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La storia del cartografo della Regia Marina Luigi Garavoglia e lo Scoglio Ferale

di Leonardo Merlini

Il “Ferale”, al largo della costa del Comune della Spezia, in località Biassa, compresa tra Portovenere e le Cinque Terre, è uno scoglio di arenaria a forma piramidale nel Mar Ligure, un monolite di nuda arenaria alto una trentina di metri e con un perimetro a pelo d’acqua di un centinaio di metri. La costa che da Portovenere arriva fino a Riomaggiore, tra Punta Merlino e Punta del Persico ospita quasi sospesi sul mare piccolissimi abitati, che prendono il nome di “Tramonti”: Fossola, Monesteroli, Schiara e Persico. Queste zone possono assolutamente essere considerate le più nascoste e le più difficilmente accessibili delle Cinque Terre, ma per questo forse le più affascinanti.

A picco sul mare, quasi fermi nel tempo, lontani dalle comodità e dimenticati dal progresso, questi minuscoli borghi rimangono quasi inaccessibili, fra terra franosa, interminabili scalinate, muretti a secco e terrazzamenti artificiali.

Chi ha la fortuna e il piacere di poter navigare in queste acque incontaminate, partendo da Portovenere e dirigendo verso Nord, attraverso una scoscesa costa a picco, a volte inaccessibile, incontra in un susseguirsi di emozioni le Rocce Nere e le Rocce Rosse, l’Albana, il Persico e la sua spiaggia, il Navone, Schiara, lo Scoglio Ferale appunto, i Cantoni, Monesteroli, lo spiaggione del Nacchè, la rocca del Montonao, La Fossola e La Pineda.

“Roca da Gaiada” per gli abitanti di Biassa, o “Scoglio Ferale” per carte nautiche e portolani, si erge solitario a un centinaio di metri dalla riva, a Schiara, in mezzo al mare di fronte alla cosiddetta “costa da Gaiada” ed è facilmente riconoscibile per la croce sulla sua cima. E’ è il simbolo di Schiara, come “er Muntunau” (il Montonaio) è la roccia simbolo di Monesteroli e il “Merlin” (Merlino) la roccia della Fossola; “Gaiada” da “Gaiarda” (gagliarda) come scoglio imponente che affronta i marosi dovuti alle frequenti libecciate. Sul “Ferale” troviamo solo gabbiani e cespugli di macchia mediterranea modellati dagli incessanti venti e dai potenti marosi. Già nell’antichità questo scoglio è indicato come “ferale”, forse quale monito ai naviganti.

Nel 1888, un cartografo della Regia Marina, durante alcuni rilievi sullo scoglio, scivolò in malo modo perdendo la vita. Era un tenente di vascello di nome Luigi Garavoglia.  I compagni d’arme attraverso un complicato sistema di verricelli, di cui sono ancora visibili le tracce, posero in sua memoria alla sommità dello scoglio, una croce di marmo bianco alta oltre due metri fissata con pesanti blocchi, sempre di marmo. Nel marmo era scolpita col piombo la dedica: «Luigi Garavoglia, Tenente di Vascello, i compagni d’arme posero 1888».
Il 13 Giugno 1982 una furiosa tempesta abbattutasi su Schiara, durante i festeggiamenti per S. Antonio da Padova, la festa del borgo, distrusse la croce commemorativa. Dopo tre anni la Marina Militare, recependo il desiderio dalla gente di Biassa, posizionava una nuova croce, questa volta in acciaio inossidabile.

Chi era Luigi Garavoglia?

Pietro Luigi Garavoglia era nato a Livorno Vercellese (oggi Livorno Ferraris in provincia di Vercelli) il 16 Aprile 1847. Nella Regia Scuola di Marina a Genova frequentò il 1° Corso nel 1864 e il 21 Novembre 1867 fu promosso Guardiamarina di 1^ Classe ed entrò in servizio nella Regia Marina con tale grado. L’8 Dicembre del 1872 fu promosso Sottotenente di Vascello e il 24 Luglio 1879 Tenente di Vascello. Imbarcato sulla piro-goletta Chioggia come addetto al Servizio Idrografico, fu destinato alla predisposizione dei punti trigonometrici per la sicurezza della navigazione, lavoro che lo impegnò lungo la costa del Tirreno. Il 28 Maggio 1885 era intento nel suo lavoro sullo Scoglio Ferale quando cadde dalla sommità riportando gravissime ferite che gli procurarono la morte poche ore dopo. Nel giornale locale Il Lavoro la notizia della morte del Tenente di Vascello Garavoglia ebbe grande risalto: “Pare un destino! – I buoni nostri Ufficiali di Marina, uno dopo l’altro se ne vanno! Parenti ed altri, in Africa, morirono; altri sono gravemente ammalati e la terra volle un nuovo lugubre tributo nella salma dell’egregio Tenente di Vascello Luigi Garavoglia, addetto alla Spedizione Idrografica. Egli cadde in mare da un’altezza di 35 metri mentre, a Monterosso, era occupato a rilevare alcuni punti geografici, e, poche ore dopo la fatale caduta, il suo cuore cessava di battere. Contava appena 38 anni, ed era nativo di Livorno Vercellese. Stamani gli sono stati resi gli onori funebri di tutte le Rappresentanze dei militari qui in guarnigione. – Le parole profferite dal Comandante sig. G. B. Magnaghi davanti al feretro, e che qui riproduciamo, dimostrano una grave perdita abbia avuto oggi la nostra Marina. – Eccole: Sia concesso a me di pronunciare l’ultima parola d’addio al nostro prode compagno, vittima gloriosa del dovere. Ben posso io farmi interprete del dolore comune, poiché ebbi, meglio di ogni altro, l’occasione di valutare i suoi pregi ed ammirare le sue virtù. Tutti piangiamo oggi questa morte come una delle più gravi perdite fatte dalla Marina, già sì crudelmente provata dai nostri recenti lutti. E questo sentimento ben giustificato. Quanto inaspettata, terribile fu la catastrofe, altrettanto stimata e preziosa fu l’esistenza che si spense.

Un semplice accenno a ciò che rendeva Giuseppe Garavoglia uno dei migliori ufficiali della nostra Marina potrebbe, a chi non lo conosceva, parere esagerato elogio, come spesso la solennità di questo momento e la commozione degli animi suole produrre e far perdonare. Tutti, e superiori, e compagni, e subalterni diranno che nessuno fu più di lui attivo e coscienzioso al lavoro, nessuno sopportò con più imperturbabile costanza i disagi, pronto sempre al sacrificio di sé all’ideale del dovere. Diranno anche la bontà incomparabile dell’animo, onde sgorgava quella dolcezza di modi con che sapeva cattivarsi l’affetto di ognuno, e specialmente dei più umili tra i suoi subordinati. Da oltre sei anni, addetto al Servizio Idrografico era riuscito, colla sola intelligenza, coll’applicazione tenace e colla scrupolosa diligenza, a diventare uno dei migliori ufficiali idrografi. A lui venivano affidate le missioni più difficili e faticose del rilievo; e si può ben dire che nel lavoro eseguito sulle coste della Sardegna e del Tirreno egli ebbe una tra le più cospicue parti. Né mai si potrà colmare il vuoto che la sua dipartita lascia nel servizio idrografico.

Nell’adempimento del suo dovere già aveva sfidato non lievi pericoli. Nell’anno 1880, mentre stava eseguendo la stazione geodetica del 1° ordine a Punta Severa, le febbri perniciose di Sardegna l’assalirono con tale veemenza che fu quasi un miracolo se ebbe salva la vita. Risanato tornò al suo dovere come prima, con quella modestia e quella serenità che sono il vero splendore della forza morale. Riandando nella mente tutte le doti di quell’anima eletta, non possiamo sottrarci alla persuasione che in lui erano i germi che dalle circostanze sviluppati formano gli eroi. Una sorte inesorabile ha, per nostra sventura, troncato ogni speranza.

Per Te, o caro compagno, non sorgeranno più quelle occasioni, sogno di ogni cuor generoso, quando gli uomini simili a Te compiono le azioni che si registrano nella Storia a decoro della Patria. Ma Tu sei morto da valoroso, affrontando il pericolo, come un soldato sul campo di battaglia, perciò la tua Memoria sarà a noi ispiratrice di alti sensi, e noi la conserveremo nel cuore con quella stessa religione che professiamo verso gli altri nostri compagni che sparsero il loro sangue combattendo per la Patria, per l’onore della Bandiera.Il Lavoro 30 Maggio 1885.

Nel Marzo 1891 i militari colleghi di Garavoglia posero sulla sommità del Ferale una grande croce in marmo di Carrara a ricordo dello sfortunato collega morto all’età di 38 anni su quello scoglio. Sempre da Il Lavoro del 29 Marzo 1891: “Lungo la costa di ponente del nostro golfo, sullo scoglio Ferale, s’inaugurerà a giorni il monumento marmoreo, testé ultimato, in memoria del Tenente di Vascello fu Garavoglia, che morì cadendo dalla sommità dello scoglio predetto, alto 30 metri, nelle rocce sottostanti, mentre stava cercando la posizione per stabilire un segnale topografico per lo studio della idrografia in quei paraggi. Il monumento, eretto mediante il concorso dei colleghi del defunto, appartenenti tutti al Corpo della R. Marina, consta di un’alta croce posante su base conica di marmo. Era buono, ed i compagni fecero bene a ricordare la sua immatura e tragica fine.

Allo sfortunato Garavoglia, uno dei più promettenti idrografi dell’epoca, la Regia Marina intitolò anche una propria unità navale. Durante la Grande Guerra allorquando, soprattutto in Adriatico, si dovette ricorrere a un massivo utilizzo di mine, torpedini, campi minati, sbarramenti, vennero utilizzati pescherecci e baleniere riconvertiti all’occorrenza. L’Italia che non disponeva di una flotta di pescherecci d’altura, né tantomeno di baleniere, fu costretta ad acquisire questo tipo di naviglio, da trasformare in dragamine, all’estero. Il Giappone, che pur belligerante, non aveva problemi di dragaggio, offrì in vendita una serie di piro-pescherecci abbastanza recenti, di dislocamento di circa 350 tonnellate e con velocità di 10-11 nodi. La Regia Marina avviò inizialmente le trattative per l’acquisto di 60 imbarcazioni, ridotto successivamente a 47. Tali unità raggiunsero il nostro paese tra il 1916 e il 1917 entrando immediatamente in servizio, dopo i necessari lavori di adeguamento delle sistemazioni di bordo, di installazione delle apparecchiature per il dragaggio meccanico, di installazione dell’armamento e degli apparati radio. A ogni nave venne assegnato il nominativo “G” seguito da un numero (ovviamente da 1 a 47). Con la fine del conflitto molte di esse vennero nuovamente riconvertite a nuovi compiti e fu così che, nel 1919 la G 45 divenne nave idrografica e assunse il nome di Luigi Garavoglia.

Anche questa unità ebbe però vita breve perché il 21 Agosto 1921 andò perduta per incaglio nelle acque antistanti Derna in Libia. Tornando allo Scoglio Ferale, varie sono le supposizioni sul suo appellativo ed esiste in materia una discreta bibliografia di scrittori più o meno conosciuti e geografi. Molti pensano che il nome derivi dalla morte di Luigi Garavoglia, ma già precedentemente, sulle cartine era chiamato con quel nome.

Nel libro di Luigi Cocevar Cussar Il disegno del Golfo e delle Riviere si dice che già nel 1846 lo Scoglio Ferale è detto Scoglio Ferraro. Massimo Quaini nel libro Arte e cartografi in Liguria scrive che nel 1724 era chiamato Ferale Scoglio e nel 1852 Scoglio Ferrè. Nel 1849 sulla Carta Topografica del Golfo della Spezia lo Scoglio Ferale è detto Scoglio della Gajarda.

Nel manoscritto Collettanea copiosissima di memorie, notizie e fatica … di Bonaventura de Rossi (1776) è scritto: “… In faccia poi alla Terra di Rio Maggiore vedesi in mare lo scoglio del Ferrale detto da Marinari il Ferraro molto pericoloso all’incontro de naviganti ne tempi notturni, quando il cielo è caliginoso, e la marina in tempesta; e queste Cinque Terre pigliano, come si è detto, lo spazio di cinque miglia dalla nobile Terra di Levanto sino a porto Venere quasi in egual distanza l’una dall’altra, e quivi, dici il Giustiniani, confermando il detto del Biondo, vedesi quanta vaglia, e possa l’intelletto umano, il quale coll’industria provede a ciò che la natura ha negato, giusta quel detto – Quod natura negavit industria peperit -; perché questi monti sono tanti erti, e sassosi, che pare difficile per, così dire il montarvi le capre, e il volarvi gli uccelli, e pure abbondano di vignali così fruttiferi a coltivare i quali è necessario che gli uomini si calino dalle rupi legati per mezzo del corpo con una corda et anco a vendemmiare le uve, dalle quali si spreme quel vino tanto eccellente detto l’Amabile, di cui non v’è principe che non s’ascrivi a fortuna d’averne alle sue Mense.

Goffredo Casalis nel libro La Spezia – descrizione geografico-storica della città e del territorio del 1830 scrive: “… Seguendo la descrizione de’ luoghi di questa provincia, che si trovano a non molta distanza dal capoluogo di essa, osserviamo che in faccia alla terra di Rio Maggiore vedesi in mare lo scoglio del Ferrale, detto da’ marinai il Fenaro, scoglio molto pericoloso a’ naviganti nelle ore notturne, quando il cielo è ottenebrato, e la marina è in tempesta.”

Come soleva dire Indro Montanelli “Un popolo che ignora il proprio passato non saprà mai nulla del proprio futuro”, storia e leggenda si intrecciano, ma lo scoglio Ferale continua e continuerà a rappresentare un punto di riferimento per i naviganti, ma soprattutto rimarrà quale simbolo imperituro di tradizione e appartenenza per gli abitanti locali.

Ad Maiora Semper!

 

 

Luigi Garavoglia e lo Scoglio Ferale*

 

Lo scoglio sembra l’elmo di un guerriero

 con sopra una croce per cimiero,

immenso elmo di un Dio che qui ha scordato

nei tempi immaginari del passato.

Sui lati il mar lo bagna e l’accarezza

oppur viene colpito con durezza

dall’onda che percuote e l’assale,

il nome suo è Scoglio Ferale.

Ferale perché sembra che di notte

contro di lui finite sian le rotte

di molte navi che con mare mosso

hanno con forza contro lui percosso.

La grande croce bianca sulla cima

ricorda un ufficiale di marina

che qui morì al finir dell’ottocento

cadendo nel fare un rilevamento

 

*“Lo Scoglio Ferale”, poesia di Giancarlo Natale