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28 marzo 1943. La tragica fine della motonave “Caterina Costa”

La Seconda Guerra Mondiale fu per l’Italia una guerra essenzialmente di convogli necessari per rifornire le truppe combattenti in Africa e nei Balcani, per mantenere i collegamenti con le isole e per assicurare il traffico costiero.

Per tale ragione un grosso contributo per assolvere tale missione venne fornito dalla Marina mercantile. Nella storia della nostra nazione non ci fu mai alcuna operazione navale che non abbia avuto la necessità del supporto di navi mercantili: esigenza sempre risolta in varie forme quali il noleggio a tempo, il noleggio a viaggio, il trasporto obbligatorio, la requisizione, la requisizione con acquisto.

La quasi totalità delle navi mercantili, pur restando di proprietà degli armatori, venne gestita dallo stato o con requisizioni per scopi di guerra veri e propri o con noleggi per convogli e rifornimenti di guerra.

Il cosiddetto piano di mobilitazione prevedeva infatti l’utilizzo di specifici mercantili per particolari impieghi: incrociatori ausiliari, navi ospedale, vedette foranee per servizi portuali, navi per trasportare truppe, navi per trasportare materiali e carburante, posamine, dragamine, navi da sbarco.

I piani di mobilitazione vennero però sconvolti dalla repentinità con la quale l’Italia entrò in guerra che sorprese una grande quantità di naviglio al di fuori del Mediterraneo, impossibilitato a rientrare in patria e pertanto non impiegabile.

Un altro problema al quale si dovette far fronte fu quello della vetustà del naviglio mercantile venuto alla luce durante la guerra etiopica allorquando si constatò che la maggior parte dei mercantili adibiti a trasporti e supporto era non efficiente e ai limiti della sicurezza. Furono pertanto emesse disposizioni per sollecitare un repentino ammodernamento del naviglio mercantile. Con il R.D.L. 10 marzo 1938 n. 330, conosciuto come Legge Benni (dal nome del Ministro delle Corporazioni) vennero garantite agevolazioni ai cantieri navali e agli armatori per la costruzione di nuove navi.

Con tali presupposti nel 1939 viene impostata dal Cantiere Navale di Riva Trigoso (Genova) la motonave da carico Caterina Costa, di proprietà dell’armatore Giacomo Costa, varata il 14 Aprile 1942. Si trattava di una grande e moderna motonave da carico – una delle migliori costruite all’epoca in Italia – di 8.060 tonnellate di stazza lorda. Il 21 ottobre 1942 fu requisita dalla Regia Marina e, in virtù delle sue caratteristiche, adibita al trasporto dei rifornimenti sulla rotta più importante, quella per il Nord Africa. Compì quattro viaggi su questa tratta e il 26 dicembre 1942 rimase danneggiata in un attacco aereo su Biserta.

Il 28 marzo 1943 si trovava ormeggiata nel porto di Napoli, nella zona prospiciente il Rione di Sant’Erasmo, carica di materiale bellico destinato alle forze armate italiane dislocate in Tunisia. Una volta ultimato il caricamento dei rifornimenti (790 tonnellate di carburante; 900 tonnellate di esplosivi; 1.700 tonnellate di munizioni; carri armati ed autocingolati; 43 cannoni a lunga gittata; fucili; circa 600 militari italiani e tedeschi;  viveri) sarebbe entrata a far parte di un convoglio diretto a Biserta, in Tunisia.

Nella prima mattinata del 28 marzo 1943 si sviluppò a bordo un incendio, non si sa tuttora se accidentale o doloso, che non poté essere domato e che portò, alle 17:39, all’esplosione del carico e della nave stessa.

Napoli si sveglia ai primi scoppi provocati dalla benzina che si sparge, ardendo, sull’acqua del porto. Buona parte dell’equipaggio si mette in salvo sulla banchina, a cominciare dal comandante della stessa nave, ma i soldati, addormentati sotto coperta, trovano le vie di fuga sbarrate dal fuoco: dei cento italiani alloggiati a poppa non si salva nessuno. Non si tratta di attacco aereo, quindi niente sirene d’allarme. I napoletani sentono le deflagrazioni, vedono pennacchi di fumo, odono le ambulanze che vanno avanti e indietro. Alla direzione dei Vigili del Fuoco l’allarme arriva dieci minuti dopo le due del pomeriggio: in banchina, l’ingegnere Tirone, dirigente dei VV.F. capo delle operazioni di soccorso, trova il comandante della nave che lo mette in guardia: sulla «Caterina Costa» c’è un carico di bombe che può scoppiare da un momento all’altro, consiglia di affondarla. Di fronte al rischio, Tirone ritira la sua squadra impegnata a cercare di spegnere l’incendio. Alle 15:00 un colonnello della Capitaneria di Porto sostiene che non c’è pericolo. Un’ora dopo un maggiore della stessa Capitaneria di Porto informa che non è possibile affondare la nave dato che già tocca il fondo. Alle 17:39, al termine di una giornata dove si sono mescolate leggerezze inaudite da parte di tutti i dirigenti coinvolti, incapacità tecniche dei responsabili militari, ritardi nel chiedere soccorsi adeguati, la «Costa» salta in aria: le fiamme hanno raggiunto la stiva numero due, quella dell’esplosivo. La banchina sprofonda; un pezzo di nave piomba su due fabbricati al Ponte della Maddalena abbattendoli; la metà d’un carro armato cade sul tetto del Palazzo Carafa di Montorio; i Magazzini Generali del porto prendono fuoco; alla Stazione Centrale le schegge appiccano incendi ai vagoni in sosta. Il Lavinaio, il Borgo Loreto, l’Officina del Gas, i Granili, la Caserma Bianchini, la Navalmeccanica, l’Agip: dovunque arrivano lamiere mortali. E dovunque, vetri rotti, porte e finestre sfondate, cornicioni sbriciolati dall’esplosione. Per spegnere l’incendio sul relitto i vigili dovranno lavorare fino all’indomani. Le vittime saranno 549; i feriti, oltre tremila. Tra questi il vice comandante della Capitaneria di Porto ripescato a mare. Se la «Costa» è la prima nave a saltare in aria senza intervento nemico, diverse altre sono state incendiate e affondate durante i bombardamenti, fin dal 20 febbraio, quando le Fortezze Volanti hanno centrato il piroscafo «Caserta». Altre ancora coleranno a fondo nei prossimi mesi. Alla fine le condizioni del porto saranno tali che gli Alleati entreranno in città portandosi un tecnico addestrato alla bonifica di moli, attracchi e bacini sconquassati dalla guerra: l’ingegnere inglese I.A.V. Morse in divisa di contrammiraglio. Sarà lui a far pulizia di relitti e macerie.

Dalla cronaca di Roberto Ciuni, giornalista de il Mattino di Napoli:

L’esplosione fu devastante: il molo sprofondò e tutt’intorno un gran numero di edifici furono distrutti o gravemente danneggiati. I rimorchiatori Cavour e Oriente furono investiti dallo scoppio e affondarono, mentre parti roventi di nave e di carri armati furono scagliate a grande distanza. Altri frammenti raggiunsero piazza Mercato e il Vomero ed altri ancora incendiarono la stazione Centrale; sulla facciata est del Maschio Angioino (Castel Nuovo) sono ancora visibili gli effetti di questa terribile esplosione.

Gli oltre 600 morti e gli oltre 3.000 feriti riempirono letteralmente le strade. Tra le vittime del disastro vi fu l’ammiraglio Lorenzo Gasparri, comandante del Gruppo Cacciatorpediniere della Squadra Navale, il quale era salito personalmente, insieme ai suoi uomini, su delle bettoline cariche di munizioni per allontanarle dalla Caterina Costa in fiamme, in modo da evitare che tali imbarcazioni, investite dalle esplosioni, amplificassero l’effetto del disastro; l’evento temuto si verificò, però, prima che fosse possibile completare tale opera, e Gasparri rimase ucciso nell’esplosione. Alla sua memoria venne conferita la Medaglia d’oro al Valor Militare.

La ricostruzione della tragedia della Caterina Costa è ottimamente descritta nel volume di Marco Liguori “Caterina Costa, la nave dei misteri” edito da De Ferrari – vincitore della quarta edizione del Premio Acqui Edito e Inedito nella sezione inedita Tesi di laurea, saggio storico – presentato il 7 marzo 2023 presso la sala Blu dell’Acquario di Genova.

Il libro è suddiviso in 13 capitoli.

Nei primi tre viene introdotta e contestualizzata la tragedia ricostruendo lo scenario bellico, analizzando nel profondo le figure dei personaggi che saranno i protagonisti nel bene e nel male della vicenda e descrivendo minuziosamente le caratteristiche e le missioni della motonave.

Nel quarto capitolo l’autore ci presenta una dettagliata cronologia di quel fatale 28 marzo 1943, ricostruendo dapprima i preparativi del carico e lo stato della nave, soffermandosi anche sul sacrificio dell’Ammiraglio Gasparri. Nei capitoli successivi Marco Liguori ci descrive i danni e le centinaia di vittime; le indagini con le diverse versioni sulla sciagura; le possibili cause dalla tragedia; le conclusioni dell’inchiesta sommaria a cui però non seguì un’altrettanta inchiesta formale; le osservazioni contrastanti dei vertici dell’allora Regia Marina, del prefetto Vaccari, le testimonianze di alcuni protagonisti sopravvissuti italiani e tedeschi; infine, la risonanza che della vicenda diedero i giornali e i media dell’epoca condizionati dalla inevitabile censura. Nell’epilogo si percepisce l’amara constatazione di come i personaggi e le vicende successive alla tragedia abbiano regolare corso quasi a voler cancellare del tutto gli ingenti danni e soprattutto le centinaia di vittime, tutte elencate in appendice al volume insieme ad altra documentazione di particolare rilevanza e importanza.

Il valore del volume, oltre a riportare alla memoria dopo 80 anni un tragico evento troppo presto dimenticato, è quello della scientificità e minuziosità quasi maniacale con le quali viene ricostruita la vicenda attraverso la documentazione dell’Archivio Centrale di Stato, dell’Archivio di Stato di Napoli, dell’Ufficio Storico della Marina Militare, della Fondazione Ansaldo e dei giornali e riviste dell’epoca che Marco Liguori, giornalista professionista, abilmente analizza e ci trasmette con uno stile chiaro e di facile comprensione.

Il libro si chiude con una certezza, che i morti e la devastazione di questa vicenda, frutto dell’inefficienza del sistema bellico di quei giorni di fine marzo 1943 “esasperò ulteriormente la cittadinanza di Napoli e porrà le basi per lo spirito delle Quattro Giornate di fine settembre, attraverso cui si libererà dell’invasore tedesco”.

La vicenda della Caterina Costa fu solo una delle tante sciagure che colpirono indiscriminatamente le navi e gli equipaggi sia militari che civili italiani. In particolare, un enorme sacrificio fu pagato dalla Marina Mercantile sia in termini di vite umane, sia in termini di materiale e unità perdute. Al termine del conflitto si contarono oltre 7.100 caduti su circa 25.000 naviganti iscritti nei ruoli. Tali perdite però non inficiarono sui risultati ottenuti in quanto circa il 90% delle merci in partenza giunsero a destinazione.

Per tale motivo alla bandiera della Marina Mercantile il 16 settembre 1951 con decreto del Presidente della Repubblica Luigi Einaudi fu concessa la Medaglia d’Oro al Valor Militare. Il 16 settembre 1951 a Genova lo stesso Einaudi, alla presenza delle motonavi Saturnia, Conte Grande e Italia, all’incrociatore Giuseppe Garibaldi e alle corvette Ibis e Chimera decorerà la bandiera portata dal capitano di lungo corso Medaglia d’Oro al Valor Militare Cesare Rosasco.

 

C.V. Leonardo Merlini
Direttore Museo Tecnico Navale di La Spezia

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