Giorni di Storia

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Così la Divisione “Acqui” salì in cielo. La battaglia e l’eccidio di Cefalonia

L’annuncio dell’armistizio con gli anglo-americani, annunciato dal Maresciallo Badoglio alla radio la sera dell’8 settembre 1943 colse di sorpresa anche i soldati della Divisione “Acqui” che si trovavano dislocati tra le isole greche di Cefalonia e Corfù. Dall’aprile 1941, infatti, dopo la tragica campagna di Grecia-Albania, grazie all’intervento dei tedeschi, gli italiani avevano occupato la Grecia e i ragazzi della “Acqui” avevano trascorso un periodo di tranquillità, una sorta di “vacanza” in un vero “paradiso” quale era, ed è tutt’ora, l’isola di Cefalonia, instaurando un ottimo rapporto con i cefalleni.

Il fante Olindo Bussi (vivente) con il mestolo e i suoi commilitoni del 18° Rgt. Acqui

Gli Ufficiali della “Acqui” intuirono subito di trovarsi di fronte ad una situazione difficile, placando immediatamente i facili entusiasmi di gran parte della truppa, che credeva nella fine della guerra. Giunsero ben presto, infatti, le richieste di resa e cessione delle armi da parte del contingente tedesco dell’isola. Il Comandante della Divisione “Acqui”, il Generale Antonio Gandin, era un Ufficiale equilibrato, di lunga esperienza che conosceva molto bene i tedeschi, con i quali aveva avuto rapporti ad alti livelli, facendosi stimare ed apprezzare. Egli era conscio che, sebbene la Divisione avesse al momento un’ampia superiorità numerica: circa 11.500 uomini contro i 1800 tedeschi, uno scontro avrebbe comportato certamente una sconfitta per la completa superiorità aerea dei tedeschi e per l’arrivo, in breve tempo, di ingenti rinforzi dalla terraferma. L’alto Ufficiale temeva, cosa che puntualmente si verificò, che la “Acqui” invece, non avrebbe avuto alcun aiuto né dalla madre Patria, né dagli alleati. Egli, quindi, per qualche giorno prese tempo, cercando in tutti i modi di trovare una soluzione onorevole, per evitare di combattere e quindi salvaguardare i suoi 11.000 “figli di mamma”, come amava chiamare i suoi soldati, ma allo stesso modo, tutelare l’onore militare. Questa lunga trattativa però, scatenò delle forti tensioni tra i militari della “Acqui”, soprattutto tra i giovani Ufficiali, che non volevano cedere le armi ma combattere i tedeschi.

Il generale Gandin con il generale Cavallero

Gandin, dopo aver “sondato” con una sorta di “referendum” la volontà di combattere dei suoi uomini, sciolse ogni dubbio, anche per aver ricevuto nel frattempo un fonogramma dal Comando Supremo di Brindisi che ordinava di “considerare i tedeschi come nemici”, comunicando il rifiuto di resa e dando inizio così alle ostilità. Dopo otto giorni di durissima battaglia, il 22 settembre gli italiani furono costretti ad arrendersi e i tedeschi attuarono, con una ferocia bestiale, l’”operazione Verrat”, ossia “tradimento”, trucidando sul posto i soldati della “Acqui” ormai prigionieri. Fu un massacro! La maggior parte degli Ufficiali, venne poi radunata presso la “Casetta rossa” e fucilati senza pietà. Solo pochi riuscirono a salvarsi, in parte perché trentini o altoatesini, in parte grazie al coraggio del Cappellano Don Romualdo Formato che eroicamente aveva assistito i condannati e supplicato per ore gli aguzzini nazisti. Sull’argomento sono stati scritti moltissimi libri e ancora oggi, a 80 anni dai fatti, esistono versioni contrastanti e polemiche: dal numero dei caduti, inizialmente accreditato a 9000, ma che ormai, dagli ultimi studi sembra più ragionevolmente ridimensionato a 4000, al comportamento di alcuni dei protagonisti. Alcuni storici hanno esaltato l’episodio storico innalzandolo a un vero e proprio “mito”, mentre altri ne hanno sminuito il valore riducendo i caduti da eroi a povere vittime.  In questo nuovo lavoro, cerco di andare al di là delle polemiche e delle diverse “verità”. Il mio intento è infatti, quello di ricordare i protagonisti e, come è nel mio stile, realizzo un “racconto reale” attraverso i loro ricordi, le loro emozioni, le loro paure, ma soprattutto il loro grande coraggio ed in taluni casi puro eroismo. Grazie a lunghe ricerche d’archivio e bibliografiche, e grazie alle numerose testimonianze estratte da centinaia di documenti o da pubblicazioni, ma anche inedite come quelle dei memoriali, riportati in appendice, dell’allora Sottotenente Eneo Sambraello, del Tenente Cappellano Romualdo Formato, del Sergente Maggiore Clodoveo Luigi Crotti, del Caporale Mario Martelli e dei Fanti Remigio Albenga e Odino Monassi, provo a far rivivere, 80 anni dopo, quei tragici giorni facendo parlare gli stessi protagonisti, quasi ora per ora, in maniera viva ed avvincente.

In appendice oltre ai succitati memoriali inediti, riporto l’elenco completo delle ricompense al Valore di Cefalonia con le relative motivazioni (lavoro che fino ad ora era sempre stato confuso o incompleto) e ben 32 biografie di alcuni dei protagonisti di cui due ancora in vita che hanno voluto onorarmi dei loro ricordi e della loro commovente testimonianza.

La memoria di chi ha sacrificato la sua vita o la sua giovinezza per la nostra Nazione e per i più grandi ideali di Libertà non deve mai venir meno. Disse il Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi ai reduci presenti a Cefalonia il 1° marzo 2001:

“[…] Schierati di fronte ai vostri comandanti di reparto, vi fu chiesto in circostanze del tutto eccezionali, in cui mai un’unità militare dovrebbe trovarsi, di pronunciarvi. Con orgoglioso passo avanti faceste la vostra scelta, unanime, concorde, plebiscitaria: combattere, piuttosto che subire l’onta della cessione delle armi. Decideste così consapevolmente il vostro destino. Dimostraste che la Patria non era morta. Anzi, con la vostra decisione, ne riaffermaste l’esistenza. Su queste fondamenta risorse l’Italia. […]”

Pier Luigi Villari
Ricercatore storico