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Aeronautica Militare: una squadra che vola da 100 anni

di Vincenzo Grienti

Tradizione e innovazione si rinnovano ogni 28 marzo quando la memoria ritorna a quel giorno del 1923: la Regia Aeronautica nasceva come nuova Forza Armata autonoma ed indipendente sancita dal Regio Decreto n. 645.
Il battesimo solenne sarebbe avvenuto il 4 novembre dello stesso anno, quinto anniversario della vittoria dell’Italia nella Grande Guerra, a Centocelle, nello storico aeroporto romano che nell’aprile del 1909 aveva visto uno dei due fratelli Wright, Wilbur, impartire a Mario Calderara le lezioni di volo che lo avrebbero portato ad ottenere il primo brevetto di pilota d’aviazione dopo cinque mesi durante la partecipazione al circuito aereo internazionale di Brescia.

Un luogo, Centocelle, che sedici anni dopo, nel 1923, avrebbe visto l’Arma Azzurra ricevere, nelle mani del suo primo Comandante Generale, l’asso e Medaglia d’Oro al Valor Militare, Pier Ruggero Piccio, la Bandiera di Guerra.  Ultimo atto fu infine il 30 agosto 1925: quello che era stato istituito come Commissariato tecnico diventava Ministero. La svolta nella storia dell’aviazione militare dell’Italia era avvenuta.  La Bandiera di Guerra è custodita a Palazzo dell’Aeronautica Militare all’interno dell’Ufficio del Capo di Stato Maggiore dell’Aeronautica – Sala delle Costellazioni – e viene utilizzata in occasione di solenni cerimonie militari e civili durante le quali è parte integrante dello schieramento. ​​Ogni movimento della Bandiera, di uscita o rientro dai ranghi, è preceduto dai segnali d’onore identificabili con tre squilli di attenti e saluto alla Bandiera ed è accompagnata dalle note dell’Inno Nazionale. Per ovviare ai problemi determinati dall’usura, il drappo è stato più volte sostituito nel corso degli anni; la prima nel 1937, la seconda nel 1958 e, in ultimo, nel 2011. Nel 1947, in seguito al cambiamento istituzionale dopo il referendum del 2 giugno 1946, fu consegnata alla Forza Armata la nuova bandiera “repubblicana”, priva cioè dello scudo sabaudo. La Bandiera del 1937, che aveva accompagnato la Regia Aeronautica durante tutto il secondo conflitto mondiale, è attualmente conservata presso il Sacrario delle Bandiere del Vittoriano.

E’ una storia di record, successi, primati, quella dell’Aeronautica Militare. Basta scorrere i giornali dell’epoca, i quotidiani e i periodici, ma soprattutto la stampa specializzata, quella che faceva capo all’Editoriale Aeronautica, per capire come in quegli anni l’Italia era proiettata verso un futuro che metteva al centro l’industria aeronautica. L’aspetto forse più affascinante dei primati e delle imprese aviatorie degli anni che seguirono la nascita della Regia Aeronautica è innanzitutto il “fattore umano”, quello di piloti coraggiosi e temerari come Arturo Ferrarin e Guido Masiero, che qualche anno prima della nascita della Regia Aeronautica, il 15 febbraio 1920, avevano compiuto il raid Roma-Tokyo. Un’impresa incredibile: a bordo di un aereo dalla struttura in legno, con fusoliera rivestita di compensato, e ali di tela (Ansaldo SVA-9), avevano volato dall’Italia al Giappone in 19 tappe, 18mila chilometri e 109 ore di volo. Alle capacità e al coraggio dei piloti si aggiungeva il grande sforzo richiesto all’industria aeronautica italiana nell’essere competitivi ad ogni costo rispetto agli altri Paesi. Certamente tutto ciò rientrava senza dubbio in un disegno propagandistico del regime, ma non era fine a sé stesso. I primati, le imprese e i record incoraggiarono e favorirono nuove rotte commerciali, ma anche nuovi mercati per i mezzi aerei italiani. Un’impresa commentata nei giorni delle celebrazioni del centenario del raid proprio a Centocelle dal Generale Basilio Di Martino

Grazie alle immagini fornite dall’Aeronautica militare, è possibile ripercorrere questa impresa conquistata dopo oltre tre mesi con l’arrivo nella capitale giapponese il 30 maggio 1920 e dopo aver percorso oltre 18mila km e 109 ore di volo. Alla trasvolata avevano preso parte quattro Caproni e sette biplani SVA, ma la maggior parte di essi furono costretti ad interrompere la missione nell’Asia Minore. I piloti Ferrarin e Masiero, invece, riuscirono a portare a termine il volo fino alla fine. Dopo una prima sosta a Gioia del Colle partirono per Salonicco con un volo a vista a bassissima quota. Date le avverse condizioni atmosferiche finirono per atterrare a Valona da dove ripartirono il 15 febbraio per Salonicco. Molte furono le tappe del volo: Smirne, Aleppo, Baghdad, Delhi, Calcutta e molte altre tappe. I due piloti furono alle prese con le peggiori difficoltà.  Poi rotta verso Rangoon, Bangkok, Hanoi, Canton, Shanghai dove sostarono per sette giorni. Il successivo volo per Tsing-Tao fu molto difficoltoso per la presenza di un tifone facendo temere il peggio per gli aerei per le pessime condizioni. Infine Pechino, dove l’accoglienza fu trionfale. Giunti nella fase finale del viaggio i piloti volarono a Kowangtze, Shinishu e Seul, in Corea, quindi ad Osaka. Il 30 maggio 1920, Ferrarin e Masiero raggiunsero Tokyo.

Un anno dopo la costituzione dell’Arma Azzurra sempre a Centocelle si tiene la “Parata Aerea del 1924”. Nella raccolta video “ Ali Dimenticate” realizzata dal Centro Produzione Audiovisivi dell’Aeronautica Militare la cronaca di quel 4 novembre del 1924 sull’aeroporto di Centocelle a Roma, alla presenza delle autorità politiche e militari. Una parata aerea ancora più imponente e solenne di quella del 1923.

Il 20 aprile del 1925 il tenente colonnello Francesco De Pinedo, a bordo di un SIAI S.16 ter battezzato “Gennariello” parte dallo scalo di Sesto Calende con destinazione Melbourne (Australia) e Tokyo (Giappone). Il ritorno avviene il 7 novembre, accolto da una immensa folla a Roma, dopo una crociera durata 202 giorni, suddivisa in 80 tappe, con 55mila chilometri sorvolati per un totale di 370 ore complessive.

Il 10 aprile 1926 il colonnello Umberto Nobile registra sul suo diario di bordo il primo giorno di navigazione ai comandi del dirigibile “Norge” alla volta del Polo Nord. Un’impresa, quella compiuta 90 anni fa dalla Regia Aeronautica, partita dall’aeroporto di Ciampino. Ideata dal celebre esploratore Roald Amundsen e dallo stesso Nobile, direttore dello Stabilimento Aeronautico di Roma, l’avventura toccò l’Inghilterra, la Russia, la Norvegia e le Isole Svalbard e durò poco più di un mese.  Amundsen aveva provato, ma invano, di raggiungere il Polo Nord con degli aerei,  ma dopo l’ennesimo tentativo fallito chiese all’Aero Club norvegese di acquistare un dirigibile. La scelta cadde sull’N-1, costruito in Italia proprio da Nobile, un mezzo dotato di grande autonomia, capace di effettuare grandi traversate senza richiedere rifornimenti.

La preparazione tecnica dell’impresa e l’allestimento delle basi lungo il percorso furono compiute dal Governo italiano. Giunto in Norvegia, e presi a bordo Amundsen e il finanziatore americano Lincoln Ellsworth alla Baia del Re, nelle isole norvegesi Svalbard, alle 9.50 dell’11 maggio partì per l’ultima tappa della trasvolata polare. Il giorno dopo, alle 1.30, sorvolò il Polo Nord sul quale vennero lanciate tre bandiere: quella italiana, la norvegese e, in onore del finanziatore ufficiale dell’impresa Lincoln Ellsworth, quella americana. Il 14 maggio alle 7.30 il “Norge” approdò a Teller, in Alaska, dopo aver percorso 5.300 km in 70 ore e 40 minuti. La spedizione, ufficialmente la prima a raggiungere il Polo Nord, ebbe successo solo grazie all’ingegno, alla professionalità e all’abilità di Umberto Nobile e della Regia Aeronautica che lo aveva supportato in ogni fase dell’avventura che tocco Inghilterra, Russia, Norvegia e le Isole Svalbard. L’impresa ebbe una risonanza mediatica a livello mondiale e fu la prima di tante trasvolate portate avanti dagli aviatori italiani, soprattutto dopo la costituzione della Regia Aeronautica in forza armata autonoma, il 28 marzo 1923.

Ma c’erano soprattutto gli affascinanti primati degli idrocorsa che dal 1926 al 1934 scrissero pagine memorabili. Un’epopea, quella degli idrocorsa, che fino ad oggi è stata raccontata nei libri e in fumetti come Il giorno del Tamarindo, edito da Rivista Aeronautica nel 2005, che mette insieme il disegnatore Franco Costa e il giornalista Paolo Ojetti, per raccontare la sconfinata passione per il volo e l’amore a portare alto il nome dell’Italia. Immagini e storie raccontate nelle straordinarie immagini conservate negli archivi del Centro di Produzione Audiovisivi dell’Aeronautica Militare disponibili anche su YouTube e negli altri profili social dell’Arma Azzurra.

Un’epopea, quella degli idrocorsa e del Reparto Sperimentale Alta Velocità nato nel 1928 con base all’idroscalo di Desenzano, oggetto anche di video giochi e board game. E’ affascinante ed entusiasmante allo stesso tempo pensare ai piloti che sugli aerei verniciati di rosso sfrecciavano nei cieli di tutto il mondo. Per quanti di voi in presenza e in streaming non l’ha ancora fatto vi invito ad andare al Museo Storico dell’Aeronautica Militare di Vigna di Valle che proprio al suo interno dedica una sezione alla Coppa Schneider e al Reparto Alta Velocità.

Un solo nome per tutti: il Macchi. La “Ferrari del cielo” pilotata da uomini come Mario De Bernardi, Francesco Agello, Alberto Canaveri, Mario Bernasconi. E poi c’erano ingegneri come Tranquillo Zerbi e Mario Castoldi che spesso scrivevano anche editoriali e fondi su “Rivista Aeronautica” e “Le vie dell’Aria”.

Stiamo parlando degli anni in cui industrie come FIAT e Isotta Fraschini venivano incoraggiate a sviluppare linee di motori molto performanti con l’obiettivo di arrivare a grandi risultati, come appunto avvenne con la vittoria di Mario De Bernardi alla Coppa Schneider del 1926 su Macchi M.39 e la conquista del record di velocità il 23 ottobre 1934 del maresciallo Francesco Agello su MC. 72 alla velocità di 709,202 Km/h e superando il suo stesso record registrato un anno prima (aprile 1933) di 682,068 Km/h

 

Nel febbraio 1927 il comandante Francesco De Pinedo insieme al capitano Carlo del Prete e al sergente motorista Vitale Zacchetti, a bordo di un idrovolante Savoia Marchetti S.55 chiamato “Santa Maria”, effettua una trasvolata senza precedenti raggiungendo il continente americano per un totale di 43.820 chilometri e 280 ore di volo in 123 giorni. Un’impresa che verrà chiamata “La trasvolata delle due Americhe”.

In mezzo a tutto questo c’erano anche le trasvolate come quella del 1927 di Francesco De Pinedo che insieme a Carlo Del Prete e al motorista Carlo Zacchetti conquistarono le prime pagine dei giornali compiendo “la trasvolata delle due americhe” a bordo dell’S.55 “Santa Maria”. Una crociera di 46.700 chilometri fino a Porto Naval toccando Rio de Janeiro – Buenos Aires – Asunciòn – New York – Terranova – Lisbona – Roma. Una copertina su tutti: quella de La Domenica del Corriere a firma di Walter Molino.

Piloti, velivoli e stampa contribuirono a produrre un’immagine dell’Italia aviatoria apprezzata anche all’estero. La schiera di “cronisti dell’aria”, specializzati in aviazione (negli archivi se ne contano più di 110 dal 1920 al 1939) che firmavano articoli, reportage e approfondimenti nei giornali, nei periodici e nella stampa specializzata erano giornalisti piloti come Mario Massai, Maner Lualdi, Aldo Nosari (che partecipò a tutte le crociere e le trasvolate di Balbo) Cesco Tomaselli del Corriere della Sera, Raffaelo Guzman, Vittorio Beonio Brocchieri. Quest’ultimo ad esempio compì il raid Milano-Baghdad e ritorno di 7.000 Km a bordo di un Caproncino narrando difficoltà, prestazioni del velivolo e sensazioni di volo (articolo Pio Gardeneghi, Le Vie dell’Aria del 2 aprile 1933, p. 6) .

 

Nel 1928 il Generale Umberto Nobile tenta una nuova avventura polare a bordo del dirigibile “Italia”. Purtroppo questa volta, durante l’effettuazione del terzo volo transpolare, l’aeronave perde quota e impatta il Pack, costringendo Nobile e altri 9 superstiti a sopravvivere per 48 giorni sui ghiacci prima di essere recuperati dal rompighiaccio sovietico Krasin. Saranno i giorni della “Tenda Rossa” e dei numerosi tentativi di ricerca del Generale Nobile e di quel che restava del suo equipaggio. Nel documentario “Ali dimenticate” prodotto dall’Aeronautica Militare la storia delle esplorazioni polari di Umberto Nobile.

Nella tragedia della “Tenda Rossa” emerge la figura di Giuseppe Biagi, il capo radiotelegrafista di 3ª classe della Regia Marina che proprio Umberto Nobile chiamò a bordo del dirigibile “Italia” il 15 aprile 1928. Già nel maggio del 1926 aveva raggiunto per la prima volta il pack artico con il dirigibile N.1 Norge. L’impresa del dirigibile “Italia” ebbe inizio il 19 marzo da Ciampino alla volta di Baggio, in provincia di Milano. Poi la ripartenza. Obiettivo sorvolare il Polo Nord. L’esplorazione prevedeva tre vaste aree ancora sconosciute al nord della Groenlandia, in Siberia e nella Terra di Francesco Giuseppe. L’aeronave dopo le prime due missioni intermedie andate a buon fine del 15 e del 19 maggio, decollò il 23 maggio per la sua terza sfortunata missione. Durante la navigazione l’Italia dovette fare i contri contro la neve, il ghiaccio, il vento e la nebbia. La fuoriuscita di idrogeno da uno squarcio dell’involucro per cause sconosciute fece impattare il dirigibile sulla banchisa artica. Furono i giorni della “Tenda Rossa” e dei superstiti del dirigibile “Italia”. Da quel 23 maggio fino al 3 giugno solo Giuseppe Biagi non si perse d’animo. Mise in funzione una radio, “Ondina 33”, oggi custodita presso il Museo tecnico Navale della Marina Militare di La Spezia. Provò più volte e finalmente riuscì a intercettare il segnale dalla stazione radio della Marina italiana di Roma – San Paolo, la quale annunciava che un radioamatore russo, Nicolaj Schmidt, era riuscito a captare i messaggi di soccorso dei superstiti del dirigibile “Italia”. Una notizia che risollevò le speranze e che portò a trarre in salvo Nobile e quel che restava dell’equipaggio.

Il 1928 per i cronisti del tempo diventò l’anno dei primati.  E’ il caso del primato di distanza conseguito dal SIAI S.64 raggiunto il 5 Luglio 1928 sempre da Arturo Ferrarin e da Carlo Del Prete. A bordo del Savoia-Marchetti. I piloti italiani si aggiudicarono il primato di volo su distanza in linea retta volando per 7.188 km da Montecelio (Roma) fino a Port Natal, in Brasile.  Per i Paesi in competizione questi record aviatori portavano lustro e commesse a tutta la filiera dell’industria aeronautica

La competizione era serrata a livello internazionale c’erano piloti come l’americano Charles Lindberg autore del volo senza scalo New York-Parigi del maggio 1927. Una curiosità: a bordo del suo aereo chiamato Spirit of St. Louis, dovendo ridurre gli spazi, Lindberg rinunciò alla radio per un thermos di caffè

In realtà il volo, avendo volato prima verso Gibilterra e poi verso Bahia aveva coperto 8.000 Km. E questo fece nascere anche un po’ di polemiche giornalistiche. Su “Le via dell’aria” del 18 febbraio 1933 veniva spiegato il sistema di omologazione dei record in riferimento al nuovo primato britannico da Londra a Città del Capo certificato 8.530 km.

Non è un caso che dopo il superamento sia del primato di distanza che di quello di durata conquistati e migliorati il primo dai tedeschi Ristis e Zimmerman su Junkers W.33 e il secondo da Costes e Codos su Breguet 19, l’Italia rispose mettendo in campo il celebre idrovolantista Umberto Maddalena e Fausto Cecconi. Il 29 maggio 1929 l’S. 64 bis decollò ancora una volta da Montecelio volando per 67 ore e 13 minuti e percorrendo 8.188 km in circuito stabilendo il nuovo record mondiale di durata e di distanza.

Quella dell’Aeronautica Militare è una storia costellata di grandi successi e di primati, a partire dalla crociera pensata da Italo Balbo già nel 1927, ma che ebbe inizio il 26 maggio 1928 e si concluse il 2 giugno dello stesso anno. Italo Balbo con decorrenza 10 agosto 1928 ebbe il grado di generale di Squadra Aerea di complemento. L’accoglienza in Spagna e Francia fu entusiastica e l’ammiraglio Vindry, comandante della piazza marittima di Tolone, dichiarò che la crociera era stata “la più grande manovra di masse aeree effettuata nel mondo”. Furono 61 velivoli a prenderne parte, ben 51 furono gli S.59 bis appartenenti al 26° e 27° stormo da bombardamento e ricognizione; un S.62 sperimentale per il comandante della brigata Generale De Pinedo; ben otto S.55, di cui 2 operarono per il soccorso in mare imbarcando un medico e degli specialisti. Infine un trimotore Cant.22 per il trasporto degli addetti aeronautici stranieri.

La crociera atlantica (Foto Ufficio Storico Aeronautica Militare)

Negli ultimi mesi del 1928 Balbo, nominato il 10 agosto dello stesso anno Generale di Squadra Aerea, iniziò lo studio per la preparazione della crociera del Mediterraneo Orientale che nel foglio d’ordine esecutivo fu denominata “Crociera d’istruzione di un reparto da bombardamento marittimo”. L’itinerario prescelto, dopo numerose discussioni e trattative, fu il seguente: Taranto, Atene, Istanbul, Varna, Odessa, Costanza, Istanbul, Atene, Taranto, Orbetello, per km. 4667 teorici e km. 5300 effettivi.

Per l’impresa si creò uno stormo “di formazione” (unità aerea costituita temporaneamente per la crociera) composto da 35 velivoli : 32 S.55, 2 S.59bis, 1 Cant-22. I reparti prescelti furono l’86° gruppo (Brindisi) il 91° gruppo (La Spezia) la 192^ squadriglia (Pola) il reparto Volo 3^ Z.A.T. (Vigna di Valle). Sui velivoli dei capi formazione e l’S.55 di Balbo furono installate stazioni radio trasmittenti studiate dalla Marina. Ogni aereo aveva in dotazione materiale di ricambio per le avarie più probabili ed era provvisto dell’armamento difensivo (4 mitragliatrici con relative pallottole). Il reparto speciale proveniente da Vigna di Valle era formato da 5 S.55 adattati al trasporto di persone, 1 S.55 civile della società Aero Espresso (per i giornalisti) e un Cant-22 dei cantieri di Monfalcone. Sui velivoli delle squadriglie furono imbarcati per compiti di studio numerosi ufficiali dell’Aeronautica tra i quali il colonnello Ajmone Cat.

Il successo della prima Crociera Transatlantica e il conseguente prestigio raggiunto dalla Regia Aeronautica, spinsero il Generale di Squadra Aerea Italo Balbo a organizzare una nuova impresa che avrebbe portato le ali italiane nel Nord America a dieci anni dalla fondazione della nuova Forza Armata. Non a caso venne definita “La crociera aerea del decennale”.

Il 28 ottobre 1931 si abbassano i cancelli dei Tre Archi e viene inaugurato il Palazzo dell’Aeronautica. Un modello monumentale di razionalità e modernità nel panorama architettonico dell’epoca, di cui è possibile ripercorrere la storia e la cerimonia attraverso le immagini del tempo che ne ripercorrono l’idea, il progetto e la realizzazione.

Tra raid, crociere e trasvolate non è poi da dimenticare un record unico nel suo genere: quello del 12 gennaio del 1933 quando il Capitano Raffaele Colacicchi conquista il primato mondiale di volo rovescio volando con un Breda 19 sull’aeroporto di Centocelle a Roma per 41 minuti e 37 secondi. Quattro mesi più tardi, il Tenente Willy Bocola resta in volo rovescio per oltre un’ora battendo così il record del Capitano Colacicchi. Successivamente il record verrà migliorato per quasi tre anni di seguito finché perderà di interesse e verrà abbandonato per sempre.

Nel 1934 il maresciallo Francesco Agello conquista il primato assoluto di velocità per idrovolanti su circuito di tre chilometri a bordo del suo Macchi Castoldi MC.72 (Foto Ufficio Storico dell’Aeronautica Militare).

Tra i record storici compiuti prima dello scoppio della Seconda guerra mondiale occorre ricordare quello di Carina Negrone, un traguardo tutto al femminile raccontato nella prima serie della collana “Ali Dimenticate” realizzata dal Centro Produzione Audiovisivi dell’Aeronautica Militare. Era il 20 giugno 1935 e l’aviatrice a bordo del velivolo Caproni Ca.113 conquistò il primato femminile d’altezza, detenuto sino a quel momento dalla francese Maryse Hilsz, salendo a 12.043 metri di quota.

Tre anni dopo, il 22 ottobre del 1938, a Montecelio, su un Ca.161bis appositamente attrezzato, il colonnello Mario Pezzi, chiuso ermeticamente in una cabina stagna, stabilisce il primato mondiale d’altezza con velivolo ad elica raggiungendo la quota di 17.083 metri.

Un’impresa impossibile senza il genio e le sperimentazioni di Tomaso Lomonaco. Un generale, ma soprattutto un medico, uno scienziato, un uomo che nelle difficoltà dell’Italia tra i due conflitti mondiali ha scritto pagine e pagine di storia della medicina aeronautica e spaziale. Siciliano di Caropepe Valguarnera, in provincia di Enna, si laurea in medicina e chirurgia a Roma nel 1924. Sua l’idea con l’ingegner Verduzio dello speciale scafandro pressurizzato e ossigenato per favorire la respirazione di Pezzi nel 1937. Un anno dopo cura l’ergonomia e la fisiologia della cabina stagna per il secondo record d’alta quota, sempre di Mario Pezzi. Nel 1934 aveva già lavorato all’Istituto medico legale di Roma. La sua passione per l’aeromedica lo porta a lavorare con il Reparto d’Alta Quota di Guidonia. Con il professore Margarìa prepara i primi esperimenti da eseguire nel cassone frigo pneumatico, un apparecchio utile a creare la depressione barometrica, come si vede dalle immagini d’archivio dell’Aeronautica Militare. Qui si vede un capo tecnico che ispeziona l’impianto di respirazione artificiale e poi un medico che accompagna il pilota all’interno del cassone per fornirgli gli ultimi dettagli di questo volo sperimentale riprodotto a terra.  Nel 1952 è tra i fondatori della società Italiana di Medicina aerospaziale, di cui sarà a lungo il presidente. Nel   1963 viene ricevuto da Paolo VI in occasione del Congresso mondiale di medicina aeronautica e spaziale. Il Papa ne apprezza le doti e l’approccio medico-scientifico. Nel 1961 fonda il primo corso di “infermiere dell’aria” e poi nel 1963 la Scuola di Medicina Aeronautica e Spaziale. Nel 1965 riceve l’astronauta John Glenn, il primo americano ad eguagliare Jury Gagarin. Glenn apprezzerà gli studi e gli esperimenti del generale siciliano, considerato a giusta ragione tra i padri della medicina aero-spaziale italiana.

Alla vigilia del secondo conflitto mondiale, le forze aeree della Regia Aeronautica (R.A.) sono suddivise in Armata Aerea e in Aviazioni ausiliarie per il Regio Esercito e per la Regia Marina. L’Armata Aerea è organizzata (Piano di Radunata 12) in 1^, 2^ e 3^ Squadra Aerea, 4^ Zona Aerea Territoriale, Aeronautica della Sardegna, Aeronautica dell’Albania, Aeronautica della Libia, Aeronautica dell’Egeo e Aeronautica dell’Africa Orientale Italiana (A.O.I.). Vista la volontà della Jugoslavia di non partecipare al conflitto al fianco di Inghilterra e Francia, lo Stato Maggiore della R.A. decise di rafforzare lo schieramento delle forze aeree al Sud: Sicilia, Sardegna e Libia. Più delle altre forze armate, la R.A. inizia a combattere con notevoli limiti di sviluppo che riguardano sia i mezzi che i concetti operativi: le guerre di Etiopia e Spagna avevano dato la facile illusione di possedere una forza aerea potente, che non necessitava di ulteriori sviluppi, e non rappresentarono, purtroppo, un momento di riflessione e di  analisi per potenziare e perfezionare linee di volo e dottrine per future esigenze. Furono lasciati ampi margini alle aviazioni ausiliare, specie a quella del Regio Esercito, e si continuò a considerare l’Aeronautica una forza preminentemente difensiva. Infatti, lo Stato Maggiore Generale (S.M.G.), dove la R.A. era poco rappresentata (il grado più elevato non fu mai più alto di quello di colonnello), partiva dal presupposto di una guerra futura esclusivamente terrestre, contro potenze continentali confinanti.

Non mancarono perdite e atti d’eroismo durante la Seconda guerra mondiale. Di questo capitolo di storia molti testimoni come l’ex pilota Luigi Damiani hanno ricordato episodi e momenti da rileggere. Classe 1920, Damiani ha combattuto dal 1940 in poi, cioè dall’entrata dell’Italia nella Seconda guerra mondiale, almeno fino a quando ha smesso di volare per un incidente alla gamba. I suoi ricordi sono ancora vivi: “Entrai in Aeronautica per passione. Poi andammo in guerra. Lassù non eravamo soli. Ci difendevamo a vicenda, ci coprivamo le spalle”. Le sfide, i combattimenti, ma anche la paura: “La paura era di giornata ma ci facevamo coraggio. L’idea di alzarmi e andare a volare superava tutti gli altri pensieri”. La storia di Damiani sembra un film, ma è tutto vero, così come documentano queste immagini d’archivio dell’Aeronautica Militare. E poi la famiglia e il ricordo della madre: ”Aveva paura per me. Si preoccupava. A quel tempo anche solo volare non era come oggi. Ma io ero impazzito per l’aeronautica”. Infine i compagni e le brutture della guerra: “La guerra è una brutta cosa. Ai miei nipoti lo dico sempre, così come di seguire le loro passioni”.

 

Terminata la guerra, l’Aeronautica italiana si presentò di fronte agli immensi problemi della ricostruzione con le “esigue unità” rimaste, come le definì in un famoso ordine del giorno del 22 febbraio 1945 il generale Ajmone-Cat, nuovo Capo di Stato Maggiore della Forza Armata. Esse sono in pratica le stesse che avevano partecipato alla Guerra di Liberazione: i reparti riuniti fin dal 15 ottobre 1943 nell’Unità aerea e che ora, inseriti in un’organizzazione territoriale ancora in via di assestamento, rappresentano tutto il potenziale aeronautico della Nazione. Tre raggruppamenti di specialità comprendono rispettivamente il 4°, 5° e 51° Stormo per la caccia; gli Stormi “Baltimore”, Notturno e Trasporti per i bombardieri; l’82°, 83°, 84° e 85° Gruppo per gli idro; tre servizi tecnici di raggruppamento provvedono infine ad assicurare l’efficienza dei reparti di volo. L’Italia si trova a dover affrontare problemi di fondo essenziali per la vita e lo sviluppo del Paese, che vanno dall’uscita dalle condizioni armistiziali e di occupazione militare per la ripresa di un controllo autonomo sul proprio territorio (con la ritirata del governo militare alleato dal 1° gennaio 1946 e la successiva indizione di votazioni amministrative), dalla riparazione dei danni di guerra e la conseguente ripresa economica alla restaurazione dell’attività ordinaria dello Stato, dal rientro dei prigionieri di guerra alla riorganizzazione delle forze armate, nei limiti non solo delle spese che il Paese può sostenere ma anche di quanto sarà concesso dagli Alleati in sede di trattative di pace.

Dal trattato di Parigi, le clausole che riguardavano l’Aeronautica prevedevano: limite di personale a 25.000 uomini per un massimo di 350 aerei, di cui solo 200 armati per il combattimento e la ricognizione. Dopo ventitrè anni, quindi nel 1946, la Regia Aeronautica scompare per lasciare il posto all’Aeronautica Militare (abbreviata in A.M., senza alcuna I: come per la co-belligeranza, l’italianità è solo un aggettivo, aggiunto soprattutto in ambito internazionale per distinguere appellativi che tradotti in inglese diventano tutti inesorabilmente Air Force).

Il 4 aprile del 1949 l’Italia firma l’adesione al Patto Atlantico, la NATO, che viene ratificato il 1° agosto successivo. Sul piano della ricostruzione, l’adesione dell’Italia alla North Atlantic Treaty Organization significa immediati benefici per il Paese che, da nemico a cobelligerante, è ora assurto al rango di alleato autentico. Ciò consente, tra l’altro, un rafforzamento militare altrimenti impossibile in un periodo in cui il disavanzo di cassa per esercizio finanziario si aggira attorno agli 850 miliardi di lire e, soprattutto, nel quale la maggior parte delle risorse sono prioritariamente destinate alla ricostruzione del Paese. A ciò provvedono in maniera massiccia gli Stati Uniti con forniture e prezzi di favore o addirittura gratuite nell’ambito dei programmi di assistenza che, nel campo militare, si estrinsecano sotto due forme principali – l’OSP (Off-Shore Procurement), e l’MDAP (Mutual Defese Assistance Program) – mentre i limiti fissati dal Trattato di pace in tema di armamento pesante vengono aggirati con forniture end-use agreements qualche tempo prima della loro abolizione formale nel settembre del 1951. Una situazione di cui beneficia ben presto anche l’Aeronautica Militare.

L’F-104 Starfighter. L’intercettore che per anni ha difeso i cieli italiani

Gli anni ’60 si aprono con la tragedia di Kindu. Nel 1961, infatti, durante la prima operazione internazionale alla quale la Forza Armata partecipa dopo il secondo conflitto mondiale, due C-119 della 46^ Aerobrigata decollano da Kamina per rifornire i caschi blu malesi di stanza a Kindu. Qui, mentre sono a mensa, i 13 aviatori sono catturati da una banda di ribelli dell’Armata Nazionale Congolese e trascinati nella prigione di Kindu, dove sono barbaramente trucidati.

Un tuffo nella storia e nella cultura del volo, proprio in occasione del 28 marzo può essere ripercorso visitando il Museo storico di Vigna di Valle, a nord di Roma, considerato tra i più belli del mondo, sia dal punto di vista infrastrutturale che per la completezza delle raccolte storiche custodite. Con i suoi 13mila metri quadrati di superficie espositiva coperta è uno dei più grandi ed interessanti musei del volo esistenti al mondo. Disposto su quattro grandi padiglioni espositivi, il Museo accoglie al suo interno oltre 80 velivoli ed una cospicua collezione di motori e cimeli aeronautici di vario genere. Il percorso si snoda attraverso i settori dedicati ai pionieri, ai dirigibili, alla grande guerra e all’epopea dei voli polari di Umberto Nobile, ma anche alle grandi trasvolate e alla Coppa Schneider. All’esposizione degli aerei usati tra le due guerre mondiali si aggiungono poi quelli della rinascita post-bellica, che comprende i velivoli a getto fino ai moderni jet utilizzati dalla Pattuglia Acrobatica Nazionale come i G91 Pan e gli Mb339.

Tutte le tappe e le date sulle imprese dell’Aeronautica Militare negli ultimi 98 anni nel sito ufficiale e nella timeline storica   

Un 98° compleanno, quello dell’Aeronautica Militare, che cade nel sessantesimo della nascita della Pattuglia Acrobatica Nazionale il 1° marzo 1961: una storica tradizione nata già alla fine degli anni Venti

WebDoc a cura di Vincenzo Grienti

Scie Tricolori

Il significato dello stemma dell’Aeronautica Militare

Lo stemma dell’Aeronautica Militare è sormontato dall’aquila turrita, simbolo dei piloti militari, ed è accompagnato dal cartiglio con il motto “Virtute Siderum Tenus” – con valore verso le stelle – che sintetizza la passione ed ed il sacrificio di tutti i militari dell’Arma Azzurra.  Inoltre, lo stemma racchiude i distintivi di quattro squadriglie che, nella 1ª Guerra Mondiale, si misero in luce per abilità, coraggio ed eroismo:

Il quadrupede chimerico alato con fiaccola, con la parte anteriore da leone e quella posteriore da cavallo, raffigura il distintivo della 27ª Squadriglia Aeroplani, costituita con la denominazione di “X Squadriglia Farman” il 1° aprile 1913. Tale reparto durante la 1ª Guerra Mondiale prese parte a numerosissime operazioni belliche di ricognizione e bombardamento leggero. Denominata il 15 aprile 1916 27ª Squadriglia Aeroplani, eseguì, durante il primo conflitto mondiale, oltre 900 voli di guerra.

Il Grifo Rampante rappresenta l’insegna della 91ª Squadriglia Caccia. Nota come “Squadriglia degli Assi”, ebbe tra le sue file eroi come Francesco Baracca, Pier Ruggero Piccio, Fulco Ruffo di Calabria e Ferruccio Ranza. La Squadriglia fu costituita il 1° maggio 1917.

Il Quadrifoglio riproduce il simbolo della 10ª Squadriglia da bombardamento. Costituita con la denominazione aggiuntiva di “Caproni” il 25 maggio 1916, fu impiegata in audaci azioni belliche durante la Grande Guerra.

Il celebre Leone di San Marco fu adottato come emblema dalla 87ª Squadriglia Aeroplani, costituita il 12 gennaio 1918. Nel settembre dello stesso anno fu ribattezzata “La Serenissima” in omaggio alla città di Venezia. E’ di questa Squadriglia l’epico raid su Vienna del 9 agosto 1918 al comando di Gabriele D’Annunzio.

La 91ª Squadriglia degli Assi. Una fotografia mitica

La 91ª Squadriglia aeroplani da caccia. Da sinistra; serg. Mario D’Urso, serg. Gaetano Aliperta, ten. Gastone Novelli, ten. Cesare Magistrini, cap. Bartolomeo Costantini, cap. Fulco Ruffo di Calabria, col. Pier Ruggero Piccio, ten. Guido Keller, magg. Francesco Baracca, ten. Ferruccio Ranza, ten. Mario de Bernardi, ten. Adriano Bacula, serg. Guido Nardini, sott. Eduardo Olivero.

Proprio in occasione del centenario è stata visitatissima la mostra itinerante “Cento anni dell’Aeronautica Militare” allestita al Vittoriano a Roma. Una mostra che ripercorre il primo secolo di vita della Forza Armata attraverso pannelli tematici e tavole grafiche mettendo in luce i fatti più significativi, dalle origini ai giorni nostri.