di nitrato. Ciò non impedì al Cile di proseguire con quella produzione, che, nel frattempo, era divenuta la voce primaria dell’economia nazionale, tanto è vero che il picco dell’estrazione del salnitro fu raggiunto proprio nei primi decenni dello stesso secolo, peraltro tenendo presente la crescente richiesta di esplosivi scaturita a seguito dello scoppio della “Grande Guerra”. Di lì a qualche anno – siamo attorno al 1924 – l’estrazione di nitrati nel Cile dovette essere razionalizzata. Dal 1930 in poi, con l’intervento di nuovi capitali e con altri perfezionamenti tecnologici, quali nuovi macchinari per la frantumazione e l’estrazione del “caliche”, si verificò una leggera ripresa della produzione, anche se ormai i nitrati sintetici si stavano diffondendo in tutto il mondo. A quel punto il declino del salnitro naturale cileno fu inevitabile e inarrestabile, tanto che le storiche “oficinas” iniziarono a chiudere una dopo l’altra. Intorno al 1940, praticamente funzionava ancora la sola miniera di La Palma, ribattezzata nel frattempo “Oficina Santiago Humberstone”, in onore del suo fondatore, la quale continuò ad operare ancora per qualche anno, per poi essere chiusa e abbandonata[8]. La fine dell’era del salnitro non rappresentò, tutto sommato, per il Cile un dramma sul piano economico, in quanto il Paese avrebbe continuato ad essere ancora un protagonista, nella sua storica e rinomata vocazione mineraria, estraendo dal sottosuolo un altro preziosissimo minerale: il rame, grazie al quale avrebbe continuato a raggiungere vari Paesi del mondo, compresa l’Italia, con la quale la grande Nazione andina aveva ed ha ancora ottimi legami d’amicizia.

Col. (a) Gerardo Severino
Storico Militare

[1] Cfr. <<Lega Navale. Organo Ufficiale dell’Associazione Lega Navale Italiana>>, n. 12 del giugno 1911, p. 291.

[2] Originario della Lunigiana, il Malaspina era Ammiraglio al servizio del Re di Spagna, incaricato di esplorare i mari e le isole del Pacifico.

[3] Sul piano della scienza chimica si osserva che cristallizzava dapprima il cloruro di sodio, si separavano, poi, altri sali e, infine, si otteneva una soluzione satura di nitrato di sodio che, grazie al raffreddamento, cristallizzava e veniva poi essiccato in forma di sale bianco.

[4] Al fine di diminuire il consumo di energia, l’inventore italo-cileno Pedro Gamboni (1825-1895) avrebbe perfezionato, attorno al 1853, il processo di estrazione, iniettando direttamene nel tino di dissoluzione il vapore anziché l’acqua.

[5] Uno di essi, John Thomas North (1842-1896), fece una leggendaria fortuna al punto da essere soprannominato “Il re dei nitrati”.

[6] Il distillatore di Las Salinas restò in funzione fino al 1908.

[7] Ciò avvenne inizialmente con il processo della sintesi dell’acido nitrico con l’arco elettrico, inventato da Kristian Birkeland e Sam Eyde, e poi con la sintesi, realizzata in Germania da Fritz Haber e Carl Bosch, dell’ammoniaca che poteva essere facilmente ossidata ad acido nitrico.

[8] I ruderi dell’industria sono stati in seguito restaurati, mentre il sito è stato dichiarato monumento nazionale cileno e, nel 2005, inserito tra i luoghi facenti parte del “Patrimonio dell’Umanità”, così come stabilito dall’Unesco.