13 maggio 1981: l’attentato a Giovanni Paolo II in Piazza San Pietro
All’attentato contro il presidente americano Ronald Reagan, molto probabilmente non di matrice terroristica, seguì quello a Giovanni Paolo II nel cuore del Vaticano, in piazza San Pietro, in una giornata di udienza generale. Un fatto gravissimo che riportò la storia della Chiesa a mille anni prima. Infatti il tentativo di uccisione – riuscito – di un Papa risaliva al X secolo quando Clemente II dopo un anno di pontificato sarebbe morto per avvelenamento. Grazie a Dio l’attentato a Giovanni Paolo II non ebbe esito positivo, ma, nonostante le numerose piste seguite dai servizi segreti di diversi Paesi e le indagini della magistratura italiana, i mandanti sono rimasti occulti e ancora oggi una tesi prevale sull’altra per via delle contraddittorie dichiarazioni dell’unico attentatore reo confesso: il killer turco Mehmet Ali Agca*.
Alle ore 17.19 del 13 maggio 1981 Giovanni Paolo II stava percorrendo come di consueto piazza San Pietro sulla campa-gnola bianca, prima di dare inizio all’Udienza generale. All’altezza dell’Ufficio mobile delle Poste Vaticane tra la folla, da una pistola Browning calibro 9 Parabellum alcuni colpi cen-trano il Papa. Una suora, Lucia Giudici, si gettò sull’attentatore: il turco Mehmet Ali Agca immobilizzandolo fino all’arrivo dei poliziotti. Il mondo restò col fiato sospeso. Il pontefice trasportato al Policlinico «A. Gemelli» di Roma subì un intervento di circa cinque ore per mano del professore Francesco Crucitti, Alfredo Wiel Marin e Giovanni Salgarello, aiuti del professore Giancarlo Castiglioni, direttore della clinica chirurgica. Il cardinale Agostino Casaroli, in viaggio verso gli Usa, ritornò immediatamente mentre la comunità internazionale si strinse attorno al Papa, a partire proprio dal presidente americano Ronald Reagan, «informato dal suo consigliere Edward Meese, e ancora convalescente per l’attentato subito sei settimane prima», come informava una nota senza firma pubblicata su L’Osservatore Romano del 15 maggio 1981 che riportava in prima pagina i bollettini medici diramati dal professore Luigi Candia.
Mehmet Ali Agca all’epoca aveva 23 anni e all’attivo un altro omicidio, quello di un giornalista turco, Abdi Imekci. Imprigionato nel carcere militare di Kartal Maltepe, Agca riuscì a fuggire recandosi a Istanbul per attentare alla vita di Giovanni Paolo II durante il suo viaggio apostolico del 28-30 novembre 1979 proprio in Turchia.
Un’intenzione resa pubblica con una lettera inviata all’agenzia di stampa Anatolia per manifestare le sue intenzioni. Un particolare ricordato proprio «da qualcuno che ha telefonato al quotidiano Milliyet, di cui era direttore il giornalista ucciso» .
Agca nella lettera spedita al giornale turco scrisse: «Se que-sta visita non viene annullata ucciderò senz’altro il papa. L’unico motivo della mia fuga dal carcere è questo» .
Gli oltre otto chilometri che separavano piazza San Pietro dal Policlinico Gemelli furono percorsi dall’ambulanza in soli otto minuti.
Lo scrittore Andrè Frossard che successivamente intervistò Karol Wojtyla durante la sua convalescenza scrisse che il Papa restò sveglio durante tutto il tragitto pregando a voce alta e «osservando che le cinque di pomeriggio del 13 maggio fu l’ora in cui la Vergine Maria apparve ai tre pastorelli di Fatima nel 1917» .
Sull’attentato al Papa si è detto e si è scritto molto, in parti-colare sulle numerose «piste» da ricostruire per giungere alle motivazioni che avrebbero condotto la mano del turco Mehmet Alì Agca, appartenente al gruppo di estrema destra chiamato «Lupi Grigi», a premere il grilletto della pistola per sparare al vicario di Cristo sulla Terra. Stando ai fatti accaduti nelle setti-mane successive alla tentata uccisione Mehmet Alì Agca, se-condo il Trattato tra Santa Sede e Italia, all’epoca ancora risa-lente a quello del 1929, fu condannato all’ergastolo il 22 luglio 1981 in base alla disposizione dell’articolo 8 del Trattato se-condo cui «l’attentato contro la persona del Papa» era da equi-parare a quello «contro la persona del Re».
La condanna avvenne a settanta giorni dall’attentato dopo un’inchiesta e un dibattimento che nulla rivelarono sulle ragioni di quel delitto.
La sentenza depositata il 24 settembre affermò la convinzione che dietro il gesto del turco vi sia stata una «macchinazione». L’attentato contro Giovanni Paolo II non fu opera di un delirio ideologico di un delinquente che fece tutto da se senza l’aiuto di nessuno, «ma frutto di una macchinazione complessa, orchestrata da menti occulte interessate a creare nuove condizioni destabilizzanti» .
La Corte in occasione di quella sentenza sottolineò che «gli elementi acquisiti non permettono, allo stato, di svelare l’identità dei promotori della cospirazione» .
In Vaticano, il principale esponente diplomatico, il cardinale Agostino Casaroli, espresse la stessa convinzione della Corte in una solenne circostanza: in occasione della festa dei santi Pietro e Paolo il 29 giugno 1981. L’emittente inglese Itv affermò più tardi che la Santa Sede era convinta che dietro al complotto ci sarebbe stato il Kgb. Tutte supposizioni giornalistiche tese a inserire il drammatico attentato nell’alveo della Guerra fredda e dei fatti accaduti in Polonia a seguito della nascita e l’evoluzione di Solidarnosc, guidato da Lech Walesa. Un movimento che arrecava non pochi problemi a Mosca.
3.4 La pista bulgara
Il 5 settembre 1981 la Santa Sede, attraverso il vice direttore della Sala Stampa Pierfranco Pastore precisò di non aver mai fatto dichiarazioni né espresso ipotesi riguardanti qualsiasi organizzazione o Paese come mandanti dell’attentato a Giovanni Paolo II. Una linea che coincise con le dichiarazioni di Agca che al primo processo sottolineò di aver agito da solo. Dal canto suo Giovanni Paolo II in persona, in visita in Bulgaria, dopo essere uscito dalla convalescenza dichiarò il 24 maggio 2002 a Sofia «di non aver mai creduto nella così detta pista bulgara e ciò a causa del suo affetto, della sua stima e del suo rispetto per il popolo bulgaro». Successivamente Giovanni Paolo II nel libro Memoria e identità scrive: «Alì Agca, come tutti dicono, è un assassino professionista. Questo vuol dire che l’attentato non fu un’iniziativa sua, che fu qualcun altro a idearlo» .
Sul fatto che Agca sia stato il braccio armato di se stesso e delle sue ideologie oppure di altri è evidente. Lo sparo e il feri-mento del pontefice è fatto concreto. Sulle ragioni che portaro-no l’attentatore a compiere quel gesto le congetture, le supposizioni, le opinioni, le tesi e le ricostruzioni giornalistiche e giudiziarie – anche utilizzando fonti di archivio desecretati – sono tantissime. A fornire giudizi sulla questione furono anche eminenti e autorevoli protagonisti del periodo della Guerra fredda. Il generale Jaruzelski, ad esempio, a distanza di anni, in una intervista al mensile cattolico Jesus, alla domanda se dietro l’attentato del 13 maggio 1981 ci fosse il tentativo di bloccare ulteriori sconvolgimenti in Polonia e dunque nel blocco comunista disse:
«Per ogni evento c’è da chiedersi “cui prodest”. Senza dubbio il rapporto tra l’Unione Sovietica e il Papa non era – per usare un eufemismo – particolarmente cordiale. Tuttavia l’Urss era ben consapevole dei rischi che avrebbe corso a organizzare l’omicidio del Papa e non credo che volesse assumersi una responsabilità del genere. A quel tempo, teneva molto alla propria immagine internazionale, già messa a dura prova dalla guerra in Afghanistan e dalle vicende tempestose della Polonia. Non poteva permettersi altri danni. A rigor di logica, se si fosse scoperta e provata una pista sovietica dietro l’attentato a Giovanni Paolo II, contro Mosca si sarebbe creato un blocco d’odio di un miliardo di cattolici e sollevata l’intera opinione pubblica mondiale» .
Il generale e premier polacco asserì inoltre di non aver mai parlato con i leader sovietici di questo argomento, almeno nei termini di chi ne fosse il mandante. Fu impensabile sollevare con loro il tema di un eventuale coinvolgimento di apparati dell’Est nel complotto, anche quando tutto il mondo parlava della così detta «pista bulgara». Tuttavia Jaruzelski dichiarò:
«Durante una visita in Bulgaria nel 1982 o 1983, domandai con franchezza a Teodor Zivkov, allora segretario del Partito comunista bulgaro: Compagno Teodor, in via confidenziale, cosa po-tete dirmi della pista bulgara? Lui mi rispose: Compagno Jaruzelski, ci considerate i fessi del gruppo? Ritenete che avremmo lasciato Antonov, all’epoca responsabile della Linea aerea bulgara a Roma, al suo posto, se fosse stato veramente coinvolto nell’attentato come accusava Ali Agca?. Dopo questa risposta, non ho più approfondito l’argomento con i bulgari» .
Sulla «pista bulgara» lo storico polacco Jan Zaryn, professore di storia contemporanea all’Università di Varsavia ed ex membro dell’Istituto per la memoria nazionale in Polonia com-mentò:
«Sappiamo che i funzionari del IV dipartimento hanno partecipato a una riunione a Mosca con i funzionari del Kgb a proposito di un progetto sulla Chiesa, ma i risultati di quell’incontro sono ignoti. E sappiamo che esisteva di sicuro un rapporto tra i servizi segreti polacchi e quelli sovietici, nel 1981. Ma non esistono documenti in proposito. Sono d’accordo con quel giornalista tedesco che ha trovato un documento della Stasi datato 1981 da cui si evince che essa ha provato a disinformare l’opinione pubblica e gli occidentali, dicendo che i bulgari non c’entravano nulla con l’attentato a papa Giovanni Paolo II, e che solo i procuratori italiani hanno dato questa informazione. Sappiamo anche che Ali Agca ha cambiato versione, sicuramente vittima di pressioni e minacce da parte della Stasi, dicendo: io ero solo a voler uccidere il Papa. Sono briciole di informazioni».
E’ evidente che ognuno in merito a questa vicenda ha fornito la propria opinione. Tuttavia, non mancano i documenti ufficiali pubblicati dallo Stato italiano e le sentenze dei giudici che, per competenza territoriale, hanno svolto indagini e inchieste sull’attentato, tali da permettere di delineare un quadro, seppure a tinte foschi, ma anche attendibile di ricostruzioni giornalistiche, più di altre, che, di recente, hanno cercato di far comprendere gli sviluppi e i contorni di una storia da inquadrarsi in un periodo storico di Guerra fredda, compreso tra l’elezione di Giovanni Paolo II e il 1989, anno del crollo del Muro di Berlino.
*Estratto da V.GRIENTI, Operazione Solidarnosc. Dalla guerra fredda al nuovo ordine mondiale (Sciascia Editore, 2014) da pp.89 a pp.95
Per una ricostruzione e valutazione dei drammatici eventi del dicembre 1981 si ve-dano: R. GARTHOFF, The Conference on Poland 1980-1982: Internal Crisis, Interna-tional Dimensions, in ‹‹CWIHP Bulletin››, n.10, 1998, pp.229-32; K. GORSKI (ed.), O Stanie Wojennym, W Sejmowej Komisji Odpwiedzialnosci Konstytucyjnej, [Sulla legge marziale, nella commissione parlamentare di responsabilità costituzionale], Warszawa, Wydawnictwo sejmowe, 1997; M. KRAMER, The Anoshkin Notebook on the Polish Crisis, December 1981, in ‹‹CWIHP Bullettin››, n. 11, 1998, pp. 17-31; ID., Colonel Kuklinski and the Polish Crisis 1980-1981, in ‹‹CWIHP Bullettin››, n. 11, 1998, pp. 48-59: ID., Jaruzelski, the Soviet Union, and the Imposition of Martial Law in Poland: New Light on the Mystery of December 1981; in ‹‹CWIHP Bullettin››, n. 11, 1998, pp. 5-16; ID., Soviet Policy During the Polish Crisis, in ‹‹CWIHP Bullettin››, n. 5, 1995, p. 1 e pp. 116-139; L. LABEDZ (ed.), Poland under Jaruzelski: A Comprehensive Sourcebook on Poland During and after Martial Law, New York, Charles Scribner’s Sons, 1984; V. MASTNY, The Soviet Non-Invasion of Poland in 1980-81 and the End of the Cold War, ‹‹CWIHP››, Working Paper, n. 23, 1998; A. PELINKA, The Politics of Lesser Evil: Leadership, Democracy and… Jaruzelski’s Poland New Brunswick, Transaction, 1999; Z. WLODEK (ed.), Tajne Dokumenty Biura Politycznego PZPR a “ Solidarnosc”, 1980-1981 [Documenti segreti del Politburo del POUP e “Solidarnosc”, 1980-1981], London, ANEKS Publishers, 1992.
L. MADEO, Già nel 1979 in Turchia voleva uccidere Wojtyla, La Stampa, 14 maggio 1981, p.1
M.ANSALDO – Y. TASKIN, Uccidete il Papa, la verità sull’attentato a Gio-vanni Paolo II, Milano, Rizzoli, 2011, p.199
A. FROSSARD, Non abbiate paura!, Parigi, Editions Robert Laffont, 1982, p.288
GIOVANNI PAOLO II, Memoria e identità. Conversazione a cavallo dei millenni, Milano, Rizzoli, 2005, p. 227
E.PINNA, Un eroe polacco, in Jesus n. 4 aprile 2011, p. 18
G.CUBEDDU, Da un Paese lontano per spiare da vicino, in 30Giorni, 07/08 (2005), pp.16-20