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26 gennaio 1943: il dramma dell’Armir

Morirono di fame, di stenti, di freddo e del piombo sovietico. Una campagna, quella dei militari italiani inviati in Russia, iniziata male e finita peggio. E’ il 22 giugno del 1941 quando i soldati tedeschi avanzano distruggendo le postazioni sovietiche. Mussolini spinge per andare a fianco del suo alleato Hitler in quella che fu denominata “Operazione Barbarossa”. I generali tedeschi sono contrari. Alla fine il Furher cede. Il 10 luglio 1941 il duce invia in Unione Sovietica 62mila soldati del Csir, Il Corpo di spedizione italiano. Poi nel 1942 è Hitler a chiedere sostegno a Mussolini. Vengono inviati altri soldati e si costituisce l’Armir, l’Armata italiana in Russia con 7 divisioni, di cui 3 alpine. Il numero dei nostri connazionali sale a 229mila. L’Armir viene subito chiamato a fronteggiare i russi nella 1ᵃ battaglia difensiva del Fiume Don. Nel novembre 1942 i russi contrattaccano e chiudono in una sacca sul Volga e sul Don i tedeschi. Il 16 dicembre i sovietici sferrarono una grande offensiva che investe le divisioni italiane di fanteria schierati sul medio Don. Il fronte nazi-fascista viene rotto un mese dopo tra il 16 e il 17 gennaio del 1943
I comandi italiani ordinano di ripiegare. Inizia la lunga ritirata. Attanagliati dal gelo i soldati italiani ripiegano fino a Nikolajevka. Qui il 26 gennaio 1943 l’ultimo capitolo del dramma nella steppa. Infine la prigionia che porterà gli italiani prima ad essere rinchiusi nei lager tedeschi poi nei gulag sovietici. Circa 10mila di essi si salvarono dalla prigionia. Il ritorno a casa si completò solo nel 1954.

La partecipazione italiana nella campagna di Russia (1941-1943) fu voluta fortemente da Benito Mussolini e sostenuta da Galeazzo Ciano, ministro degli affari esteri italiano. Il coinvolgimento delle truppe italiane nell’Operazione Barbarossa era dovuta a ragioni di prestigio, ma anche alle preoccupazioni per il futuro assetto post-bellico dell’Europa, oltre che ad ottenere una buona collocazione dell’Italia nello scacchiere politico-internazionale in caso di vittoria dei Paesi dell’Asse.

Alla base del coinvolgimento italiano nella campagna militare contro l’Unione Sovietica c’era anche un carattere prettamente politico: la necessità del regime fascista di essere parte attiva nella lotta antibolscevica più volte rimarcata nelle sedi istituzionali e attraverso la propaganda. Per tale ragione Mussolini spinse per andare a fianco della Germania nazista in quella che doveva essere una guerra di breve durata e che invece si dimostrò intensa e sfiancante sia per gli invasori italo-tedeschi che per i sovietici costretti a difendersi. I generali germanici erano contrari all’impegno italiano in Russia e anche gli alti comandi militari italiani giudicavano lo sforzo sul campo non solo una dispersione di forze, ma la via per un possibile indebolimento dell’esercito chiamato a fornire un consistente apporto all’avanzata e all’occupazione.

Tutte resistenze che vennero superate con la scelta del fürher di far partecipare l’alleato alla Campagna. Così il 10 luglio 1941 iniziò il dispiegamento in Unione Sovietica dei 62mila soldati del CSIR, il Corpo di Spedizione Italiano in Russia. Il trasporto delle tre divisioni avvenne per tramite ferrovia e il comando venne affidato al Generale Giovanni Messe, considerato anche dagli Alleati uno dei migliori ufficiali italiani.

La mobilitazione venne effettuata nel periodo estivo, ma le difficoltà di tipo logistico e strutturale emersero immediatamente: equipaggiamento non adeguato, mezzi non sufficientemente dotati di una capacità operativa tale da permettere il raggiungimento degli obiettivi, scarso supporto da parte degli alleati tedeschi. Fattori, questi, che si ripercuoteranno anche sulla Regia Aeronautica chiamata ad appoggiare le forze terrestri.

Il CSIR contava in tutto 62.000 uomini, 4600 quadrupedi, 5500 automezzi, 188 pezzi di artiglieria, 60 carri leggeri e 83 aerei, cui nell’inverno si aggiunsero, oltre a quelle del battaglione Alpini sciatori Monte Cervino, le forze del 6° bersaglieri, del 120° Artiglieria motorizzato e del XIV Autogruppo di manovra, destinati a sostituire nella Celere le truppe a cavallo, da riunire in un loro raggruppamento autonomo. Infatti, la scelta combinata di mettere sul campo motori e cavalli entrò subito in crisi con l’arrivo dell’inverno e si dimostrò alquanto infelice determinando la necessità di riordinare e potenziare il CSIR con nuove truppe motorizzate fatte trasferire appositamente dall’Italia. Per quanto concerne gli armamenti in dotazione alle truppe italiane fino all’estate 1942 occorre sottolineare la mancanza di mitra, così come di fucili o moschetti a ripetizione semi-automatica. I mitragliatori e le mitragliatrici stentavano a funzionare alle più basse temperature, anche se lubrificati con antigelo. Insufficienti e inefficaci erano poi i pezzi controcarri da 47/32 davanti ai T.34 sovietici. I mortai da 45 mm erano scadenti mentre risultavano buoni quelli da81 mm , invece i pezzi da campagna da 75/27 erano antiquati e di gittata non sufficiente per i compiti a cui erano stati chiamati. Per contro le mitragliere contraeree da 20 mm si rivelarono buone, così le artiglierie dei calibri superiori. Sotto il profilo dei carri, gli L 3/33 non furono mai incisivi né in grado di affrontare il contesto di guerra. Anzi, molto presto meccanicamente andarono fuori uso. L’aviazione italiana chiamata a dare supporto al CSIR, invece, soprattutto durante il primo anno di guerra riuscì a compiere e portare a termine le missioni di supporto alla Luftwaffe e di copertura alle truppe a terra. Anche quando vennero ingaggiati combattimenti con i velivoli russi i caccia italiani, sia per addestramento dei piloti, sia per l’utilizzo dei Macchi MC.200 riuscirono, almeno nei primi mesi della Campagna di Russia, ad avere una certa superiorità aerea.

 

Bibliografia

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– ROCHAT Giorgio, Le guerre italiane 1935-1943, Torino, Einaudi, 2005.
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Le operazioni delle unità italiane al fronte russo (1941-1943), Roma, USSME, 2000