Grande Guerra 24-25 dicembre 1914: la tregua di Natale
Una storia che sembra una favola. Invece è realtà. Tutti i giornali del tempo, nel primo anno della Grande Guerra, ne parlarono. I soldati che fecero questa impresa vennero richiamati dai superiori. Forse fu il segnale più significativo del primo conflitto mondiale. Tutti pensavano che sarebbe durato poco, ma fu una guerra lunga con milioni di morti da entrambe le parti. Eppure una tregua accadde: nella notte tra il 24 e il 25 dicembre 1914. Un incontro avvenuto nella “terra di nessuno”, uno pezzo di terreno tra le trincee dei rispettivi schieramenti. La tregua non fu frutto di un accordo né tanto meno una prassi concordata. Anzi, quella che passo alla storia come “la tregua di Natale” non mancarono altri episodi di “fraternizzazione” con il nemico che furono però severamente giudicati negativi dagli alti comandi e subito proibiti per il futuro. Quella notte però, quasi per magia, i canti e le musiche natalizie echeggiarono da una trincea
Una storia a lungo dimenticata e raccontata in un film del 2005 scritto e diretto da Christian Carion. La trama della pellicola è incentrata sul fatto raccontato dai cronisti del tempo e il film venne presentato fuori concorso al Festival di Cannes del 2005 e nel 2006 candidato sia al Premio Oscar che al Golden Globe come miglior film straniero. La sceneggiatura inizia con scene di scolari che recitano discorsi patriottici che lodano i loro Paesi e condannano i loro nemici. In Scozia, due giovani fratelli, Jonathan e William, partecipano alla battaglia, seguiti dal loro parroco, padre Palmer. In Germania, Sprink viene interrotto durante una performance da un ufficiale tedesco che annuncia una chiamata riservata. Audebert guarda una fotografia di sua moglie incinta che egli ha dovuto lasciare in patria e si prepara ad uscire nelle trincee. Pochi giorni prima di Natale, le truppe scozzesi e francesi conducono un assalto combinato alle trincee tedesche in Francia. L’attacco provoca pesanti perdite da entrambe le parti, ma non interrompe la situazione di stallo della guerra di trincea. Uno dei fratelli scozzesi, William, viene ferito a morte durante l’attacco e suo fratello Jonathan è costretto ad abbandonarlo nella terra di nessuno durante la ritirata. Audebert, nella confusione, perde il portafogli nella trincea tedesca.
Bruce Bairnsfather, testimone degli avvenimenti, scrisse: “Non dimenticherò quello strano e unico giorno di Natale per niente al mondo… Notai un ufficiale tedesco, una specie di tenente credo, ed essendo io un po’ collezionista gli dissi che avevo perso la testa per alcuni dei suoi bottoni [della divisa]… Presi la mia tronchesina e, con pochi abili colpi, tagliai un paio dei suoi bottoni e me li misi in tasca. Poi gli diedi due dei miei bottoni in cambio… Da ultimo vidi uno dei miei mitraglieri, che nella vita civile era una sorta di barbiere amatoriale, intento a tagliare i capelli innaturalmente lunghi di un docile “Boche”, che rimase pazientemente inginocchiato a terra mentre la macchinetta si insinuava dietro il suo collo”.
L’episodio non venne riportati dai media per giorni, ma il 31 dicembre 1914 il The New York Times pubblicato negli Stati Uniti, Paese che in quel momento era rimasto nella neutralità, diede notizia. I giornali britannici non “bucarono” la notizia e nei primi giorni di gennaio del 1915 pubblicarono le testimonianze di alcuni soldati, raccolte dalle lettere inviate alle famiglie. La notizia fece il giro del mondo e molti editoriali commentarono che quel giorno di Natale era stata “una delle più grandi sorprese di una guerra sorprendente”. Dall’8 gennaio 1915 vennero pubblicate le prime fotografie. Tra i quotidiani fu Daily Mirror e Daily Sketch a tirare fuori la storia sotto il profilo di immagini. La Stampa internazionale era sostanzialmente a favore dell’evento. Il Mirror deplorò “l’assurdità e la tragedia” che sarebbe ripresa dopo la tregua e questo non piacque ai Governi dei Paesi in conflitto.
La partita di calcio che avvenne a Ypres, uno dei luoghi più drammatici del Primo conflitto mondiale per via dei centinaia di morti che furono lasciati sul campo, diventò simbolo di una guerra che non era voluta dalla gente.
“Mentre osservavo il campo ancora sognante, i miei occhi hanno colto un bagliore nell’oscurità . scrive un soldato in una lettera dal fronte -. A quell’ora della notte una luce nella trincea nemica è una cosa così rara che ho passato la voce. Non avevo ancora finito che lungo tutta la linea tedesca è sbocciata una luce dopo l’altra. Subito dopo, vicino alle nostre buche, così vicino da farmi stringere forte il fucile, ho sentito una voce. Non si poteva confondere quell’accento, con il suo timbro roco. Ho teso le orecchie, rimanendo in ascolto, ed ecco arrivare lungo tutta la nostra linea un saluto mai sentito in questa guerra: ‘Soldato inglese, soldato inglese, buon Natale! Buon Natale!'”. Una lettere come moltissime altre raccolte in tanti libri come quello di Antonio Besana, pubblicato dalla Edizioni Ares, dal titolo 1914. Qualcosa di nuovo sul fronte occidentale. Viaggio sui campi di battaglia della Tregua di Natale. Questo libro ha due pregi. Anzitutto, è un’indagine a tutto tondo su quell’avvenimento e sul suo contesto, quel saliente belga di Ypres tristemente noto per le sue sanguinose battaglie marchiate dall’uso del gas. In secondo luogo, è una narrazione avvincente, che parte dal basso, cioè dai resoconti spontanei dei soldati stupefatti per quanto accadde in quel terribile contesto di fango, gelo e fuoco. La voce di quei soldati continua a parlarci intatta da oltre un secolo di distanza grazie alle lettere, alle interviste dell’epoca e al ricchissimo materiale ritrovato dall’autore nei musei di guerra di mezza Europa. C’è di più. C’è la cronaca di un viaggio sul filo della memoria, la mappa dei luoghi, le fotografie, le canzoni, la filmografia, la sitografia, perfino l’elenco delle app che aiutano a orientarsi tra le linee di quello che fu il Fronte occidentale della Grande guerra: un omaggio al cuore dell’uomo con le armi pacifiche della memoria e della cultura.
Tra le fotografie più diffuse della “Tregua di Natale” pubblicata da giornali, riviste e libri di storia c’è quella del soldato francese che si fa accendere la sigaretta dal militare tedesco in un momento di “cessate il fuoco”, di relativa calma, prima che le armi inizieranno a tuonare e trucidare uomini, ma questa è un’altra storia che, purtroppo, tutti sanno come è andata a finire.
Uno tra i film che ha riscosso il favore del pubblico specialmente su piattaforme come Netflix è Niente di nuovo sul fronte occidentale di Edward Berger. Una produzione tedesca che racconta la storia del giovane soldato Heinrich Gerber che apre il kolossal fiondandosi nella terra di nessuno, colma di cadaveri e carcasse, vedendo con orrore la morte di Franz, suo amico, e di un altro soldato a noi anonimo. Heinrich uccide un soldato francese con una vanga, e, conseguentemente, viene ucciso a sua volta. In seguito all’attacco, i cadaveri vengono rinvenuti, e nelle retrovie delle trincee viene prelevato anche il corpo defunto di Heinrich: i cadaveri vengono spogliati del loro equipaggiamento e sepolti. Tale equipaggiamento viene spedito a una fabbrica tessile, dove le uniformi vengono lavate, pulite e fatte asciugare.
Il film si muove su due fronti, quello fisico del fango delle Argonne, della Champagne o della Somme, che esauriva i combattenti di entrambi i campi, saldati al suolo dai loro pesanti scarponi, e quello intangibile della retorica, accomodata nei salotti o nei velluti di vagoni con generali e burocrati votati alla follia. La follia di offensive e controffensive che si susseguono senza sosta ‘sul fronte occidentale’ per un crinale, un passaggio o più vanamente per qualche metro di terreno. Gli uomini attaccano e muoiono. Solo i vivi si spostano, riprendono la posizione e poi la perdono. Di quella generazione sacrificata da un’élite militare dissennata, riferisce il film di guerra antiguerra di Berger, riecheggiando le pagine di Erich Maria Remarque. Terza volta al cinema per il suo bestseller risolutamente pacifista sulla gioventù schiacciata dalla Grande Guerra.
“1917” è invece un film di Sam Mendes che ripercorre alcuni aspetti della prima guerra mondiale attraverso le vicende di due giovani soldati britannici, Schofield e Blake ricevono una missione apparentemente impossibile. In una corsa contro il tempo, devono attraversare il territorio nemico e consegnare un messaggio che arresterà un attacco mortale contro centinaia di soldati, tra cui il fratello di Blake.
I due soldati appartengono entrambi all’ottavo battaglione e prima di essere camerati, sono innanzitutto amici. Non stupisce quindi che vengano scelti proprio loro due, insieme, per portare a termine un’ardua missione: attraversare l’ostile territorio nemico per consegnare un messaggio a un battaglione di 1600 uomini, tra cui il fratello di Blake, Joseph (Richard Madden). Così facendo, impedirebbero ai soldati di cadere in una trappola mortale, ordita dai nemici tedeschi. L’impresa è al limite del possibile, perché il tempo per svolgerla è poco e il territorio da attraversare è impervio. La loro rotta è a sudest e il loro equipaggiamento base è fornito anche di mappe e torce. I due soldati dovranno raggiungere il battaglione accampato nei pressi di Écouste e consegnare l’avvertimento del generale Erinmore (Colin Firth) al colonnello Mackenzie (Benedict Cumberbatch).
I due si imbarcano in quella che sembra una missione suicida, nella quale i Tedeschi e il tempo sono i loro nemici giurati. Nonostante la loro amicizia venga messa a dura prova dalle difficoltà incontrate lungo il cammino, Blake e Schofield riusciranno a consegnare il messaggio prima che sia troppo tardi?
Due film che ripercorrono episodi della Grande Guerra proprio per far comprendere perché quel conflitto fu una vera e propria “inutile strage”.
Vincenzo Grienti