28 agosto 1975. L’Operazione “Gardel” e le vittime della Gendarmeria argentina
Il 28 agosto del 1975, sei membri della “Fuerza”, così come gergalmente viene definita ancora oggi la Gendarmeria Nazionale Argentina, della quale ci siamo più volte interessati su questo portale storico, persero la vita a causa di un attentato terroristico presso l’aeroporto “Benjamín Matienzo” di San Miguel de Tucumán. Non erano, purtroppo, né i primi né gli ultimi che il celebre Corpo di Polizia Sudamericano avrebbe subito per mano sovversiva. Anche la Gendarmeria, infatti, al pari delle altre Forze di Polizia e Militari, ovvero di altre categorie sociali, avrebbe pagato il suo alto contributo di sangue, in quelli che furono gli anni più bui vissuti dal grande Paese dell’America Latina, tra un cambio di Governo e l’altro, e per mano di varie organizzazioni rivoluzionarie, sia di destra che di sinistra. A cinquant’anni da quell’eccidio abbiamo voluto ricordare quei gloriosi Gendarmi attraverso queste brevi note.
Operativo Independencia

Il 5 febbraio del 1975 la Presidenta argentina, María Estela Martínez de Perón firmò il decreto n. 261/75, avente per titolo “Operativo Independencia”, un provvedimento particolarmente speciale con il quale veniva praticamente ordinato all’Esercito argentino <<…di annientare le azioni degli elementi sovversivi che operano nella provincia di Tucumán>>. Ciò, purtroppo, avrebbe lasciato alle stesse truppe designate (che di fatto comprendevano marginalmente anche l’Aviazione, la Gendarmeria Nazionale, la Polizia Federale e quella della stessa Provincia di Tucumán [1]) quella indipendenza operativa che ben presto avrebbe consentito al Dispositivo di Sicurezza di abbandonarsi a veri e propri crimini contro l’umanità. L’operazione fu inizialmente comandata dal Generale Acdel Vilas e successivamente dal Generale Antonio Domingo Bussi, in seguito incriminato proprio a causa delle responsabilità avute in quelli che furono veri e propri massacri della popolazione civile, la quale – lo ricordiamo anche in questa sede – fu costretta a vivere sotto un vero e proprio “stato di assedio” nel corso del quale le Autorità costituzionali della provincia di Tucumán furono completamente esautorate. Fu, quindi, proprio in tale clima che i “Montoneros” concepirono la propria vendetta, organizzando ed eseguendo un incredibile attentato al quale fu dato il nome in codice di “Operación Gardel”.
“Operazione Gardel”: un offesa alla storia e alla cultura argentina.
Con molta probabilità i “Montoneros”, nello scegliere, quale nome in codice per la loro ennesima azione criminale quello di “Operación Gardel”, non immaginavano affatto di poter così offendere l’intera Nazione Argentina, strumentalizzando, in quel modo, un nome sacro per tutti gli argentini, quello del grande Carlos Gardel. L’indiscusso Re del Tango e noto attore argentino era, infatti, morto prematuramente il 24 giugno del 1935, quindi esattamente quarant’anni prima, a causa di un incidente aereo presso l’aeroporto di Medellin[2], in Colombia, ove l’artista si trovava per una tournée[3]. Il richiamo alla sciagura del ’35, ove le fiamme avevano interrotto l’esistenza dell’argentino più famoso al mondo, non doveva certo essere associato alla strage di altri giovani argentini che si stava organizzando, anche se questa si sarebbe analogamente consumata all’interno di un aeroporto, da cui l’evidente richiamo simbolico. E fu quello che effettivamente avvenne, avendo i “Montoneros” preventivato l’abbattimento di un Lockheed C-130 Hercules del 1° Gruppo di Trasporto Aereo della 1^ Brigata Aerea (Fuerza Aérea Argentina).

Ciò sarebbe accaduto mentre il velivolo avrebbe affrontato la delicatissima fase del decollo, presso l’aeroporto “Teniente General Benjamín Matienzo” di San Miguel de Tucumán. In quella circostanza il C-130 imbarcava a bordo ben 114 Gendarmi che da Tucumán erano diretti a San Juan, loro base logistica, dopo essere stati impiegati, anche loro, molto probabilmente, in operazioni di pattugliamento, rastrellamento e vigilanza di luoghi detentivi, nell’ambito della richiamata “Operativo Independencia”[4]. L’esecuzione dell’attentato dinamitardo, i cui preparativi erano avvenuti tra i mesi di marzo e giugno, fu affidata a due militanti del Plotone “Marcos Osatinsky” (dal nome del guerrigliero, inizialmente dell’Esercito Rivoluzionario e poi dei “Montoneros”, ucciso il precedente 21 di agosto dalle stesse Forze di Sicurezza), vestiti da operai. La tecnica prescelta era abbastanza diffusa nel variegato mondo del terrorismo internazionale, volendo ricordare le azioni compiute già alcuni prima da Al-Fatah, il braccio destro dell’O.L.P. (Organizzazione Liberazione Palestina).
Si trattava, infatti, di far esplodere l’areo mediante la detonazione telecomandata di un’enorme carica esplosiva di forma conica (formata in punta da un emisfero di 10 kg di TNT, più uno strato di diametone di 60 kg e i restanti 90 kg di ammonite) posti sotto la pista, proprio nel momento in cui il C-130 si trovava alla massima potenza, per cui sarebbe stato impossibile interrompere il decollo. La dinamica dell’attentato dinamitardo ricorda, molto da vicino, la strage di Capaci, messa a segno dalla mafia esattamente trent’anni orsono, volendo fermare il grande Magistrato Giovanni Falcone. Al centro della pista, a circa 1.100 metri dall’estremità Nord e 1.000 da Sud, c’era, infatti, un canale di scolo delle acque piovane che portava a una fogna in disuso, ma che a sua volta passava sotto la pista della base aerea, ove fu posizionato il micidiale ordigno. Fu, quindi, posato uno spesso cavo elettrico che avrebbe collegato il carico di dinamite, attraverso i 250 metri della galleria, con il congegno dal quale sarebbe poi partito il segnale.

Grazie ad una batteria da 12 Volt appartenente ad un’insospettabile veicolo parcheggiato, il pulsante sarebbe stato azionato da una vicina fossa. Il C-130 Hercules (classificato col numero di matricola TC-62), era decollato dalla base aerea di El Palomar[5] alle ore 9 dello stesso giorno, trasportando 85 membri della Polizia Federale Argentina ed era atterrato a San Miguel alle ore 11.56. Subito dopo, erano saliti a bordo i 114 membri della Gendarmeria Nazionale, appartenenti allo Squadrone “San Juan” (Equipo de Combate de la Agrupación X “San Juan”). L’itinerario del velivolo per quel giorno era particolarmente impegnativo, in quanto, dopo il volo da Tucumán a San Juan, il mezzo avrebbe effettuato un altro trasporto per La Rioja, tornando, infine, a Buenos Aires. Verso le ore 13, il TC-62 iniziò, quindi, a rullare e, dopo aver percorso circa 800 metri, raggiunse una velocità di circa 200 km/h. A quel punto da un veicolo con l’acronimo di Acqua ed Energia, parcheggiato a un isolato e mezzo dall’ingresso dell’aeroporto, un infiltrato dei “Montoneros” diede le opportune istruzioni radio. Queste consentirono ai terroristi di attivare il congegno elettrico che determinò l’esplosione della bomba, praticamente tra i 100 e i 150 metri davanti al muso dell’aeroplano militare, e ciò nel mentre questi era già in aria, ad una distanza temporale di circa due secondi, in maniera tale da essere colpito in pieno e, soprattutto sullo stesso asse. L’esplosione fu davvero terribile, tanto da procurare un cratere largo dodici metri e profondo due. Il pilota aveva cercato di far salire in quota l’aereo, ma l’onda d’urto era stata così potente da spingerlo in una posizione ascendente, tra i 12 e i 15 metri dal suolo, tanto è vero che l’areo prese fuoco solo parzialmente. Nel virare verso destra, il C-130 cadde sulla pista, slittando di circa 400 metri, prendendo così completamente fuoco. Fu in quella circostanza che il Sargento Primero Pedro Francisco Yáñez e i Gendarmi Juan Esteban Riveros, Marcelo Godoy, Evaristo Francisco Gómez e Esteban Argentino Luna morirono sul colpo, mentre il Gendarme Raúl Remberto Cuello, che era rimasto illeso, nel tornare più volte all’interno del C-130 per salvare i compagni d’arme, morì soffocato, bene inteso dopo averne salvato molti dei suoi colleghi. Ai sei caduti si aggiunsero anche ventinove feriti di varia entità, inclusi anche sei dei sette membri dell’equipaggio. I resti dell’aereo militare furono sparpagliati in un raggio di circa 300 metri, mentre la maggior parte della struttura prese fuoco sul lato della pista, anch’essa avvolta dalle fiamme a causa del bitume dell’asfalto, praticamente al centro di una colonna di fumo nero visibile a grande distanza dal luogo. L’opera di soccorso si presentò subito molto difficile per i coraggiosi vigili del fuoco immediatamente intervenuti, anche a causa delle successive esplosioni causate dai serbatoi ausiliari di carburante e dal materiale d’equipaggiamento e armamento trasportato a bordo. La strage di San Miguel – non lo avevamo ancora ricordato – avveniva a circa un mese dalla morte in servizio del Primo Caporale (Autista) Roberto Oscar Kubiszyn, deceduto il 21 di luglio nella zona di “Gastona”, vicino alla città di Concepción (Provincia di Tucumán), allorquando, in qualità di membro di una pattuglia stradale, organizzata sempre nell’ambito del “Obiettivo Indipendenza”, il militare della Gendarmeria fu investito da un automobilista[6].

Epilogo
Le attività guerrigliere, così come quelle militari e di polizia contemplate nell’ambito del “Operativo Independencia” ricordate in questo modesto articolo dedicato alla Gendarmeria Nazionale Argentina, si verificarono nel periodo compreso tra il febbraio e il dicembre del 1975. Sia le prime che le seconde sarebbero, purtroppo, perdurate anche negli anni seguenti, anche durante la violentissima dittatura subentrata nei primi mesi del ‘76. Ma questa è un’altra storia…
Col. (a) GdF Gerardo Severino
Storico Militare
[1] Secondo dati ufficiali avrebbero partecipato all’operazione, al di là del supporto Aereo, circa 2.500 uomini, rappresentati da quattro Reggimenti di fanteria, “elementi” di comando e supporto (comunicazioni, elicotteri, supporto logistico), 250 uomini della Gendarmeria Nazionale, 200 della Polizia Federale Argentina e 800 della Polizia della Provincia di Tucumán.
[2] Cfr. A 40 años del derribo del Hércules, in https://www.surenio.com.ar/a-40-anos-del-derribo-del-hercules/https://www.surenio.com.ar/a-40-anos-del-derribo-del-hercules/, 27 agosto 2020.
[3] L’aereo, mentre si preparava a decollare, si scontrò con un altro aereo fermo nella pista, con i motori accesi. Carlos Gardel morì carbonizzato. Assieme a lui persero la vita i celebri chitarristi Guillermo Barbieri e Angel Domingo Riverol e il paroliere Alfredo Le Pera, con i quali Carlos Gardel aveva portato in giro per il mondo i suoi pezzi più celebri.
[4] Lo Squadrone “San Juan“, composto da 150 uomini era stato destinato ad operare nell’area di El Mollar e La Angostura, mentre un secondo Squadrone, “Jesús María” avrebbe operato tra San Javier e Villa Nougués, a Nord.
[5] L’Hercules TC-62 si trovava al comando del Vice Commodoro Cocito, mentre il personale di bordo era composto dal Maggiore Beltramone (1° Pilota), dal Capitano Mensi (Navigatore), Sottufficiale Barrios e Caporale Fatore (Meccanico), Sottufficiali Perisinoto e Clide Pardini (Personale ausiliario).
[6] Il Primo Caporale Roberto Oscar Kubiszyn era nato il 13 novembre 1950 a Concepción de la Sierra (provincia di Misiones) ed apparteneva allo Squadrone 42 “Calafate”.