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Olga Armanda Gliozzi, la calabrese e senatrice della Repubblica Argentina amica di Evita Peròn

Di recente un’affermata politica argentina, nel commentare alcune sue presunte disavventure giudiziarie ha commesso una gaffe imperdonabile, definendo gli italiani <<mafiosi geneticamente>>, alludendo, peraltro senza mezzi termini, ad un suo rivale, l’ex Presidente della Repubblica Argentina, Mauricio Macri, degno figlio della nostra amata Calabria. Ebbene, senza entrare in polemica con la signora, la quale non si è probabilmente resa conto che con tale frase ha offeso metà dell’Argentina, ma soprattutto le varie e consistenti Comunità Calabresi, trapiantate nei secoli scorsi in Sud America, voglio proporre oggi la storia di una mia congiunta, lontana cugina di mia madre (Rita Gliozzi Severino), nata a Buenos Aires, ma originaria di Ardore Superiore, la quale, come vedremo a breve, avrebbe varcato addirittura gli scranni Parlamentari, peraltro in un’epoca storica certamente non facile per le donne, in generale. Suo padre, figlio e nipote di personaggi illustri di Ardore Superiore (Reggio Calabria), aveva cercato fortuna proprio in Argentina, non potendo più contrare in Patria su un futuro certo, soprattutto dopo la frammentazione in mille rivoli del cospicuo patrimonio immobiliare che la potente famiglia aveva messo su nei secoli precedenti. Proprietari terrieri, ma anche fondatori della più grande farmacia di Ardore, gli Gliozzi erano in tanti, tra fratelli, e sorelle, figli e nipoti. Molti di loro, soprattutto dopo l’unità d’Italia, erano entrati a far parte della Pubblica Amministrazione, avevano scelto carriere militari ed ecclesiastiche, così come alcuni avrebbero ricoperto la carica di Sindaco, di amministratori locali, ovvero di Cancelliere di Tribunale, come avvenne per mio nonno, Carlo Gliozzi.

Farmacia Gliozzi Ardore

Per altri membri, invece, l’unica possibilità che la vita gli avrebbe offerto sarebbe stata quella dell’emigrazione, la quale ne portò alcuni negli Stati Uniti, altri in Argentina e persino in Brasile. I Gliozzi, così come la stragrande maggioranza dei Calabresi in Argentina, vissero e operarono nel pieno rispetto delle leggi e della pacifica convivenza con le altre Comunità locali, godendo solo dei frutti del proprio lavoro, raggiungendo così, anche se molto faticosamente, le tappe più significative di importanti carriere, come accadde alla cugina Olga, che senza ombra di dubbio le conseguì non perché era Calabrese e, quindi, per pensarla come la prima citata politica, sfruttando il suo innato “gene mafioso”.

Olga Armanda Gliozzi, la Senadora (1913 – 1970)

Pasquale Gliozzi

La vicenda umana di Olga Armanda Gliozzi, nata a Buenos Aires il 18 gennaio del 1913, da Pasquale e da Dorotea Redi è una delle tante storie che in qualche modo ci confermano quanto sia stato grande e importante l’impegno che la Comunità italiana ha sostenuto in Argentina, pur di affermarsi socialmente e di integrarsi completamente nel tessuto socio-economico del grande Paese Latino-americano. Pasquale Gliozzi, nato ad Ardore Superiore nel corso del 1880, era giunto a Buenos Aires il 19 dicembre del 1905, assieme al padre, Don Filippo Gliozzi, classe 1857 (zio di mio nonno, Carlo Gliozzi) e, molto probabilmente, assieme alla madre, della quale purtroppo non ho altri estremi. Sbarcati dal piroscafo “Italia”, partito una ventina di giorni prima da Genova, i congiunti furono, quasi certamente, accolti da altri familiari o comunque amici già ben inseriti nella metropoli porteña. Quella dei Gliozzi era una famiglia dalle antichissime origini, attestata già verso l’anno Mille a Platì, ma soprattutto ben nutrita, come raccontavo prima. Un ramo consistente di essa si era, poi, trasferito, attorno al 1500, ad Ardore, frammentandosi così in altri numerosi rivoli, dai quali è verosimile ritenere che altri esponenti avessero optato per la stessa scelta di vita, vale a dire l’emigrazione. In Argentina, Pasquale Gliozzi, che in gioventù aveva seguito il padre nel mestiere di “segatore” (almeno questa è la professione dichiarata in atti alle Autorità Consolari Argentine al momento della partenza da Genova), fece ben presto fortuna, divenendo un affermato imprenditore, molto probabilmente nel settore edilizio, ma anche un punto di riferimento fra gli italiani stanziati in città. Nel corso della “Grande Guerra”, tanto per citare un esempio tangibile, Pasquale Gliozzi, membro storico della Società “Unione e Benevolenza”, fu anche Presidente della XII Sezione “Almagro” (costituita nel giugno del 1915 in Via Agrelo, 3968) del benemerito “Comitato Italiano di Guerra”, che ebbe un ruolo molto importante anche a favore delle famiglie vittime della stessa guerra. Dal matrimonio con la compatriota, Maria Dorotea Redi, originaria di Castrovillari,  nacquero nel tempo Isabel, Olga, Fernando e Aida[1].

Cartolina Postale del farmacista Gliozzi di Ardore – anno 1919

Attorno al 1916, allorquando, presso la bellissima Chiesa di San Carlos Borromeo (nei pressi di Almago, Comuna 5) fu battezzata l’ultima figlia, la famiglia viveva nella centralissima Calle Independencia, 4200, segno evidente di quanto Don Pasquale era riuscito a costruire, o conquistare che dir si voglia. Tornando alla nostra protagonista, ricordo che nella seconda metà degli anni ’30, Olga Armanda Gliozzi s’unì in matrimonio con il Professor Florencio Monzón, nato a Corrientes il 27 ottobre del 1910, il quale in quel frangente storico, oltre che a insegnare in una scuola di Buenos Aires era anche un attivo politico, seguace del noto Deputato autonomista Antonio Solari. Con lui, Olga avrebbe avuto due figli, Florencio Raúl Fernando, che nacque nel 1937 e Isabel, nata nel 1943. Il 1943 fu anche l’anno in cui, nel corso del mese di giugno, con il grado di Colonnello, Juan Domingo Perón avrebbe svolto un ruolo di primo piano nel golpe militare organizzato dal GOU (“Grupo de Oficiales Unidos”) contro il Governo di Ramón S. Castillo. Inizialmente posto a capo della segretaria del Ministero della Guerra, sotto il Generale Pedro Pablo Ramírez, il 27 ottobre 1943, la precaria alleanza tra sindacalisti e militari consigliò al Ramírez di nominare Perón Direttore del Dipartimento del Lavoro. Divenuto Ministro del Lavoro e dello Stato Sociale il 27 novembre dello stesso anno, fu poi nominato Segretario alla Guerra nel successivo governo del Generale Edelmiro Julián Farrell, subentrato nel febbraio 1944.

Buenos Aires – Palazzo del Congresso della Repubblica Argentina

Nel giugno di quell’anno, Juan Domingo Perón divenne anche Vice Presidente del Governo, mantenendo tuttavia sia il Ministero della Guerra che la carica di Segretario del lavoro e della sicurezza sociale, assurgendo così alla figura più forte dell’intero esecutivo. Il Colonnello Perón fu, quindi, l’artefice di una grande trasformazione socio-economica, la stessa che fu poi la base di partenza quel nazionalismo operaio, che prese forma tra la seconda metà del 1944 e la prima metà del 1945, prendendo non a caso il nome di “Peronismo”. Ma la calma apparante durò veramente poco, in quanto già nel settembre dello stesso ‘45 le forze d’opposizione, guidate da radicali, democristiani, filocomunisti e organizzazioni settoriali, con il sostegno dell’ambasciatore USA, promossero nella stessa Buenos Aires una marcia di 200 mila persone. Ciò provocò non poca apprensione anche all’interno dello stesso Governo, ma soprattutto tra le Forze Armate, contrarie al duo Farrell-Peron. Fu così che le truppe militari di stanza a Campo de Mayo, al comando del Generale Ávalos (fra l’altro uno dei capi del GOU), chiesero le dimissioni e l’arresto di Perón. Costretto dapprima alle dimissioni dal Governo il 9 ottobre del 1945, sostituito dallo stesso Ávalos, Juan Domingo Perón fu arrestato il giorno 12, mentre il 16 ottobre fu persino internato presso l’ospedale militare di Buenos Aires. Nello stesso giorno la Confederazione Generale del Lavoro si riunì e proclamò uno sciopero di ventiquattr’ore per il 18 ottobre ma il popolo esausto iniziò a non dare più ascolto nemmeno ai sindacati. In realtà il 17 ottobre, senza che nessuno avesse dato l’ordine, il luogo del preventivato sciopero, una grande mobilitazione popolare (passata poi alla storia Argentina col nome di “marcia dei descamisados”) portò i “descamisados“ (scamiciati[2]), fra i quali troviamo anche il Professor Florencio Monzón, ad occupare Plaza de Mayo, esigendo la liberazione di Perón. Dopo intensi negoziati, Juan Domingo Perón fu rilasciato e quella stessa notte si rivolse ai suoi sostenitori da uno dei balconi della Casa Rosada. Sia Ávalos che Álvarez l’indomani cessarono dalle funzioni ministeriali e fu concordato un nuovo Gabinetto di Governo tra Farrell e Perón, con uomini fedeli a quest’ultimo. Pochi giorni dopo fu fissata la data delle elezioni: il 24 febbraio 1946, elezioni che portarono alla presidenza il Generale Perón.

Evita Peron parla agli argentini

Questi cercò di dare più potere alla classe lavoratrice, aumentando notevolmente il numero dei lavoratori sindacalizzati. I suoi seguaci acclamarono i suoi sforzi finalizzati ad eliminare la povertà e a dare maggiore dignità al lavoro, mentre i suoi oppositori politici, rappresentati dall’oligarchia e da alcune frange militari, lo considerarono un demagogo e un dittatore. Perón aveva dato vita ad un movimento politico, il “Peronismo”, detto anche “Justicialismo”, il quale si proponeva come terza via fra il Capitalismo e il Socialismo. La sua fama, tuttavia, accrebbe enormemente anche grazie all’opera indefessa della sua seconda moglie, María Eva Duarte (Los Toldos, 7 maggio 1919 – Buenos Aires, 26 luglio 1952), della quale non dobbiamo aggiungere altro. Evita avrebbe, infatti, attratto al “Peronismo” migliaia di argentini, facilitando enormemente l’ingresso della donna in politica, come sarebbe accaduto alla stessa Olga Armanda Gliozzi. Come ricorda il figlio, lo storico Florencio Monzón in un suo celebre libro, Olga Gliozzi, fu una delle prime 30 donne incaricate da Evita Perón, della quale divenne cara amica, di formare il ramo Peronista femminile, durante gli anni del ritorno al potere del Generale Juan Domingo Perón[3]. Olga fu, quindi, nominata Subdelegata del Partito per la città di San Fernando, una località sita a circa 27 Km a Nord-Ovest di Buenos Aires, sulla sponda destra del fiume Luján, nel margine sud del delta del Paraná. Due anni dopo l’immatura scomparsa della Presidenta, come affettuosamente era passata alla storia la bellissima Evita, Olga Armanda Gliozzi de Monzón fu eletta Senatrice della Repubblica Argentina in occasione delle elezioni politiche nazionali del 1954, nell’ambito del Colegio della Provincia di Buenos Aires (la c.d. “Cámara de Senadores de la Provincia de Buenos Aires”), scelta dagli elettori nell’ambito dello stesso Partito Peronista, altrimenti definito “Bloque Peronista”. In quel contesto, lo stesso Professor Monzón, che aveva mantenuto ancora la carica di Direttore della Scuola di San Fernando, fu nominato Consigliere legislativo sia a favore del Deputato operaio Celestino Valdez, che di sua moglie, la nostra Olga Armanda Gliozzi. La prima fase dell’epopea Peronista ebbe fine il 16 giugno del 1955, allorquando fu organizzato un colpo di Stato militare da parte della Marina Militare, la quale bombardò la Casa Rosada tentando di uccidere il Presidente. Truppe dell’esercito, leali a Perón, sconfissero, tuttavia, i golpisti, molti dei quali fuggirono all’estero. Perón cambiò Ministro dell’Interno e della Marina e tentò una nuova fase di democratizzazione del Paese, autorizzando i vecchi partiti a servirsi dei media. Alcuni mesi dopo, un secondo golpe, la cosiddetta “Revolución Libertadora“, sostenuta dai settori antiperonisti delle forze armate, da dirigenti radicali, conservatori e socialisti e anche da alcuni settori della Chiesa, fu realizzato il 19 settembre 1955.

A quel punto Perón fu costretto a fuggire in esilio in Paraguay. Tornando alla nostra storia ricordiamo, invece, che il Prof. Monzón, dopo il colpo di Stato militare, fu licenziato <<per ripetuti atti di ossequio al regime deposto>> e la sua Scuola, che lui stesso aveva voluto intitolare “18 de Octobre” fu ribattezzata “José Gervasio de Artigas“. In seguito – siamo giunti al novembre del 1955 – il Professor Monzón si recò in Paraguay per incontrare Perón a Villarrica del Espiritu Santo. Fu proprio qui che fu decisa l’azione dei Commandos peronisti in esilio nei paesi vicini. In quella circostanza il Generale chiese al Monzón di recarsi a Santiago del Cile, ove avrebbe incontrato la Senatrice María de la Cruz, esponente del Partito Laburista Agrario, con la quale avrebbe dovuto organizzare una cellula con i Peronisti in esilio. Di lì a qualche tempo, la stessa famiglia Monzón-Gliozzi si trasferì nella Capitale cilena, in attesa di tempi migliori. Nel periodo in cui il Professore visse in Cile, continuò l’epistolario con Juan Domingo Perón. L’ultima lettera di Perón al Professor Monzón risale al 4 settembre 1957.

Sempre in Santiago, il Prof. Monzón divenne uno dei principali responsabili dell’Assemblea degli Esuli argentini in Cile, la quale riuniva diversi gruppi e collaborava con i gruppi nazionalisti cileni simpatizzanti del Peronismo (Ejército Libertador Sudamericano E.L.S.A.) e con i vertici dei Commandos attivi in ​​Argentina. Olga Armanda Gliozzi e il resto della famiglia fecero ritorno in Argentina nei primi anni ’60, riprendendo così la vita di sempre. Sia lei che il marito rimasero, tuttavia, legati al “Peronismo”, collaborando a vari periodici vicini al Partito. Dal 1968, lo stesso Prof. Monzón sarebbe stato, inoltre, l’animatore della rivista “Artiempo”, sulla quale avrebbe ospitato i contributi di quanti si sentivano legati al Partito Giustizialista, ivi compresi quelli a firma dell’adorata moglie, la quale, purtroppo, lo avrebbe lasciato di lì a poco, spegnendosi, infatti, nella loro casa di Maipù, n. 1179, a San Fernando, il 14 febbraio del 1970, a un mese dal suo cinquantasettesimo compleanno. Concludo questo mio modesto saggio – non prima di aver ringraziato il Colonnello e amico Antonio Aiello, Esperto della Guardia dui Finanza presso l’Ambasciata d’Italia a Buenos Aires per l’eccezionale collaborazione fornita – con un’ultima osservazione, che per quanto banale credo possa essere quanto mai calzante. Chi agisce anche in Argentina adottando il c.d. “metodo mafioso” minaccia tutto il popolo di quel bellissimo e straordinario Paese al quale l’Italia deve moltissimo, e tra quel popolo offeso e violentato dalla criminalità vi sono moltissimi oriundi Calabresi.

Si tratta di imprenditori, commercianti, liberi professionisti, uomini e donne della cultura e delle  Istituzioni, semplici cittadini che certamente non meritano di essere tacciati – proprio in quanto legati all’Italia – di possedere un “gene mafioso”. Se così fosse – rendendo peraltro vano ogni sforzo teso a debellare dalla faccia della terra idee su presunte differenze razziali – potrei aggiungere che gli Spagnoli posseggono tutti il “gene del banditismo”, volendo ricordare le nefandezze che nel nostro Meridione commisero gli “Almugaveri” ai tempi della c.d. “Guerra del Vespro”, così come potrei dire che i Tedeschi posseggono tutti il “gene degli aguzzini”. Sappiamo tutti che non può essere questa la logica da affrontare o il pensiero da diffondere per combattere seriamente il crimine. Non si può e non si deve offendere nessun Popolo, nessuna Etnia, nessuna Religione, soprattutto se lo si fa a discapito della stessa storia del Paese a cui si appartiene, in questo caso l’Argentina, Nazione moderna e dinamica la quale sa benissimo quanto è stato fatto da tanti bravi e onesti italiani, anche Calabresi, come lo era con orgoglio e fierezza la mia lontanissima cugina, Olga Armanda Gliozzi.

Col. (a) Gerardo Severino
Storico Militare

[1] Maria Dorotea Redi era nata a Buenos Aires il 17 dicembre del 1886, figlia di Don Antonio Redi, nato a Troia (Foggia) e da Filomena Zigari, originaria di Castrovillari.

[2] Quel 17 ottobre, sotto un cielo incandescente, gli uomini sudati a causa del gran caldo si erano tolti le camicie, di conseguenza la parola dispregiativa “descamisados” (gli scamiciati), fu usata dal quotidiano <<La Prensa>>, non immaginando che da allora in poi avrebbe designato tutto il popolo Peronista.

[3] Florencio Monzón, Llegó carta de Perón. Rapsodia de la Resistencia 1955-1959, Buenos Aires, Corregidor, 2006.