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I quarant’anni della guerra delle Malvinas e l’ironia inglese sul valore degli italo-argentini

Ricorre, oggi, il quarantesimo anniversario dell’inizio ufficiale della “Guerra della Malvinas”, conflitto del quale avevamo già fatto cenno in un precedente articolo dedicato al contributo che in esso offrì la gloriosa Gendarmeria Argentina. Non è mia intenzione entrare nel merito di tale scontro, in particolare sulle sue motivazioni politiche scelte nel 1982, pur ricordando i numerosi tentativi che l’Argentina aveva portato avanti, onde rivendicare ciò che gli apparteneva, da epoca ben più remota. Posso solo aggiungere un dato storico: l’Arcipelago apparteneva alla Spagna e, quindi, in seguito alle Provincie Riunite del Rio de la Plata, sin dai tempi del Magellano, il quale le scoprì nel 1520, mentre si trovava al servizio del grande Paese Europeo[1]. Per il Regno Unito – baluardo di libertà anche a 13.000 chilometri di distanza da Londra – il possesso di quelle sperdute isole dell’Atlantico Meridionale, in realtà ad appena 500 chilometri dall’Argentina, fu allora giustificato solo da una mera questione di immagine, tanto da accreditare agli occhi del mondo intero che la faccenda era solo un tentativo della Giunta Militare di Leopoldo Galtieri ad ottenere il consenso popolare. Con questo modestissimo contributo voglio, invece, ricordare e omaggiare i tanti caduti che il conflitto procurò, sia da una parte che dall’altra e, in particolare, mi sia consentito quelli di origini italiane, e per il motivo che a breve spiegherò.

Svolgimento del conflitto (19 marzo – 14 giugno 1982)

Era il 19 marzo del 1982 allorquando una cinquantina di soldati Argentini sbarcarono nella Georgia del Sud, issandovi la gloriosa bandiera della Repubblica bianco-azzurra ideata da Manuele Belgrano, uno dei Padri della Patria, peraltro di origini italiane. La piccola guarnigione inglese provò a reagire, ma fu sopraffatta e neutralizzata dagli Argentini, i quali disposero un blocco navale nelle acque circostanti. Fu, invece, il 2 di aprile che il Paese Sudamericano invase militarmente le isole, proclamandone la legittima sovranità. Ciò che molto spesso gli storici e i giornalisti non evidenziano è il fatto che gran parte del popolo Argentino era solidale con il Generale Galtieri, il Capo della Giunta, il quale – ricordano le cronache del tempo – sfidò pubblicamente gli inglesi a venire a riprendersi le isole, peraltro dall’alto del balcone della “Casa Rosada”, dinanzi a una folla davvero oceanica. (In questo vi è una grande similitudine con quanto accadde in Italia il 10 giugno del 1940 Nda). Come era ovvio che accadesse, il Regno Unito raccolse la sfida, approfittando della circostanza onde poter così <<rispolverare i fasti di un Impero coloniale>>, peraltro già in disfacimento da tempo, ma pur sempre capace di far resuscitare il mai sopito orgoglio nazionale. Lo scontro armato ebbe principalmente luogo nei cieli e ovviamente in mare.

Un Sea Harrier della Royal Air Force

L’Argentina disponeva di 216 velivoli, tra caccia e bombardieri, contro una forza area inglese di 117 mezzi. Purtroppo, nonostante tale superiorità numerica l’Argentina avrebbe subito la perdita di 61 aerei e 25 elicotteri, mentre gli inglesi persero 10 aerei e 24 elicotteri. Il coraggio dei piloti Argentini fu, tuttavia, all’ordine del giorno, tanto da essere riconosciuto in seguito anche dagli stessi avversari. Valga per tutti il valore di piloti come il Maggiore Tomba, di chiare origini italiane, il quale si lanciò solo dopo che il suo aereo era stato praticamente distrutto in volo dal tiro dei cannoni di un Sea Harrier inglese. Il Regno Unito mise in campo una poderosa forza, un vero e proprio Corpo di Spedizione, inviando nell’arcipelago 13.000 uomini (fanti di Marina) a bordo di 111 navi, contro solo 38 navi argentine e poco più di 3 mila uomini imbarcati. Da ambedue gli Eserciti contendenti gli effettivi erano più o meno gli stessi, circa 10 mila uomini. Superiore si rivelò essere la capacità difensiva della flotta Inglese, dotata di un miglior equipaggiamento. Gli inglesi, infatti, disponevano di missili Sidewinder e di un sistema di ingaggio frontale che veniva gestito a bordo delle navi, principalmente portaerei, le quali schieravano anche efficaci difese antiaeree. E ciò mentre gli Argentini erano costretti ogni volta a tornare sulla terraferma, procedura questa che limitava di molto la loro capacità di azione ed autonomia generale. Anche la guerra navale fu intensa e violenta, ricordando il siluramento, da parte del sottomarino inglese “Conqueror” del glorioso incrociatore “General Belgrano”, causando la morte di oltre 300 uomini. In verità due giorni dopo anche l’Argentina avrebbe conseguito un suo importante risultato, grazie all’affondamento del cacciatorpediniere “Sheffield”, una delle sette unità perse dagli inglesi in quel contesto.

L’incrociatore argentino “General Belgrano”

Quella delle Malvinas fu una guerra breve ma pur sempre cruenta, con numerosi episodi di battaglie e di valore, comunque immortalate dalla storia militare e in parte ricordate da chi scrive nel già citato saggio sullo “Squadrone Alácran”. La guerra, passata alla storia come “Falkland-Malvinas”, ebbe fine il 14 giugno 1982, con la resa delle truppe Argentine e il ritorno della bandiera inglese a Port Stanley, come gli inglesi richiamarono la capitale delle isole dell’arcipelago, la storica Puerto Argentino. Va detto che ancora oggi le isole Malvinas sono tema di disputa, per quanto pacifica, da parte dell’Argentina, la quale continua giustamente a ritenerle sue, a differenza di quanto era avvenuto qualche secolo prima nell’allora Regno di Napoli, quando la “perfida Albione” aveva sottratto, senza colpo ferire, l’isola di Malta alla Corte dei Borboni, ma questa è un’altra storia…

Il Bilancio del conflitto da parte Argentina ed alcune riflessioni.

Secondo una statistica ufficiale Argentina stilata nel 1998[2], nei 74 giorni della sua durata, la guerra delle Malvinas comportò la perdita di 629 uomini, mentre 1.082 sarebbero stati i feriti. L’Esercito perse 194 uomini, tra ufficiali, sottufficiali e soldati. L’Aeronautica 55, la Marina 375, la Prefettura Navale (equivalente della nostra Guardia Costiera) 2 uomini, la Gendarmeria Nazionale 7, come è stato già ricordato in altro contributo, così come la Marina Mercantile, che ne perse, invece, 18. Nello scorrere l’elenco ufficiale dei caduti che l’Argentina lasciò sul campo, peraltro proclamati tutti “Eroi Nazionali”, colpisce un dato veramente significativo: l’elevato numero di persone che portavano con orgoglio un cognome di origine italiana, come avevo già anticipato nel servizio dedicato alla Gendarmeria Nazionale, laddove avevo parlato di Juan Carlos Treppo. Ebbene sono ben 112 i cognomi marcatamente italiani emersi dalla lista ufficiale, mentre oltre una cinquantina sono i cognomi che potrebbero essere sia di origini italiane che spagnole, come ad esempio i Lopez, i Diaz, i Castro, e così via, ma dei quali non possiamo conoscere l’origine effettiva. A questo punto mi sia consentita una piccola riflessione. Già quarant’anni orsono tale sacrificio avrebbe dovuto far riflettere l’antica Madrepatria, quell’Italia smemorata che, invece, preferì schierarsi inizialmente a favore della politica imperiale Inglese, tanto da applicare, già l’8 di aprile 1982, la decisione assunta dai Paesi CEE di porre l’embargo sul materiale bellico destinato in Argentina, piuttosto che appoggiare le giuste rivendicazioni del Popolo Argentino, anche se in quel contesto sottoposto ad una dittatura militare. Per dovere di cronaca è, però, anche giusto ricordare che il 17 maggio, allo scadere del secondo embargo riguardante le importazioni e le esportazioni, l’Italia rinsavita non rinnovò più le sanzioni stesse, provocando così vive polemiche in seno alla Comunità Economica Europea. Certamente ciò fu un coraggioso segnale, che purtroppo però non avrebbe modificato l’esito finale del conflitto.

La prima pagina del quotidiano Avvenire del 22 maggio 1982. I giornali di tutto il mondo, compresi quelli italiani raccontarono il conflitto. Giovanni Paolo II, in Vaticano, riunì i cardinali e i vescovi argentini e inglesi per pregare per la pace.

Non solo, ma a proposito dei militari argentini di origine italiana è opportuno ricordare quell’odiosa campagna polemica, ovviamente alimentata dagli stessi inglesi, la quale coinvolse addirittura qualche esponente di quel Governo, il quale fu udito affermare, ragionando se gli Argentini sarebbero o meno scesi in guerra, che data la discendenza per metà italiana di buona parte di quel Popolo <<se fosse prevalsa la discendenza spagnola avrebbero combattuto, mentre se fosse risultata dominante quella italiana non l’avrebbero fatto>>. Quella che poteva sembrare una simpatica e goliardica battuta fu, invece, un’offesa gravissima, in virtù della quale si attribuiva di fatto una codardia di origine razziale, per non parlare della messa in discussione del valor militare incarnato dagli italiani stessi. Nell’abbandonarsi alle loro “stupide battutine da pub”, gli inglesi dimostrarono di aver dimenticato quanto era accaduto una quarantina d’anni prima. Mi riferisco, in particolare, al comportamento eroico tenuto dai Fanti Italiani sull’Amba Alagi, in Africa Orientale nel corso della 2^ guerra mondiale (era il 17 maggio del 1941), allorquando proprio loro stessi – gli Inglesi – concessero l’onore delle armi ad Amedeo di Savoia Duca d’Aosta, Viceré d’Etiopia, in omaggio al suo leonino coraggio e a quello delle sue truppe. In realtà, noi italiani – dimentichi di quale fosse sempre stato il giudizio che il popolo Inglese aveva sempre avuto riguardo alla nostra Stirpe millenaria – ne avremmo subito ben altre di lì a qualche mese. Ricordo a tutti le battutine, apparse su molti quotidiani britannici, riguardo alle <<ridicole piume>> che i nostri gloriosi Bersaglieri portavano, invece, con orgoglio sui loro elmetti bianchi in occasione della missione multinazionale di pace in Libano, varata dal Governo Italiano il 19 agosto dello stesso 1982. Concludo col dire che innanzitutto non fu giusto allora prendere in giro gli italo-argentini per una loro presunta codardia in battaglia, se non altro in rispetto agli oltre cento caduti dal sangue italiano, così come non fu giusto nemmeno prendere in giro i nostri Fanti piumati di lì a poco, soprattutto perché a farlo era gente che nessun italiano aveva mai offeso per alcune loro tradizioni, anche quando li aveva visti sfilare con le gonne scozzesi…La guerra è sempre un fatto negativo, questo è vero e purtroppo attuale. Ma ciò non toglie, purtroppo, che l’arroganza di talune Nazioni anche di fronte all’evidenza della storia è un fatto che offende l’intelligenza umana, la cultura e quelle conquiste o battaglie di civiltà che tanto sangue hanno richiesto nel corso dei secoli. Mi associo, per questo, al motto che per tutto l’anno 2022 campeggerà sia nei siti, sia negli atti ufficiali prodotti dai vari Enti Argentini: <<Las Malvinas son argentinas>>[3], lo dobbiamo ai tanti caduti, molti dei quali nutriti dal nostro sangue…

Dott. Gerardo Severino
Storico militare

[1] Gli inglesi rivendicano il fatto che fu il capitano John Strong a scoprire per primo, nel 1690, le isole, chiamandole così in onore del visconte di Falkland.

[2] Pubblicata dalla Legge nazionale n. 24.950 promulgata il 14 aprile 1998, in seguito modificata dalla Legge 25.424/2001.

[3] Per effetto del Decreto Presidenziale n. 17/22 del 13 gennaio 2022.

 

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