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Brevi cenni storici sull’emigrazione italiana in Uruguay (1821-2021)

Abbiamo più volte fatto cenno su questo portale all’emigrazione italiana in Sud America, analizzando fatti ed eventi legati essenzialmente al Brasile e all’Argentina, ove maggiore è stata ed è la presenza italiana. In realtà, ricordando la figura del Maestro di musica Luis Paolillo, celebre Direttore di Bande Musicali, sia civili che militari, abbiamo anche marginalmente fatto cenno anche all’emigrazione, essa stessa massiccia, che interessò la Repubblica Orientale dell’Uruguay, soprattutto dopo la proclamazione del Regno d’Italia. A tale contributo ha fatto, poi, seguito il recente saggio dedicato alla storia dei rapporti diplomatici che hanno interessato i due Paesi, nel corpo del quale è stata pure trattata la materia, sebbene in un quadro generale e, quindi, non approfondito a dovere. Compito del presente saggio è, dunque , quello di ricostruire le vicende storiche di questo importantissimo fenomeno sociale, il quale, al di là dei precedenti, sporadici insediamenti di italiani (per lo più liguri e piemontesi) verificatesi in epoche remote (a partire dallo stesso Cinquecento, allorquando giunsero nella nuova colonia spagnola marittimi e commercianti genovesi) avrebbe avuto un suo particolare peso solo dopo il 1821, come approfondiremo a breve[1].

  1. La prima vera ondata (1821 – 1861).

Un primo vero esodo di italiani verso il Rio de la Plata (Argentina e Uruguay) ebbe luogo all’indomani dei moti insurrezionali napoletani e piemontesi del 1820 e del 1821, ed interessò numerosi sudditi i quali, essendosi compromessi, sia ideologicamente che fisicamente,  sfuggirono così a condanne capitali e a durissime pene detentive. La prima grande ondata di esuli dall’Italia interessò, quindi, anche la “Banda Orientale” (l’odierno Uruguay), che, in verità, proprio nel 1821 sarebbe stata annessa al Regno Unito di Portogallo, Brasile e Algarve, peraltro ribattezzata col titolo di “Provincia Cisplatina” (cioè “al di qua del Rio de la Plata”). I tanti patrioti italiani (un tempo liguri e piemontesi, ma adesso anche napoletani) s’inserirono immediatamente nel tessuto socio-economico della Provincia federativa, accolti fraternamente sia dagli abitanti di Montevideo che delle altre località Orientali. In realtà sarebbero stati gli stessi esuli italiani i primi ad accorrere al nuovo conflitto che avrebbe contrapposto l’Uruguay all’Argentina, scaturito dopo che nel 1825 il Paese si era ribellato al Brasile. Gli esuli avrebbero fatto la propria parte anche negli anni che seguirono tale evento e che portarono, nel 1828, alla proclamazione dello Stato libero della “Banda Orientale”, poi divenuto Repubblica nel 1830 col nome di “Republica Orientale dell’Uruguay”. Tale circostanza favorì una nuova fase dell’emigrazione economica dall’Italia, agevolata dalla crescita dei rapporti commerciali fra l’Uruguay e gli allora numerosi Stati nei quali era ancora frazionata la nostra Penisola. Una seconda ondata di emigranti politici dall’Italia si verificò sia dopo i moti del 1831 che del 1834, fatti, questi, che portarono in Uruguay altri numerosi liberali e patrioti costretti a fuggire ai tribunali degli Stati preunitari interessati (Stato Pontificio, Ducati di Modena e Parma e Regno di Sardegna), come avvenne per il futuro “Eroe dei Due Mondi”, Giuseppe Garibaldi[2], il futuro Generale che tra il 1843 e il 1845, al comando dei volontari italiani della gloriosa “Legione di Montevideo”, creata dal mazziniano Giovan Battista Cuneo, avrebbe difeso la Capitale durante l’assedio ordinato dal Generale Oribe, nell’ambito delle guerre intestine fra i “Blancos” e i “Colorados”, ovvero nelle guerre indipendentiste contro l’Argentina di Manuel Rosas. Nel precedente saggio avevamo ricordato il 1834 come l’anno in cui a Montevideo veniva istituito un Ufficio Consolare dell’allora Regno di Sardegna, il primo Stato italiano che aveva riconosciuto la Repubblica Orientale. Ciò era stato giustificato proprio da quella cresciuta numerica della Colonia sarda lungo le rive del Rio de la Plata, la cui maggior parte dei componenti era dedita al comando di navigli che effettuavano il cabotaggio in quelle acque, ma anche la custodia di magazzini e il maneggio dei negozi. Nel 1838, almeno secondo le valutazioni del Console Generale di Sardegna attivo in Buenos Aires, oltre 3000 piemontesi esercitavano il cabotaggio, armando oltre 600 piccole imbarcazioni atte a navigare sul Rio Negro, lungo il Rio Uruguay e sugli altri i fiumi che s’immettevano sullo stesso Rio de la Plata. In quel frangente storico, la vita della Repubblica Orientale era limitata o quasi all’attività dei centri costieri. Fu solo nella seconda metà dell’Ottocento che si pensò di iniziare lo sfruttamento del vastissimo territorio dell’interno del Paese, operazione in virtù della quale nacquero le prime Colonie agricole italiane, la più importante delle quali fu certamente quella sorta nel 1858 nei pressi del Rio di Rosario, a due leghe dalla confluenza col Rio de la Plata, formata da agricoltori piemontesi, soprattutto valdesi provenienti dalle parti di Pinerolo. In realtà, oltre ai sudditi di S. M. il Re di Sardegna erano giunti in Uruguay anche non pochi meridionali, al di là degli esuli politici, quasi tutti attivi nell’ambito delle attività marittime, fatto, questo, che aveva indotto, nel 1854, anche il Re delle Due Sicilie a nominare un proprio Console Generale a Montevideo (Don Pedro De Angelis). Ovviamente l’interesse per i buoni affari che si concludevano con la ricca Repubblica Orientale portò in quel Paese anche altri emigranti italiani provenienti dagli altri Stati preunitari, come lo erano sia il Regno Lombardo-Veneto che lo Stato Pontificio, il Granducato di Toscana e lo Stato Pontificio, persone certamente non spinte dalla sopravvivenza, come sarebbe, invece, accaduto dopo la proclamazione del Regno d’Italia, il 17 marzo 1861.

Montevideo agli inizi del Novecento

 

  1. Dall’unità d’Italia alla “Grande Guerra” (1861 – 1915).

Dopo il 1861, sulla scia di non pochi ex Garibaldini rimasti in quel Paese dopo aver partecipato alle varie guerre d’indipendenza, si verificò una notevole emigrazione dall’Italia verso l’Uruguay, la quale avrebbe, tuttavia, raggiunto il suo apice negli ultimi decenni dello stesso Ottocento, allorquando nel Paese Sudamericano giunsero oltre 110.000 italiani. Questi erano, per lo più, di origini genovesi, piemontesi, venete, ma soprattutto campane e siciliane. A facilitare la partenza di migliaia di braccia verso Montevideo erano stati anche gli effetti derivati dal c.d. “Trattato di commercio e di navigazione stipulato colla Repubblica Orientale dell’Uruguay” , stilato il 7 maggio del 1866 e ratificato con legge del 3 novembre 1867, con il quale si aprirono fra i due Paesi amici incredibili rapporti commerciali. Dall’elenco dei passeggeri arrivati a Montevideo, provenienti dall’Italia dal 1866 al 1868, apprendiamo che dai 4.090 del 1966 si passò agli 8.039 del 1868, per un totale di 19.111 persone[3]. Nel 1869, secondo una “Informe” della “Comision directiva de immigracion” gli italiani residenti in Uruguay avevano raggiunto la considerevole cifra di 65.060 unità, praticamente un sesto della popolazione totale del Paese, allora calcolata in circa 390.000 persone. Di queste ben 16.000 dimoravano in Montevideo, anche se, in quello stesso frangente storico, il Cav. Luigi Petich, Vice Console italiano a Rosario (Argentina), ne annovera oltre 25.000. Mentre a Maldonado si segnalavano 200 italiani, sui 12.000 abitanti di Colonia ben 5000 erano italiani. Considerevoli colonie di nostri connazionali risultano attestate nelle località di Roche e i Pan de Azucar, a Nuova Palmira, ove agricoltori italiani furono assunti da latifondisti inglesi. A Mercedes, sempre attorno al 1869, si contano oltre 3000 italiani, mentre a Fray Bentos, il secondo porto del Paese che si affaccia sull’Atlantico, presso la Compagnia inglese che introdusse in Uruguay il confezionamento delle carni con il sistema “Liebig”, ben 313 furono i “saladero[4] gestiti da italiani. A Paysandù, ben 9000 italiani monopolizzarono, invece, il piccolo commercio, armando anche dei battelli per la navigazione di cabotaggio. A Salto Oriental circa 3000 dei nostri diedero vita a varie attività commerciali, approfittando di quel ricco emporio, mentre nelle sperdute località di Uruguayana e S. Borja vengono segnalati non pochi mercanti ambulanti di origine napoletana, sempre secondo le relazioni del Console Petich. L’emigrazione verso la Repubblica Orientale dell’Uruguay conobbe una leggerissima flessione dopo il 1870, epoca nella quale sia l’Argentina che il Brasile (che peraltro avevano combattuto al fianco dello stesso Uruguay nella c.d. “guerra della triplice alleanza[5]) offrirono alle masse di emigranti italiani maggiori possibilità di inserimento, soprattutto nelle fertili aree delle pampas. Tra il 1875 e gli inizi del Novecento si verificò una nuova fase migratoria dall’Italia, storicamente conosciuta col nome di “immigrazione trasformatrice”, essendo conseguente al programma di ammodernamento varato dall’Uruguay in quegli anni, sia sul piano economico che sociale. Si trattava di nuovo di un’emigrazione, non solo di massa, essendo stimolata dalla forte propaganda varata nello stesso Uruguay e favorita dal viaggio prepagato, la quale coinvolse anche non pochi professionisti e artisti. Fu proprio in questo frangente storico, infatti, che gli italiani giunti nella Repubblica Orientale avrebbero fornito un validissimo apporto anche alla scienza, all’architettura, alla sanità, alla gastronomia e al progresso in generale, dopo quanto avevano già fatto nei settori edili, nel commercio, nei traffici marittimi e nel campo agricolo e in quello, soprattutto, dell’allevamento del bestiame, che ancora allora ricopriva uno dei primi posti nell’ambito dell’economia nazionale uruguayana. Non solo, ma come documentò, nel 1920, Horacio Araújo Villagrán nella celebre pubblicazione dal titolo “Los Italianos en il Uruguay”, non furono pochi gli italiani assurti ai massimi vertici dell’imprenditoria nazionale, della letteratura (come Delmira Agustini e Mario Benedetti) così come al mondo della politica, tanto che alcuni italo-uruguayani divennero anche Presidenti della stessa Repubblica (José Serrato, Gabriel Terra, Alfredo Baldomir Ferrari, Alberto Demicheli, Julio Maria Sanguinetti e Rafael Addiengo). La nuova ventata avrebbe interessato maggiormente le regioni del Sud Italia, nessuna provincia esclusa, come è facile verificare consultando le periodiche “Statistiche dell’Emigrazione Italiana”, pubblicate a cadenza biennale da parte del Ministero di Agricoltura, Industria e Commercio, per i tipi della Tipografia della Camera dei Deputati. Nel 1892, a dimostrazione di come la Colonia italiana a Montevideo avesse raggiunto uno sviluppo socio-economico di tutto rispetto, ricordiamo l’inaugurazione dell’Ospedale “Umberto I”, massima dimostrazione del genio italico in terra Sudamericana (il progetto era stato firmato nel 1890 dall’architetto italo-uruguayano Luigi Andreoni), il quale aveva fatto seguito alla nascita di non poche scuole elementari, così come società ed associazioni benefiche, operanti sia in campo assistenziale che culturale, come lo è la gloriosa “Società Unione e Benevolenza”, ovvero la “Società Dante Alighieri”, ancora oggi presente in varie località della Repubblica Orientale. Erano, quelli, anni felici per lo Stato Sudamericano, il quale, sotto le Presidenze di Juan Idiarte Borda (1894 – 1897) e di Juan Lindolfo Cuestas (1897 – 1903), conobbe un periodo pacifico e costruttivo, nel quale la manodopera qualificata italiana fu massicciamente impiegata sia nella costruzione di strade e ferrovie che nell’ampliamento dello stesso porto di Montevideo. Nei primi del Novecento, secondo un rapporto del Vice Console italiano a Montevideo, Cav. Stefano Carrara, del luglio 1901, il numero approssimativo degli italiani residenti in quel tempo in Uruguay oscillava <<…intorno agli 80 mila, dei quali circa la metà a Montevideo>>, mentre su di una popolazione totale della Repubblica, calcolata in 964.577 abitanti, circa il 25 % era composta da stranieri, il 50 % dei quali di sangue italiano. Nonostante una nuova leggera la flessione intercorsa proprio in quegli anni, nel periodo fra il 1903 e il 1913 (sotto la Presidenza di José Battle y Ordoñez) partirono dall’Italia per Montevideo 8.463 persone, mentre furono 10.538 quelle che sarebbero rientrate in Patria, e sempre nello stesso arco temporale. Nel 1908, anno nel quale fu eseguito un censimento nazionale, fra i 180.722 stranieri residenti in Uruguay ben 62.357  erano italiani, a fronte di una popolazione totale pari a 1.043.000 abitanti. Il flusso migratorio verso l’Uruguay s’interruppe nel corso della 1^ guerra mondiale, epoca nella quale erano divenuti molto difficili e rischiosi i viaggi attraverso le rotte Oceaniche, a causa delle vigliacche aggressioni ai vapori passeggeri da parte dei sommergibili tedeschi. Nel 1917 l’Uruguay protestò decisamente contro la guerra sottomarina, tanto che il 7 ottobre decise la rottura delle relazioni diplomatiche con la Germania, confiscandone anche alcune navi mercantili ancorate nel porto di Montevideo.

Montevideo negli anni Venti
  1. Dal primo al secondo dopoguerra (1919 – 1959).

L’emigrazione verso l’Uruguay riprese, seppure timidamente, già a partire dal 1919, quando, a seguito della smobilitazione delle truppe combattenti, moltissimi italiani tornati in  Patria per combattere ripresero le navi in direzione di Montevideo. Appartiene a questa fase anche l’emigrazione politica, derivata dall’avvento del fascismo in Italia. Secondo un censimento promosso nel 1924 dal Commissariato Generale dell’Emigrazione, la Colonia italiana presente nella Repubblica Orientale, nel frattempo divenuto un Paese più democratico e progredito rispetto al passato, ammontava a 127.000 persone (85.000 maschi e 42.000 femmine)[6]. I nuovi arrivi dall’Italia favorirono, ancora una volta, il progresso dell’agricoltura, praticata con successo nelle fertili pampas degli altipiani, e che avrebbe dato vita a nuove e importanti colonie agricole, come lo era, sempre nel corso degli anni ’20, la celebre “Colonia Porvenir[7], nel Dipartimento di Paysandù (Uruguay occidentale), composta da un centinaio di famiglie italiane, proprietarie di lotti che, a volte, raggiungevano anche i 50 ettari. Il flusso migratorio dall’Italia non si sarebbe interrotto nemmeno dopo il 1933, anno in cui l’Uruguay piombò nella dittatura, di chiara espressione fascista, fortemente voluta dal Presidente Gabriel Terra, anche lui di origini italiane, il quale avrebbe fortemente ostacolato l’immigrazione, “tagliando corto” con molti Paesi d’Europa, tranne che con il suo, con il quale, invece, mantenne un legame fortissimo, seguendo da vicino la politica Mussoliniana. Non dimentichiamo che fu proprio Mussolini a finanziare parzialmente la costruzione della diga idroelettrica che fu costruita sul lago artificiale Rincón del Bonete, sul Rio Negro, che attrasse nel Paese Sudamericano non poche ditte italiane, che in seguito avrebbero partecipato al processo di industrializzazione della Repubblica Orientale. Di sentimenti filo-italiani non poteva non essere il successore del Presidente Terra, Alfredo Baldomir Ferrari, al quale si deve, nel 1942, la decisione di rendere obbligatorio l’insegnamento della lingua italiana nelle scuole superiori del Paese. Al termine della 2^ guerra mondiale, l’Uruguay conobbe un’ultima fase dell’emigrazione italiana, sebbene molto più modesta e limitata ai primi 10-15 anni, venendo poi sostituita, in generale nel corso degli anni ‘60, da quella che avrebbe condotto molti italiani nel Nord Europa. Notevolissimo fu, in quel periodo, il ruolo che la Repubblica Orientale ebbe a favore della ripresa economica del nostro martoriato Paese, uscito a pezzi dall’immane conflitto. Migliaia di braccia furono sottratte dalla fame, ospitate ancora una volta sia nelle fabbriche che nelle campagne uruguayane, così come tonnellate di prodotti lanari e tessili, ovvero alimentari, quali grani e cereali, ma soprattutto le ottime carni bovine avrebbero raggiunto l’Italia a condizioni particolarmente vantaggiose. Mentre nel 1976 gli uruguayani di ascendenza italiana erano ancora oltre al milione e trecentomila, nel 2003 risultavano risiedere nel Paese solo 33.000 italiani. Attualmente la popolazione di origini italiane presente in Uruguay ammonta a 90.603 unità, a fronte di oltre 1.500.000 oriundi, pari, quindi, al 44% dell’intera popolazione uruguayana. Oltre a Montevideo, ove risiede la comunità più considerevole, la colonia italiana più forte è certamente quella stanziata a Paysandù, ove sono di origini italiane circa 80.000 abitanti, un vero record. Seguono le città di Salto, Rivera, Minas, Durazno, Rocha e Mercedes. I legami fra i due Paesi sono, quindi, ancora oggi fortissimi, nonostante siano trascorsi due secoli da quel primo esodo del quale abbiamo fatto cenno in apertura, segno evidente di come, ancora oggi l’Uruguay sia il più italiano dei Paesi dell’area Latino-Americana, tanto che la nostra lingua è la più diffusa dopo lo spagnolo, la lingua dei criollos, eredi di quel Juan Diaz de Solis, che per primo vi mise piede nel febbraio del 1516. Ebbene, dalla hazaña leggendaria della Legione Garibaldina di Montevideo ad oggi il nome d’Italia ha trovato sempre echi profondi nel cuore delle genti d’Uruguay, e  questo, per noi italiani rappresenta un grandissimo orgoglio.

 

Col. Gerardo Severino
Direttore del Museo Storico della Guardia di Finanza

 

[1] Sull’argomento vgs. Flora Casoni, Movimenti migratori e norme legislative negli Stati italiani anteriori alla costituzione del Regno (1815 – 1870), Monografia edita a Roma, 1927.

[2] Il Generale Garibaldi è ancora oggi uno statista molto amato in Uruguay. Alla sua memoria è stata intitolata in Montevideo una celebre Avenida (Corso), mentre un monumento è stato eretto nella città di Salta, così come portano il suo nome non poche altre strade sparse in tutta la Nazione.

[3] Cfr. Ministero di Agricoltura, Industria e Commercio, Statistica della Emigrazione Italiana all’Estero nel 1881, Roma, Tipografia Bodoniana, 1882, p. 242.

[4] Il “Saladero” è un impianto di produzione per la produzione di salamoia e carne essiccata nota come jerky (Cured) o jerky (jerky ). Tali stabilimenti proliferarono sia in Uruguay che in Argentina, Brasile e Bolivia tra la metà del XVIII secolo e l’inizio del XX secolo. Richiedevano pochi investimenti ed erano molto poco sofisticati, ragion per cui furono le prime vere industrie stabilite nella “Banda Orientale”.

[5] La “guerra della triplice alleanza”, nota anche come “guerra paraguaiana” fu il più sanguinoso conflitto della storia dell’America Latina e fu combattuta tra il 1864 e il 1870 dal Paraguay contro le tre nazioni alleate di Argentina, Brasile ed Uruguay.

[6] Cfr. Ministero degli Affari Esteri, “Gli italiani nel mondo”, in <<Bollettino del R. Ministero degli Affari Esteri>>, n. 1, gennaio 1928, p. 46.

[7] Il 17 luglio 1903, con l’Atto di Ley Nº 2.855, la località fu dichiarata “Pueblo” (villaggio) chiamato per l’appunto “Colonia Porvenir”.