Giorni di Storia

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6 gennaio 1964: quando Paolo VI pronunciò il discorso nella Grotta di Betlemme

Il 6 gennaio 1964 Paolo VI si trovava in Terra Santa in occasione del primo viaggio nei luoghi della nascita e della morte di Gesù. Un pellegrinaggio iniziato a Roma il 4 gennaio, giorno in cui Papa Montini aveva ricevuto il saluto del Presidente della Repubblica Antonio Segni: “Sentiamo nella sua voce di Capo dello Stato l’eco fedele dei sentimenti del Popolo Italiano, e non possiamo tacerLe la Nostra viva compiacenza e la Nostra ammirata riconoscenza – disse il pontefice a Ciampino prima della partenza -. Ci sentiamo perciò obbligati, prima di intraprendere il Nostro pellegrinaggio in Terra Santa, di rivolgere una parola di omaggio a Vostra Eccellenza, di saluto e di augurio a quante Personalità ecclesiastiche, civili e militari sono qui presenti, ed a tutti gli uomini di buona volontà, che guardano a Noi in quest’ora particolarmente significativa”. 
Paolo VI, poi, aggiunse: “È stato detto giustamente che il Successore del primo degli Apostoli ritorna dopo venti secoli di storia là, di dove Pietro è partito, portatore del Messaggio cristiano. E di fatto vuol essere il Nostro un ritorno alla culla del Cristianesimo, ove il granello di senapa dell’evangelica similitudine ha messo le prime radici, estendendosi come albero frondoso, che ormai ricopre con la sua ombra tutto il mondo (cfr. Matth. 13, 31 s.); una visita orante ai Luoghi santificati dalla Vita, Passione e Resurrezione di Nostro Signore”. 
Infine la motivazione del viaggio: “È un pellegrinaggio di preghiera e di penitenza, per una partecipazione più intima e vitale ai Misteri della Redenzione, e per proclamare sempre più alto davanti agli uomini, come annunziammo nel Nostro primo Messaggio Urbi et Orbi, che « solo nel Vangelo di Gesù è la salvezza aspettata e desiderata: “poichè non c’è sotto il cielo altro nome dato agli uomini, mercè il quale abbiamo ad essere salvati ” (Act. 4, 12)».”
Un evento molto importante di cui Giorni di Storia vuole riproporre il discorso, allora pronunciato in francese, nella Solennità dell’Epifania,  nella Santa Grotta di Betlemme. 

Vorremmo rivolgerci semplicemente:
prima a Cristo, poi alla Chiesa, infine al mondo.

  1. A Cristo, in questa festa dell’Epifania – che assume il duplice aspetto della manifestazione di Dio e della chiamata dei popoli alla fede – presentiamo con cuore umile e modesto, ma sincero e gioioso, l’offerta della Nostra fede , La nostra speranza e il nostro amore.

Solennemente, a Lui rivolgiamo a Pietro la professione di fede: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente» ( Mt 16,16).

Gli diciamo ancora, come Pietro: “Signore, da chi andremo? Tu solo possiedi le parole di vita eterna” ( Gv 6,60).

Facciamo ancora nostro il grido di rammarico e la confessione sincera di Pietro: «Signore, Tu sai tutto; Tu sai che ti amiamo» (cfr Gv 21,17).

Ai suoi piedi, come gli antichi Magi, deponiamo qui i doni simbolici, riconoscendo in Lui il Verbo di Dio fatto carne e uomo, figlio della Santissima Vergine Maria, nostra Madre, il primogenito dell’umanità. Lo salutiamo come il Messia, il Cristo, unico e insostituibile Mediatore tra Dio e gli uomini; il Sacerdote, il Maestro, il Re, Colui che era, che è e che verrà.

È questa stessa confessione che proclama oggi la Chiesa di Roma; questa Chiesa che era quella di Pietro e che Tu stesso hai fondato, Signore, su questa stessa pietra, e che è, quindi, la tua Chiesa. Ed è per questo che anche oggi la vostra Chiesa prosegue attraverso una successione apostolica ininterrotta fin dalle origini; Questa Chiesa, tu la segui e la difendi, la purifichi e la fortifichi; Tu sei la sua Vita, o Cristo della Chiesa di Roma!

Questa professione, Signore, è quella di tutta la tua Chiesa, che Tu vuoi e rendi una, santa, cattolica e apostolica. Tutti i pastori e i sacerdoti, tutti i religiosi e i fedeli, tutti i catecumeni della vostra Chiesa universale vi presentano con Noi questa stessa professione di fede, speranza e amore.

Tutti accogliamo la tua umiltà e confessiamo la tua grandezza; Tutti ascoltiamo la Tua Parola e aspettiamo il Tuo ritorno alla fine dei tempi. Ti ringraziamo tutti, Signore, per averci salvati, elevati alla dignità di figli di Dio, per averci resi tuoi fratelli e per averci ricolmati dei doni dello Spirito Santo.

Tutti promettiamo di vivere da cristiani, nello sforzo di continua docilità alla tua grazia e di rinnovamento nei costumi.

Ci impegneremo tutti a diffondere il Tuo messaggio di salvezza e di amore in tutto il mondo.

  1. Dinanzi a questo presepe, Signore, vogliamo poi rivolgere le Nostre parole alla Chiesa, alla testa della quale Tu hai voluto scegliere il nostro povero come pastore universale.

Queste parole, eccole, semplicemente: la Chiesa di Cristo voglia essere con Noi oggi e associarsi all’offerta che anche in suo nome presentiamo al Signore. In questa comunione sta la sua efficacia, la sua dignità e la sua armonia con quelle note che autenticano la vera Chiesa. Viviamo nell’ora storica in cui la Chiesa di Cristo deve vivere la sua unità profonda e visibile. È tempo per noi di rispondere al desiderio di Gesù Cristo: «Che siano perfettamente una cosa sola e che il mondo riconosca che tu, Padre, mi hai mandato» ( Gv 17,23). L’unità interna della Chiesa corrisponde alla sua forza esterna, apologetica e missionaria.

Dobbiamo completare il nostro Concilio Ecumenico; dobbiamo assicurare alla vita della Chiesa un nuovo modo di sentire, volere e comportarsi; per aiutarlo a trovare la bellezza spirituale in tutti gli aspetti: nell’ambito del pensiero e della parola, nella preghiera e nei metodi educativi, nell’arte e nella legislazione canonica.

Ci vorrà uno sforzo unanime al quale tutti i gruppi dovranno collaborare. Fate sentire a tutti la chiamata che Cristo rivolge loro attraverso la Nostra voce.

Questo diciamo ai cattolici che già appartengono all’ovile di Cristo. Ma non possiamo non rivolgere lo stesso invito ai fratelli cristiani che non sono in perfetta comunione con noi. È ormai chiaro a tutti che non possiamo evitare il problema dell’unità; oggi questa Volontà di Cristo si impone alle nostre menti e ci chiede di intraprendere con sapienza e amore tutto il possibile affinché tutti i cristiani possano godere del grande beneficio e del supremo onore dell’unità della Chiesa.

Anche nelle circostanze del tutto particolari nelle quali ci troviamo oggi, dobbiamo dire che un simile risultato non può essere ottenuto a scapito delle verità di fede. Non possiamo essere infedeli a questa eredità di Cristo; non è nostro ma suo; noi ne siamo solo i depositari e gli interpreti. Ma, lo ripetiamo ancora, siamo disponibili a prendere in considerazione ogni ragionevole mezzo atto a spianare le vie del dialogo, con rispetto e carità, in vista di un futuro incontro, – e Dio voglia che sia ravvicinato – con i fratelli cristiani erano ancora separati da noi. La porta dell’ovile è aperta. L’aspettativa di tutti è leale e cordiale. Il desiderio è forte e paziente. Lo spazio a disposizione è ampio e comodo. Il passo da compiere è atteso con tutto il Nostro affetto e potrà realizzarsi con onore e gioia reciproca. Ci asterremo dal chiedere passi che non siano liberi e pienamente convinti, cioè mossi dallo Spirito del Signore, che soffierà dove e quando vorrà. Aspetteremo quest’ora benedetta. Per il momento chiediamo ai Nostri più cari Fratelli separati soltanto ciò che proponiamo a Noi stessi: che l’amore di Cristo e della Chiesa ispiri ogni possibile approccio al riavvicinamento e all’incontro. Faremo in modo che il desiderio di comprensione e di unione rimanga vivo e inalterato; Metteremo la Nostra fiducia nella preghiera. Anche se non è ancora comune, può essere almeno simultaneo e sorgere parallelamente dai nostri cuori, come da quelli dei cristiani separati, per incontrarsi ai piedi dell’Altissimo, il Dio dell’unità. 

Salutiamo intanto con grande stima ed affetto gli illustri e venerati Capi delle Chiese distinte dalla Nostra, qui convenuti; Li ringraziamo di cuore per la loro partecipazione al Nostro pellegrinaggio, rendiamo omaggio alla partecipazione che possiedono nell’autentico tesoro della tradizione cristiana ed esprimiamo loro il Nostro desiderio di intesa nella fede, nella carità e nella disciplina dell’unica Chiesa di Cristo. Inviamo i nostri auguri di pace e prosperità a tutti i pastori, sacerdoti, religiosi e fedeli di queste stesse Chiese; su tutti invochiamo la luce e la grazia dello Spirito Santo.

Siamo ora profondamente lieti che l’incontro che abbiamo avuto qui, in questi giorni benedetti, con il Patriarca Ecumenico di Costantinopoli si sia svolto nel modo più piacevole e si sia rivelato pieno delle migliori speranze. Per questo ringraziamo il Signore con tutto il cuore e preghiamo Lui stesso che coepit in nobis opus bonum ipse perficiat : Il Signore, che ha iniziato in Noi questa buona opera di pace e di unione, la conduca a buon fine (cfr San Paolo ).

  1. Vogliamo infine rivolgere da questo luogo benedetto e in quest’ora così speciale alcune parole al mondo.Per “mondo” intendiamo tutti coloro che guardano al cristianesimo come dall’esterno, sia che vi siano o si sentano estranei.

Vorremmo soprattutto presentarci, ancora una volta, a questo mondo in cui ci troviamo. Siamo i rappresentanti e promotori della religione cristiana. Siamo certi che stiamo promuovendo una causa che viene da Dio; noi siamo i discepoli, gli apostoli, i missionari di Gesù, Figlio di Dio e Figlio di Maria, il Messia, il Cristo. Siamo i continuatori della sua missione, gli annunciatori del suo messaggio, i ministri della sua religione, che sappiamo possedere tutte le garanzie divine della verità. Non abbiamo altro interesse che proclamare la nostra fede. Non chiediamo nulla, se non la libertà di professare e di offrire a chiunque voglia, in tutta libertà, accogliere questa religione, questo nuovo legame stabilito tra gli uomini e Dio da Gesù Cristo, nostro Signore.

Vogliamo poi aggiungere un altro punto che chiediamo al mondo di considerare con fedeltà. Questo è lo scopo immediato della Nostra missione, ed è il seguente: desideriamo lavorare per il bene del mondo, per il suo interesse, per la sua salvezza. E riteniamo addirittura che la salvezza che gli offriamo gli sia necessaria.

Questa affermazione ne implica molte altre. Quindi: guardiamo al mondo con immensa simpatia. Se il mondo si sente estraneo al cristianesimo, il cristianesimo non si sente estraneo al mondo, qualunque sia l’aspetto in cui questo si presenta e qualunque atteggiamento assuma nei suoi confronti. Fate sapere dunque al mondo: i rappresentanti e i promotori della religione cristiana la stimano e la amano di un amore superiore ed inesauribile: l’amore che la fede cristiana pone al cuore della Chiesa; questo non fa altro che servire da intermediario all’immenso e meraviglioso amore di Dio verso gli uomini.

Ciò significa che la missione del cristianesimo è una missione di amicizia tra i popoli della terra, una missione di comprensione, di incoraggiamento, di promozione, di elevazione; e, diciamocelo ancora una volta, una missione di salvezza. Sappiamo che l’uomo moderno è orgoglioso di fare le cose per se stesso; inventa cose nuove e realizza cose sorprendenti. Ma tutti questi risultati non lo rendono né migliore né più felice; non forniscono una soluzione radicale, definitiva e universale ai problemi umani. L’uomo, lo sappiamo ancora, lotta contro se stesso; sperimenta terribili dubbi. Sappiamo che la sua anima è invasa dalle tenebre e assediata dalla sofferenza. Dobbiamo dirgli un messaggio che crediamo liberatorio. E crediamo di essere tanto più autorizzati a proporlo perché è pienamente umano. Questo è il messaggio dell’uomo all’uomo.

Il Cristo che portiamo all’umanità è “il Figlio dell’Uomo”, come Lui stesso si è definito. Egli è il Primogenito, il Prototipo della nuova umanità; è il Fratello, è il Compagno, è l’Amico per eccellenza. Solo di lui si può dire in tutta verità che «egli conosceva ciò che c’è nell’uomo» ( Gv 2,25). È inviato da Dio, ma non è per condannare il mondo, è per salvarlo (cfr Gv 3,17).

Egli è il Buon Pastore dell’umanità. Non c’è valore umano che Egli non abbia rispettato, valorizzato e redento. Non c’è sofferenza umana che Egli non abbia compreso, condiviso e valorizzato. Non c’è bisogno umano – al di fuori di ogni imperfezione morale – che Egli non abbia assunto e sperimentato in Sé e proposto all’ingegno e al cuore degli altri uomini come oggetto della loro sollecitudine e del loro amore, e per così dire, come condizione di la propria salvezza. Anche per il male che, come medico dell’umanità, conobbe e denunciò con il vigore più energico, ebbe infinita misericordia, fino a far scaturire, per mezzo della grazia, nel cuore dell’uomo, sorprendenti fonti di redenzione e di vita. .

BENE ! che sappiamo in tutto il mondo come Cristo, che vive ancora oggi nella sua Chiesa, si manifesta al mondo da questo luogo, da questa culla che ha segnato la sua apparizione sulla terra.

Il mondo che ci circonda si degni di ricevere oggi, nel nome di Gesù Cristo, il nostro saluto pieno di rispetto e di affetto. Rivolgiamo questo deferente saluto in modo particolare a chiunque professa il monoteismo e con noi rende religioso culto al Dio uno e vero, il Dio vivo e supremo, il Dio di Abramo, l’Altissimo, Colui che proprio su questa terra – in un giorno lontano, rievocato dalla Bibbia e dal Messale, un personaggio misterioso, la cui genealogia e la cui fine non ci sono state trasmesse dalla Scrittura, e il cui sacerdozio regale serviva a qualificare quello di Cristo stesso, Melchisedec, celebrato come «il Dio Altissimo» , creatore del cielo e della terra» (cfr Gen 14,19). Noi cristiani, istruiti dalla rivelazione, sappiamo che Dio sussiste in tre Persone, Padre, Figlio e Spirito Santo, ma celebriamo sempre come unica la natura divina, proclamiamo unico il Dio vivo e vero. I nostri auguri di pace e di giustizia vadano anche a questi popoli che adorano un unico Dio.

Il nostro saluto è ugualmente rivolto a tutte le persone alle quali i nostri Missionari cattolici portano, insieme al Vangelo, un invito a condividerne l’universalismo e un fermento capace di elevare la civiltà. 

Ma la Nostra salvezza oggi non può conoscere limiti: supera ogni barriera e vuole raggiungere tutti gli uomini di buona volontà, compresi gli uomini che per il momento non mostrano buona volontà verso la religione di Cristo, che si sforzano di impedirne la diffusione e di combatterne i fedeli. Anche ai persecutori del cattolicesimo e ai negatori di Dio e di Cristo inviamo il nostro triste e doloroso ricordo e serenamente chiediamo: perché, perché? 

Lasciando Betlemme, questo luogo di purezza e di tranquillità dove è nato, venti secoli fa, Colui che preghiamo come Principe della Pace, sentiamo il dovere imperativo di rinnovare ai capi di Stato e a tutti coloro che portano la responsabilità dei popoli Il nostro pressante appello per la pace nel mondo. Possano coloro che detengono il potere ascoltare questo grido del Nostro cuore e continuare generosamente i loro sforzi per assicurare all’umanità la pace alla quale essa così ardentemente aspira. Attingano dall’Onnipotente e dal più intimo della loro coscienza umana un’intelligenza più chiara, una volontà più ardente e un rinnovato spirito di concordia e di generosità, per evitare a tutti i costi nel mondo le angosce e gli orrori di un nuovo guerra mondiale, le cui conseguenze sarebbero incalcolabili. Possano collaborare ancora più efficacemente per instaurare la pace nella verità, nella giustizia, nella libertà e nell’amore fraterno. Questo è l’augurio che non abbiamo mai cessato di rivolgere a Dio in costante preghiera durante questo pellegrinaggio. Tutte le iniziative leali, che tendono a raggiungerlo, troveranno il Nostro appoggio e le benediciamo di tutto cuore.

È con il cuore colmo di questi pensieri e di queste preghiere che da Betlemme, patria terrena di Cristo, invocheremo per tutta l’umanità l’abbondanza dei favori divini.