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28 dicembre 1908: il terremoto distrugge Messina e Reggio Calabria

Alle 05.20 del 28 dicembre una scossa del il 10° della scala Mercalli preceduta da tante scosse sismiche prodotte sui versanti siciliano e calabro dello Stretto di Messina rade al suolo Messina e Reggio Calabria. Il sisma dura 37 secondi. Accade di notte e solo il 2 per cento degli edifici non rimane danneggiato. Crolla invece il 90 per cento di palazzi, case, chiese, monumenti. Al terremoto fa seguito un maremoto con onde alte che vanno dai sei agli oltre dieci metri. Il litorale viene spazzato via. Porti e frazioni cittadine di mare vengono spazzate vie. Più di 30 i paesini colpiti. La gente viene colta nel sonno. Solo il capoluogo messinese conta 130mila abitanti. Saranno 80mila le vittime a Messina (il 57 per cento della popolazione) e 15mila a Reggio Calabria (poco più del 33 per cento della popolazione).

I soccorsi tardano ad arrivare. La Regia Marina, che fa base a Messina, risulterà fondamentale soprattutto per le comunicazioni e per il trasporto in massa di tutto quanto necessita nelle operazioni di soccorso. Le navi grigie della Marina italiana, alla fonda nel porto di Messina, raggiungono la costa calabrese e comunicano con Roma.

Furono dislocate ben 48 unità (sei corazzate, due incrociatori corazzati, tre arieti torpedinieri, tre incrociatori torpedinieri, cinque cacciatorpediniere, 15 torpediniere, 14 navi ausiliarie e di uso locale) con 6788 militari: uno sforzo notevole considerando il periodo delle festività natalizie che ha sorpreso navi e organizzazione con circa un terzo del personale in licenza e pur con ciò riuscendo a dare immediatezza di risposta all’emergenza nazionale con la disponibilità di 12 unità navali entro le prime 24 ore dal sisma. Da ricordare, infine, i 78 ufficiali, sottufficiali e marinai della base e delle unità di Messina fra le vittime del terremoto, morti o sepolti dalle macerie (fonte: Marina Militare)

Alle 20.30 circa il Governo italiano riceve la notizia. Il Presidente del Consiglio Giovanni Giolitti riunisce i ministri e richiama il re Vittorio Emanuele III a Roma.

Nel porto di Messina si trovavano le torpediniere “Saffo”, “Serpente”, “Scorpione”, “Spica” e l’ariete torpediniere “Piemonte”. I marinai sbarcarono dando inizio alle prime opere di soccorso. Feriti e profughi furono trasportati con le torpediniere a Milazzo. L’incrociatore divenne la sede operativa per raccogliere ed inquadrare il personale disponibile al fine di coordinare gli aiuti.

La divisione navale composta dalle navi da battaglia “Regina Margherita”, “Regina Elena”, “Vittorio Emanuele” e “Napoli” diresse verso la zona disastrata. Il Ministro dei Lavori Pubblici raggiunse Messina con l’incrociatore torpediniere “Coatit”. Il Re e la Regina partirono il 29 per Napoli e imbarcarono sulla “Vittorio Emanuele” opportunamente rifornita di materiale sanitario e generi di conforto.

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La cerimonia in ricordi dei marinai russi che soccorsero i messinesi (foto: Marina Militare)

I primi soccorsi a Messina il 29 dicembre del 1908 giungono dalla Marina russa. Le tre navi russe Makarov, Zarevic e Slovo, portano cibo, medicinali e coperte. L’ammiraglio Ponomarev assume il comando delle operazioni facendo trasferire a bordo delle sue navi i feriti più gravi. Inoltre coordina le squadre antincendio. Poi giungono i tedeschi, gli inglesi e i francese. E’ la prima grande operazione internazionale umanitaria del Novecento. Per il suo grande impegno, nel 2006, alla marina russa è stata dedicata una via da parte del comune di Messina.

“Le navi da guerra vennero trasformate in ospedali e trasporti. I marinai organizzarono anche pattuglie di ronda con lo scopo di provvedere alle esigenze di pubblica sicurezza – si legge nel sito ufficiale della Marina Militare – . Unità da guerra francesi, tedesche, spagnole, greche e di altre nazionalità raggiunsero le sponde dello stretto e misero a disposizione i propri equipaggi per provvedere a quanto necessario.

In tutta Italia si formarono comitati di soccorso per la raccolta di denaro, viveri ed indumenti. Squadre di volontari composte da medici, ingegneri, tecnici, operai, sacerdoti ed insegnanti si misero in viaggio per portare, malgrado le difficoltà di trasferimento esistenti, il loro sostegno alle zone terremotate. Anche le Ferrovie inviarono proprio personale: tra questi Gaetano Quasimodo che raggiunse Messina portando al seguito la famiglia ed il figlioletto Salvatore di soli 7 anni futuro premio Nobel per la letteratura.

Per Messina, alle prese già all’epoca con un ridimensionamento del proprio ruolo nei traffici internazionali ma ancora operosa e non priva di fermenti positivi, il terremoto del 1908, con il suo carico di morti e distruzioni (60/65 mila vittime nel solo capoluogo), ha rappresentato una cesura “epocale”, sconvolgendo profondamente il tessuto urbano, le attività economiche prevalenti e, in termini generali, la sua stessa identità – ha spiegato su Giorni di Storia lo storico Antonio Baglio dell’Università di Messina -.  Da quel momento in poi si sarebbe assistito ad una vera e propria mutazione “genetica” della città che, abbandonando il suo tradizionale ruolo marittimo e commerciale, avrebbe acquisito progressivamente la fisionomia di centro burocratico-militare, con prevalenza dell’attività edilizia e del terziario improduttivo, sempre più dipendente dai flussi finanziari provenienti dal governo centrale, gestiti con l’intermediazione dei politici locali”.

Inoltre l’evento sismico, ha aggiunto lo storico Baglio “ha finito pure per rappresentare un elemento di forte discontinuità sia sul versante della composizione sociale che della memoria storica. Se la città era destinata a ripopolarsi in tempi rapidi grazie a flussi di popolazione provenienti da fuori, attratti dalle nuove possibilità offerte dai lavori pubblici e dall’ampliamento dei servizi, tale processo sarebbe avvenuto all’insegna di una “rescissione” dei legami con la storia cittadina precedente e la sua specifica vocazione. A ciò si aggiunse l’estrema problematicità  per i sopravvissuti di elaborare l’accaduto e la volontà evidente in chi operò le scelte urbanistiche di tagliare i ponti con il passato, abbattendo molte delle vestigia che la furia del terremoto non era riuscita a sconquassare. Ne scaturì un “deficit identitario” che ancora oggi si trascina, consistente nella difficoltà di recuperare gli elementi fondativi della propria identità, il proprio passato, e di consegnare alle generazioni successive la memoria e la storia stessa della città”.

Vincenzo Grienti

Per saperne di più visita il sito RussianEcho.it che il 25 dicembre 2008 ha dedicato un ampio speciale al centenario.