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I Paesi del Patto di Varsavia e l’elezione di Giovanni Paolo II

Il 16 ottobre 1978, due anni prima della nascita di Solidarnosc, a Roma, in Vaticano, veniva eletto il cardinale Karol Wojtyla, un Papa non italiano dopo quattro secoli proveniente da un paese come la Polonia appartenente al blocco comunista. L’ascesa al soglio pontificio di Giovanni Paolo II costituì un evento di grande significato storico non solo per la Polonia e l’Europa, ma a livello mondiale. Il crollo dell’impero comunista e la caduta del muro di Berlino da quella data in poi conferiranno al pontificato di Giovanni Paolo II un carattere geopolitico tale da incidere nella storia del cristianesimo, ma anche in quella delle relazioni diplomatiche e internazionali tra la Santa Sede e l’Unione Sovietica.

L’elezione di Karol Wojtyla avvenne in un momento di relativa distensione tra Roma e Mosca. Nel 1975, infatti, la Santa Sede aveva partecipato alla conferenza di Helsinki per la sicurezza e la cooperazione in Europa. Nell’atto finale di questo importante meeting la Santa Sede, sotto il profilo diplomatico, aveva raggiunto un traguardo significativo: l’inserimento del diritto di libertà religiosa. Tuttavia rispetto alla solidità dei regimi comunisti, l’attività delle Chiese nei paesi oltre la cortina di ferro era piuttosto debole. E’ evidente che l’elezione di un pontefice proveniente da un paese oltrecortina, come ha scritto l’ex segretario per i rapporti con gli Stati della Santa Sede, il cardinale Achille Silvestrini, «impresse una forza straordinaria, inedita e imprevista, alla resistenza della Chiesa e alle richieste di libertà religiosa»[1]. Appena la notizia si diffuse in Polonia ci furono manifestazioni di gioia, mentre le autorità comuniste, in particolare il governo di Mosca si nascosero dietro un silenzio o una indifferenza che non era tale, come di fatto rivelò più tardi la documentazione emersa dagli archivi dell’Urss e del Cremlino in cui si coglie la «pericolosità» del Papa polacco già dalla sua elezione e ancora di più nel viaggio che Giovanni Paolo II fece in Polonia nel giugno del 1979.

All’indomani dell’elezione di Giovanni Paolo II i comunisti polacchi furono sollecitati dagli alleati dei paesi fratelli a presentare informazioni sul nuovo Papa. E mentre in numerose città, e soprattutto a Cracovia, vennero celebrate messe di ringraziamento per l’elezione di Giovanni Paolo II e in maniera spontanea la gente si raccolse nelle piazze per festeggiare e cantare inni religiosi, a Berlino, in occasione di un incontro tra i rappresentanti degli uffici per gli affari religiosi svoltosi un mese dopo l’elezione di Wojtyla, il capo delegazione polacco Aleksander Merker fu invitato a fornire alcuni indicazioni sulla personalità di Giovanni Paolo II. Infatti, vista la conoscenza che il nuovo Papa aveva del socialismo e del comunismo, meccanismi di funzionamento dei partiti compresi, la sua elezione poteva rivelarsi difficile e pericolosa. Al di là dei colloqui diplomatici non ufficiali e dei comunicati ufficiali, anche all’interno del Polska Zjednoczona Partia Robotnicza (Pzpr), ossia il Partito operaio unificato polacco (Poup) non mancarono reazioni di segno positivo, caratterizzate da una sorta di orgoglio nazionale[2]. D’altronde, come ha scritto André Frossard in una biografia di Giovanni Paolo II in merito all’implosione del totalitarismo sovietico, il Papa polacco avrebbe parlato di «sorprese della storia». A testimoniare queste «sorprese», quasi in controtendenza rispetto al contesto politico in cui si trovava la Polonia, le parole scritte dal generale Wojciech Jaruzelski, all’epoca ministro della Difesa:«La mia prima reazione, per quanto ricordo, fu uno strano senso di compiacimento. Un po’ come se la Polonia avesse conquistato una nuova medaglia d’oro, del tutto insperata, ai giochi olimpici … Un polacco sul trono di San Pietro! […] vedevo in questo fatto una nuova consacrazione del ruolo che il nostro paese giocava sulla scena internazionale. Gli interrogativi politici vennero solo più tardi»[3].

 Una reazione analoga è descritta da Mieczyslaw F. Rakowski, esponente dell’ala riformista del Poup e direttore del settimanale Politika che in una trasmissione televisiva polacca dal titolo Uno shock per la nazione Rakowski disse: «Nella mia redazione l’elezione di Wojtyla ha suscitato anche molte emozioni e perfino euforia. Alcuni colleghi si comportavano come se si fosse alla vigilia di un cambio dei governi comunisti in Polonia».

Effettivamente la reazione condivisa della maggioranza dei polacchi fu un misto di fierezza e di gioia. Il senso di contare nuovamente agli occhi del mondo e della Chiesa sembrò essere l’elemento dominante per i cuori dei polacchi all’indomani dell’elezione di Giovanni Paolo II. Un sentimento che contrastava naturalmente il regime di Mosca e faceva preoccupare non poco i governanti polacchi. Le ricadute indirette, per parte sovietica, sulla politica interna della Polonia dopo l’elezione del metropolita di Cracovia erano imprevedibili. Come scrive lo storico Ryszard Terlecki nella prefazione del libro di Marek Lasota dal titolo Karol Wojtyla Spiato (Edizioni Interscienze)«Nello stesso istante, in tutte le capitali comuniste, gli imponenti funzionari dell’impero del male scalpitavano rabbiosi». Secondo le previsioni del cardinale di Vienna Franz König, «un terremoto stava per colpire tutta l’Europa dell’est»[4]. Al regime comunista polacco e a quello sovietico fece gioco l’intensa attività svolta dalla Bezpieka, i servizi di sicurezza polacchi, “interessati” a Karol Wojtyla fin dall’inizio del suo ministero episcopale. «Le iniziative operative intraprese nei confronti del vescovo e cardinale furono inizialmente limitate al solo territorio del voidovato e dell’arcidiocesi, per poi gradualmente essere estese a tutta la Polonia e, durante il Concilio Vaticano II, trovare attuazione nel contesto di complessi intrighi architettati ai più alti livelli della politica internazionale»[5]. Le prove di tale interesse, che via via si trasformò in vera e propria sorveglianza – nonostante la distruzione di molti documenti – furono trasferiti presso il ministero degli interni di Varsavia. «Sicuramente, quando parte del materiale finì nell’archivio della Bezpieka, copie dei documenti più importanti furono mandate a Mosca.

Negli Ottanta, l’entrare in possesso di preziose informazioni riguardanti il Papa, quanto più possibile ottenute osservandolo da vicino, significava per questa particolare struttura dei Servizi di Sicurezza dare prova di abilità nello svolgere un’attività pomposamente definita di spionaggio. Inoltre, rappresentò un banco di prova per la valutazione dell’utilità dei «compagni» polacchi da parte dei loro superiori sovietici»[6]. Secondo lo storico Terlecki i documenti a cui si fa riferimento non erano presenti solo negli archivi di Varsavia e Mosca, ma numerosi resoconti ed estratti si trovavano anche a Berlino, Praga e Sofia, cioè quelle capitali di Paesi satellite all’Urss. Al termine della dittatura in Polonia le tracce delle attività dei Servizi di sicurezza furono per certi versi cancellati, altri invece no per mancanza di tempo. Quando nel 2001 nacque l’Istituto della Memoria Nazionale (Ipn, Instytut Pamięci Narodowej) il suo compito fondamentale fu quello di acquisire gli archivi del regime comunista, nei quali si trovavano i documenti della Bezpieka, conservati nell’Ufficio della Sicurezza di Stato. Come scrive proprio Terlecki, nella sezione di Cracovia dell’Ipn erano stati raccolti quasi settemila metri linei di atti, per oltre il 15 per cento provenienti dall’Ufficio della Sicurezza e dai Servizi di Sicurezza. Questo ha permesso a tantissimi ricercatori, storici, giornalisti di poter attingere al grande lavoro dell’Ipn.

Un altro documento che aiuta a comprendere meglio il giudizio delle autorità comuniste nei confronti di Karol Wojtyla è una nota del novembre del 1963 preparata dalla sezione amministrativa del comitato centrale del Poup sulle sedi episcopali vacanti. Tra queste era compresa l’arcidiocesi di Cracovia, in seguito alla morte del suo amministratore apostolico, monsignor Eugeniusz Baziak. Il governo aveva respinto la terna dei candidati presentati come di consueto dal cardinale Wyszynski. A proposito di Karol Wojtyla si faceva notare la sua capacità di organizzatore che avrebbe consolidato la curia e il clero diocesano, ma anche rinvigorito e unito attorno a sé una parte delle migliori intelligenze della gioventù cattolica. Gli analisti del Poup, come si evince dai dossier dei servizi di sicurezza di Cracovia, concludevano che monsignor Wojtyla, «nonostante le apparenti tendenze al compromesso e l’elasticità, di cui ha dato prova nei rapporti con le autorità statali, è un avversario ideologico molto pericoloso»[7].

Il lavoro di Marek Lasota rivela non solo il funzionamento della Bezpieka e il contenuto di documenti segreti, ma anche le operazioni di spionaggio e le strategie sotterranee messe in atto nei confronti di Karol Wojtyla durante tutto il periodo comunista, ma rende noti i documenti originali di questa attività. Si comprende bene come, una volta divenuto pontefice Giovanni Paolo II, i polacchi non addolcirono le loro posizioni intransigenti rispetto a certi regimi comunisti. Dunque fu prevedibile un ulteriore rinvigorimento del cattolicesimo polacco con l’immediata conseguenza di “fare quadrato” attorno al nascente movimento sindacale polacco che prese il nome di Solidarnosc.  Alle prudenti reazioni ufficiali, che avevano anche lo scopo di non offendere la sensibilità della maggioranza della società polacca, va associata la decisione del vertice del Poup di inviare una delegazione di alto livello alla cerimonia di intronizzazione del nuovo pontefice guidata da Henryk Jabloński e che comprendeva tra gli altri Kazimierz Kakol e Józef Czyrek, e di autorizzare la trasmissione radiotelevisiva della messa inaugurale di Giovanni Paolo II. Tuttavia non mancarono, fin dai primi giorni del pontificato wojtyliano, tentativi di comprendere la svolta che l’elezione di un Papa dell’Est avrebbe impresso nei rapporti con il blocco socialista. Tali analisi andavano in due direzioni: da una parte si voleva capire cosa sarebbe cambiato a Roma e di riflesso, nelle relazioni internazionali, se sarebbe continuata l’Ostpolitik. Per altri versi furono anche analizzate le reazioni della società polacca con l’intento di prevedere possibili conseguenze dopo l’elezione di Giovanni Paolo II avrebbe provocato in Polonia[8].

Il timore principale era che il Papa polacco, data la sua esperienza del mondo comunista, non avrebbe più avuto bisogno della mediazione della curia e avrebbe accantonato l’approccio diplomatico rappresentato dall’Ostpolitik. I critici dell’Ostpolitik fino ad allora seguita dal Vaticano si aspettavano che Giovanni Paolo II destituisse il cardinale Segretario di Stato Agostino Casaroli, fino ad allora responsabile della Ostpolitik del Vaticano, definito «l’artefice della politica orientale di Paolo VI», e che aveva servito sotto tre papi. Tuttavia Giovanni Paolo II, nel segno di una certa continuità, lasciò che fosse ancora lui l’interlocutore in prima linea, mentre il Papa, nelle sue comunicazioni e nelle nomine dei vescovi, aveva cautamente imboccato una strada nuova e realistica[9]. Ad avvalorare la tesi della nuova e più realistica strada diplomatica è il più accreditato biografo di Giovanni Paolo II: George Weigel. Il giornalista statunitense e autore di Testimone della speranza nel 2012, nel libro La fine e l’inizio  ricostruisce la storia della lotta di Karol Wojtyla contro il comunismo alla luce di documenti riservati resi pubblici da qualche anno, completando di fatto il suo primo lavoro biografico su Giovanni Paolo II. Il volume è ricco di elementi e spunti di riflessione. Tra questi un passaggio molto interessante fa riferimento alla gestione interna alla Curia vaticana dell’Ostpolitik inaugurata da Giovanni XXIII e condotta sul terreno delle relazioni diplomatiche dal cardinale Agostino Casaroli da un lato e l’opposizione al comunismo di Karol Wojtyla dall’altro. Al riguardo Weigel cita un resoconto di un incontro avvenuto nella Stanza delle Mappe  alla Casa Bianca il 15 dicembre 1981, pochi giorni dopo l’inizio delle Leggi marziali in Polonia, tra il presidente Usa Ronald Reagan e il Segretario di Stato vaticano Casaroli, accompagnato dall’arcivescovo Pio Laghi, allora delegato apostolico a Washington, e dal sostituto dell’arcivescovo Silvestrini, monsignor Audrys Bačkis. La rappresentanza americana era composta tra gli altri dal vicepresidente George Bush, il segretario di Stato Alexander Kaig e James Baker, capo dello staf del presidente Usa. Il colloquio durò novanta minuti e a parlare furono quasi esclusivamente Reagan e Casaroli. All’inizio del colloquio e secondo il memorandum riservato della conversazione che ne riassumeva ciascun punto – e che avveniva il giorno prima del massacro della miniera di Wujek -, Casaroli disse, in riferimento allo Stato di polizia instaurato in Polonia dal generale Jaruzelski, di reputare che Jaruzelski avesse agito così «sia a causa delle pressioni sovietiche, sia per prevenire un intervento degli stessi sovietici». Basandosi sulla sua personale conoscenza di Jaruzelski, il cardinale «pensava che il suo spirito nazionalista non volesse un intervento diretto dell’Unione Sovietica»[10].

Una tesi, questa, sostenuta anche successivamente da numerosi studiosi e analisti, oltre che dallo stesso Jaruzelski in diverse interviste rilasciate a giornali italiani e stranieri. Ma la parte più interessante del colloquio è quella in cui Reagan sostiene che «il Vaticano e il papa potevano esercitare un ruolo chiave negli avvenimenti della Polonia e dell’Europa dell’Est», perché la visita papale del giugno 1979 «aveva rivelato la “tremenda fame” di Dio nell’Europa orientale»[11]. Casaroli, sempre secondo il memorandum citato da Weigel replicò che sì, «c’era fame di Dio in specifici gruppi dell’Europa orientale», ma che «in generale la gioventù era “insensibile” a Dio», e questa osservazione rifletteva il suo giudizio sull’apatia generale presente tra i giovani. Dunque, concluse Casaroli, «il tempo non è ancora maturo per un vero cambiamento nell’Europa dell’Est», un giudizio che avrebbe ripetuto poi più tardi[12]. Scrive Weigel:«Durante i novanta minuti del colloquio fu Reagan quello che parlò di testimonianza morale e del potere della convinzione morale, e fu invece Casaroli che parlò di Realpolitik. Anche se nell’analisi di Casaroli sulla situazione del generale Jaruzelski c’erano elementi di verità, è importante notare come tra i due quello decisamente più indignato per l’imposizione della legge marziale fosse il presidente americano, mentre il Segretario di Stato vaticano assunse una posizione misurata e diplomatica. Ugualmente impressionanti sono le opinioni così divergenti tra Reagan e Casaroli riguardo alla prospettiva di un cambiamento della situazione nell’Europa centrale e orientale; non è facile capire come il punto di vista di Casaroli potesse riflettere quello del papa nel momento in cui affermò che Giovanni Paolo II condivideva la sua stessa convinzione secondo cui i tempi non erano maturi per un serio cambiamento a causa dell’apatia dei giovani “insensibili” a Dio; questo giudizio non era in linea con l’esperienza trentennale di pastorale di Karol Wojtyla ed era stato di recente contraddetto dal viaggio dei Nove giorni del giugno 1979, di cui Casaroli era stato testimone, ma che sembrava non aver compreso del tutto»[13].

In merito all’attività diplomatica della Santa Sede e all’Ostpolitik vaticana molto interessanti sono i libri di George Weigel, ma anche il volume Il martirio della pazienza scritto dall’arcivescovo Achille Silvestrini con l’introduzione del cardinale Agostino Casaroli.

Vincenzo Grienti

[1] A. SILVESTRINI, Introduzione ad Agostino Casaroli, Il martirio della pazienza. La Santa Sede e i paesi comunisti (1963-1989), a cura di Carlo Felice Casula e Giovanni Maria Vian, Torino, Einaudi, 2000, p.21

[2] M. IMPAGLIAZZO, Shock Wojtyla. L’inizio del pontificato, Cinisello Balsamo (Milano), San Paolo, 2010, pp. 306-307

[3] W. JARUZELSKI, Un così lungo cammino. Memorie, Milano, Rizzoli, 1992, p.180

[4]M.LASOTA, Karol Wojtyla Spiato, Milano, Interscienze, 2012, p.7

[5] R.TERLECKI, prefazione a M. LASOTA, Karol Wojtyla Spiato, p.8

[6] Ibidem

[7] M. IMPAGLIAZZO, op.cit., pp. 316-317

[8] M. IMPAGLIAZZO, op.cit., pp. 318-319

[9] M.F. FELDKAMP, La diplomazia pontificia, Milano, Jaka Book, 1998, p.112

[10]G.WEIGEL, La fine e l’inizio. Giovanni Paolo II: la vittoria della libertà, gli ultimi anni, l’eredità, Siena, Cantagalli, pp.gg 160-165

[11]Ibidem

[12] Ibidem

[13]ibidem