Giorni di Storia

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L’eroe feltrino che si immolò per l’indipendenza argentina

Nel settembre del 1861, a sei mesi dalla proclamazione del Regno d’Italia, per il cui processo unitario si era tanto battuto sin dal 1859, cadeva sotto il piombo dei soldati confederati argentini il Capitano Romano Pezzuti Pilloni, un giovane patriota che sin da ragazzo aveva respirato, sia nella sua amata città natia, Feltre, che a Venezia, allora soggiogate dalla dominazione austriaca, il vento della libertà. A 160 anni da tale nobile sacrificio ne vogliamo ricordare la figura, dopo aver constatato che essa, purtroppo, è stata limitata per anni solo a qualche mero riferimento bibliografico, ovvero alla modesta biografia di poche righe che gli dedicarono gli storici Petriella e Sosa Miatello[1]. L’ufficiale, come vedremo a breve, fu, infatti, un brillante e coraggioso soldato, peraltro molto vicino a uomini come Giuseppe Garibaldi e Bartolomé Mitre (del quale sarebbe stato anche “Aiutante di Campo”), nomi che non hanno certo bisogno di ulteriori approfondimenti.

Da Feltre a San Martino (1839 – 1859).

Ebbene, Romano Pezzuti Pilloni vide la luce nella nobilissima città di Feltre, allora Capoluogo del VI Distretto della provincia di Belluno, dal quale dista circa 16 miglia e che a quel tempo si trovava  sottomessa al Regno Lombardo-Veneto retto dalla Corona d’Austria, l’8 ottobre del 1839, figlio del Conte Antonio Pezzuti, esattore dell’Imperial Regio Governo e della Nobildonna Marianna Pilloni. La sua venuta al mondo coincise con un’epoca nella quale la Penisola italiana era ancora sconvolta dalle epidemie di colera, ma anche dai mai sopiti tentativi rivoluzionari intentati dalle varie sette carbonare. Secondo alcuni biografi la famiglia si sarebbe trasferita a Venezia molto probabilmente attorno alla metà degli anni ‘40. Aveva, quindi, quasi nove anni il nostro protagonista quando la sua città adottiva, il 22 marzo del 1848, a pochi giorni dallo scoppio della 1^ guerra d’indipendenza, vide ritirarsi finalmente le truppe austriache e proclamare, da parte di Daniele Manin, la Repubblica. Ne aveva un anno in più quando, purtroppo, l’esperienza democratica veneziana tramontava – era il 23 agosto 1849 – sotto i colpi di cannone austriaci. Va da sé come un ragazzo che abbia vissuto tali esperienze, peraltro assistendo ad un’interminabile assedio, sia da terra che da mare, durato tutta l’estate, nella vana attesa di rinforzi, ma anche memore dei racconti dei propri genitori riguardo all’occupazione francese di Feltre, nel lontano 1797, si fosse formato al culto della libertà e dei valori liberali, in virtù dei quali di lì ad un decennio non avrebbe esitato a “scendere in campo”. Il giovane rampollo dei Conti Pezzuti Pilloni, che in quel frangente risulta essere studente, ovvero (almeno secondo lo “Stato di Servizio”) <<impiegato delle Finanze>> nel Canton Ticino (Confederazione Elvetica), scese dunque in campo nella primavera del 1859, appena avuta notizia che il 27 di aprile le truppe austriache, al comando del Feldmaresciallo Ferencz Gyulai, avevano varcato proprio il Ticino, invadendo così il Piemonte e dando inizio alla 2^ guerra d’indipendenza.

A quel punto Romano Pezzuti Pilloni fu uno dei tanti volontari che si assuolarono nell’Esercito Sardo. Grazie alle ricerche eseguite presso l’Archivio di Stato di Torino abbiamo la certezza che il nostro protagonista lasciò il Canton Ticino il 9 maggio ’59 passando il confine dei Regi Stati Sardi. A Torino, il giorno seguente fu così ammesso nel 7° Reggimento Fanteria della Brigata “Cuneo”, glorioso reparto dell’Armata Sarda con il quale avrebbe preso parte all’intera campagna militare[2]. Dopo un breve periodo di addestramento presso la 2^ Compagnia “Deposito”, il giovane fu destinato alla 12^ Compagnia dello stesso Reggimento a far data dal 18 di giugno. Tutti i modestissimi riferimenti biografici che lo riguardano sono concordi nel ricordare come il giovane fosse già Tenente di Fanteria durante la celebre battaglia di Solferino (Mantova), combattuta il 24 giugno ’59, distinguendosi per valore e coraggio in quella che fu uno dei combattimenti risolutivi del conflitto. La realtà dei fatti non è, tuttavia, questa, in quanto il Pezzuti verrà promosso Sergente solo il 3 settembre 1859, quando il 4° Reggimento di Fanteria di linea del Governo Provvisorio della Toscana nel quale era stato nel frattempo trasferito si era già trasformato  in 32°. Tornando alla battaglia di Solferino, la storia del 4° Reggimento ci ricorda che in tale circostanza, alle 9 del mattino, si distinsero in maniera particolare il 2º e 3º Battaglione, ai quali si dovette  l’incontenibile assalto che travolse letteralmente le truppe austriache, per quanto esse fossero state più numerose e in posizioni migliori. Durante lo scontro furono catturati tre pezzi d’artiglieria e conquistata temporaneamente il caposaldo detto “della Contracania”, che in seguito diverrà il luogo simbolo della successiva Battaglia di San Martino, essendo conteso con sorti alterne per tutta la giornata del 24 giugno, la stessa nel corso della quale cadde eroicamente, alla testa del Reggimento, il Colonnello Luigi Beretta, alla cui memoria fu poi conferita la medaglia d’oro al Valor Militare.

Da Torino a Gaeta (1859 – 1861).

Dopo il vergognoso armistizio voluto dagli alleati francesi a Villafranca (Verona) e la conseguente smobilitazione delle truppe sarde, nonostante il fatto che egli fosse stato arruolato con la ferma di un anno, il Pezzuti Pilloni si vide, invece, recapitare la lettera di congedo, a far data dal 24 agosto ’59, nei giorni in cui lo troviamo presente nella città di Firenze, allora sede del Deposito del suo Reggimento[3]. In verità, il giovane fu trattenuto in servizio ancora per qualche mese, tanto è vero che in settembre viene anche promosso Sergente, come si ricordava prima, ottenendo poi la medaglia commemorativa francese per la Campagna militare appena conclusa. A quel punto è probabile che il giovane, essendosi compromesso con i Piemontesi, che formalmente dovevano essere per lui dei nemici (ricordiamo che i veneti erano allora ancora sudditi austriaci), anziché tornare a Feltre o a Venezia e rischiare così la condanna a morte per alto tradimento, pensò bene di chiedere di potersi stabilire a Torino, come ci confermano alcuni atti del Ministero degli Interni, ove viene giustamente sottolineato l’obbligo di leva che il giovane aveva ancora “pendente” sotto il Governo austriaco[4]. L’ex sottufficiale del Regio Esercito Sardo lasciò, quindi, Firenze agli inizi di ottobre, recandosi a Livorno. E fu proprio nella città tirrenica che il 9 ottobre 1859 gli fu concesso un “Foglio di Via” con il quale si sarebbe finalmente potuto recare a Torino, passando prima per Genova, che ovviamente raggiunse via mare[5]. Giunto in una città ove non conosceva nessuno e privo di ogni forma di sussistenza, il Sergente Pezzuti Pilloni ebbe la possibilità di poter contare sull’aiuto dello stesso Ministero degli Interni, in attesa di ottenere il passaporto onde potersi recare all’estero. Già in quel frangente, infatti, il giovane Feltrino aveva espresso la volontà di emigrare in Sud America, stabilendosi in Argentina, ove impazzava la guerra fratricida di cui parlavamo prima. Ma, anche allora, la burocrazia frenava i desideri di ognuno, figuriamoci di un forestiero cole lo era lui in Piemonte. In una nota del 31 ottobre ’59 apprendiamo, infatti, della difficoltà incontrata dal giovane nell’ottenere copia del foglio di congedo da parte del Reggimento presso il quale aveva militato e presso il quale si era personalmente rivolto, tanto che a sollecitare tale invio dovette essere la stessa Questura Torinese, la quale fece proprio menzione della necessità di visionare tale documento onde poter concedere l’agognato passaporto[6]. Il tanto atteso congedo fu trasmesso al Regio Questore di Torino solo il 9 gennaio del 1860, con apposita lettera a firma del Comandante del 32° Reggimento Fanteria della Brigata “Siena”, reparto che, come prima anticipato, aveva ereditato le glorie del disciolto 4° Reggimento[7]. Rimasto dunque a vivere a Torino, prendendo alloggio in via del Monte di Pietà, n. 22, il Sergente Pezzuti attese invano la concessione del passaporto, senza il quale non si sarebbe ovviamente potuto recare in Argentina. Ebbene, tra cambi di Governi ed elezioni politiche in Piemonte il passaporto non giunse nemmeno per la primavera, stagione nella quale riprese la ventata Risorgimentale, con lo scoppio della nota insurrezione Palermitana del 4 aprile, cui fece seguito, in maggio, la nota “Spedizione dei Mille”, alla quale verrà in seguito interessato anche il nostro uomo. Da una nota del 13 aprile 1860 che la Regia Questura di Torino indirizzò a quella di Milano viene segnalata l’intenzione del Pezzuti Pilloni di trasferirsi in quella città[8].

La battaglia di Pavon

In realtà il giovane non giunse mai a Milano, avendo operato ben altra scelta[9]. Ebbene, fu su di una enciclopedia edita nel 1863, due anni dopo la sua scomparsa, che, nel trattare il tema dell’ennesima guerra civile scoppiata in Argentina tra i Confederati e lo Stato di Buenos Aires, citando la celebre battaglia di Pavón, che viene riportata la seguente frase: <<In questa brillante azione perde la vita il gentiluomo veneto conte Pezzuti-Pilloni, già ufficiale con Garibaldi in Sicilia>>[10]. Escludendo a priori l’appartenenza ai “Mille”, l’unica possibilità che il Conte Pezzuti Pilloni avesse effettivamente raggiunto il Meridione nel corso dell’estate del 1860, per poi partecipare alla successive battaglie per la liberazione del Regno delle Due Sicilie, sino all’epilogo del Volturno, non poteva che pervenire dagli incarti militari conservati presso l’Archivio di Stato di Torino. Dal “Ruolo Matricolare della Brigata Musolino” abbiamo, quindi, avuto conferma come la predetta citazione rispondesse al vero[11]. Nel maggio del 1860 Romano Pezzuti Pilloni chiese ed ottenne di partecipare al “Real Corso Militare” presso la sede di Ivrea, corso che superò e che gli permise di essere ammesso, ancora con il grado di Sergente, nel Battaglione “Gaeta” [sic] a far data dal 18 maggio ’60, allorquando partì alla volta della Sicilia una 2^ spedizione, la nota “Spedizione Medici”, dal nome del suo comandante, il Generale Giacomo Medici (Milano, 1819 – Roma, 1882), salpata da Genova tra il 9 e il 10 giugno. Il Sergente Romano Pezzuti Pilloni fu, in seguito, assegnato alla gloriosa Brigata “Musolino”, dal nome del celebre Colonnello Benedetto Musolino (Pizzo Calabro, 1808 – 1885), già combattente della Rivoluzione siciliana del 1848 e difensore della Repubblica Romana, nel 1849, il quale l’avrebbe capeggiata per tutta la durata della Campagna di liberazione delle Due Sicilie, inquadrata nella stessa “Divisione Medici”. Il nostro protagonista combatté, quindi, e sempre con lo stesso valore che aveva dimostrato nel ’59 suo campi di Solferino e San Martino, anche nelle note battaglie di Milazzo, negli scontri sostenuti nelle Calabrie e, infine, al Volturno e a Capua. Promosso Sotto Tenente l’11 settembre ‘60 il Pezzuti Pilloni assunse, poi, l’incarico di “Aiutante Maggiore” della stessa Brigata “Musolino”, nei ranghi della quale prese parte alla battaglia del Volturno, dal 1° al 2 ottobre, al termine della quale le truppe borboniche si ritirarono nelle fortezze di Capua e Gaeta. Di lì a qualche giorno sarebbe stato sciolto il glorioso Esercito Meridionale, decisione, questa, che avrebbe penalizzato gran parte del personale che ne aveva fatto parte (oltre 20.000 uomini)[12]. Promosso Capitano di Stato Maggiore della stessa “Divisione Medici”, il Pezzuti Pilloni prese, infine, parte all’assedio di Gaeta, culminato con la resa di Re Francesco II delle Due Sicilie, il 15 febbraio 1861. La storia del nostro Risorgimento ci ricorda che dopo il triste trattamento ricevuto da gran parte degli appartenenti all’Esercito Meridionale, i quali non furono ammessi nel nascente Regio Esercito Italiano, non pochi smobilitati, delusi dal trattamento ricevuto dal Regno di Sardegna, pensarono di lasciare la Penisola, peraltro senza attendere nemmeno la proclamazione del Regno d’Italia. Fra questi non ci fu, almeno in un primo momento, il Capitano Pezzuti, il quale si dimise dal Regio Esercito il 21 febbraio 1861, per far ritorno a Torino. Nella Capitale Sarda il giovane rispolverò la vecchia richiesta di passaporto.

L’emigrazione in Argentina e l’epilogo di una vita eroica (maggio – settembre 1861).

Nei vari riferimenti bibliografici di matrice argentina, l’arrivo del Capitano Pezzuti a Buenos Aires viene “attestato” tra il 1859 e il 1860, in un contesto storico nel quale, come è stato già ricordato in precedenza, il Paese Sudamericano si trovava impegnato in una nuova guerra civile che contrapponeva da  un lato l’esercito Confederato, al comando del Generale Urquiza e dall’altro l’esercito della Provincia (detto anche di Buenos Aires), posto agli ordini del Generale Bartolomé Mitre, come abbiamo più volte ricordato in altri contributi pubblicati su questo portale. Ebbene, l’Esercito di Buenos Aires era ovviamente di gran lunga inferiore per numero rispetto a quello Confederato, essendo formato per lo più da Guardie Nazionali, da gente raccogliticcia ma anche da molti volontari di origini italiane, fra i quali gli appartenenti alla gloriosa “Legione Militare Agricola” sorta nel 1852 a Bahia Blanca e nella quale militavano non pochi compagni d’arme del Generale Garibaldi[13]. Nella realtà dei fatti, suffragata da documenti ufficiali, l’ex Garibaldino lasciò il Regno d’Italia solo nella primavera del 1861, dopo aver finalmente ottenuto il prezioso passaporto per il quale si era tanto battuto. L’annosa vicenda si era risolta solo agli inizi di maggio di quell’anno, allorquando il Ministero dell’Interno richiese al Questore di Torino di fornire ulteriori informazioni a carico del richiedente[14]. Dalle notizie che l’Ispettore dell’Ufficio di Polizia di Borgo Dora fornì al citato Ministero apprendiamo che il Pezzuti aveva a suo tempo dichiarato di essere stato: <<…invitato da alcuni dei suoi amici di recarsi a Buenos Aires in cerca di fortuna […]>>, celando evidentemente il reale motivo della partenza, vale a dire l’arruolamento nell’Esercito di Buenos Aires, sponsorizzato sia dai tanti esuli italiani che vivevano in città da anni, sia dallo stesso Mitre[15]. È verosimile ritenere che la partenza verso l’Argentina si sia verificata tra il maggio e il giugno dello stesso ’61. Entrato a far parte dell’Esercito porteño, Romano Pezzuti Pilloni si fece ben presto apprezzare dai superiori, tanto da essere promosso per meriti “Sargento Mayor” e, quindi, nominato Capitano di Stato Maggiore e persino “Aiutante di Campo” dello stesso Comandante Supremo, il Generale Bartolomé Mitre. Alcuni storici argentini hanno affermato, purtroppo errando, che l’ufficiale Feltrino avrebbe preso parte con onore, nei ranghi della Cavalleria, alla battaglia che si tenne, il 22 ottobre 1859, nei pressi del torrente Arroyo del Media, che scorre nelle campagne intorno a Cepeda, una località della provincia di Santa Fé[16]. Si tratta, come è facile intuire, di un episodio molto importante della storia Argentina, in quanto il giorno seguente si tenne la celebre battaglia di Cepeda, nel corso della quale l’Esercito del Generale Mitre fu sconfitto (si disse a causa dello sbandamento della Cavalleria), ritirandosi in buon ordine approfittando della notte. Il grande Statista argentino, come abbiamo già ricordato in passato, dopo una serie di negoziati, fu costretto a firmare il noto “Patto di San José de Flores”, in virtù del quale la Provincia ribelle di Buenos Aires dovette rientrare nella Confederazione. Fu, dunque, solo nel corso della primavere-estate del 1861, essendosi riaccesa la miccia dello scontro politico e armato fra le due opposte fazioni (la Provincia di Buenos Aires, da un lato e le due Provincie coalizzate, Santa Fé ed Entre Rios), che il Capitano Pezzuti Pilloni divenne ufficiale di Cavalleria, divenendo “Aiutante di Campo” in prima battuta del Mitre e, infine, del Colonnello Wenceslao Paunero, che in quel frangente era il Capo di Stato Maggiore dell’Esercito di Buenos Aires.

L’uccisione del Capitano Pezzuti Pilloni

La giovane esistenza di questo “figlio d’Italia e d’Argentina” fu purtroppo spezzata nel corso della celebre battaglia di Pavón, la quale fu combattuta il 17 settembre del ’61, come ricordato all’inizio di questa narrazione. La battaglia è da ritenersi uno dei più importanti avvenimenti della storia militare argentina. Ancora una volta le truppe (17.000 uomini) della Confederazione Argentina, guidate dal Generale Justo José de Urquiza, affrontarono l’esercito dello Stato di Buenos Aires (25.000 uomini), al cui comando era ancora il grande Generale Mitre. La battaglia si verificò in un’ampia pianura, tra gli abitati di Rueda e di Godoy, ancora una volta nella provincia di Santa Fe, a poca distanza dalla sponda meridionale del torrente Pavón. Fu proprio al termine di tale fazione che l’Esercito porteño avrebbe ottenuto la completa vittoria sui Confederati. Con essa avrebbe, quindi, avuto fine il conflitto, tanto è vero che la Provincia o Stato di Buenos Aires accettò di riprendere il proprio posto nella Confederazione, mantenendo però una posizione egemone, come abbiamo già ricordato mesi orsono, evocando la figura del Generale Mitre. Ebbene, nel corso della battaglia, mentre stava cercando di eseguire l’ordine di riunire le Truppe del Colonnello Emilio Mitre, fratello di Bartolomé, con quelle del Colonnello Paunero, il nostro Capitano Pezzuti tentò una sortita, volendo strappare una bandiera della Confederazione in mezzo al campo nemico. A quel punto l’eroe Feltrino fu attaccato da una Colonna della Cavalleria nemica guidata dal Colonnello Ricardo Ramón López Jordan, che lo accerchiò letteralmente. Caduto da cavallo e ferito al capo da due proiettili, il giovane patriota italiano ebbe il tempo di pronunciare la toccante frase: <<Muoio per la libertà…che è si cara, come sa chi per lei vita rifiuta>>. Subito dopo il poveretto fu barbaramente assassinato, mercé il taglio della gola. Lo sfregio maggiore fu, infine, quello di essere stato spogliato di tutto, dagli stivali alla sciabola, dalle camicia alle calze e così via[17], come ebbe a immortalare il suo amico pittore, l’italiano Baldassarre Verazzi (Caprezzo, Novara, 1819 – Lesa, Novara, 1866), il quale firmò nel corso dello stesso ’61 il celebre quadro dal titolo “Muerte, despojo y degüello de Romano Pezzuti Pilloni, en Pavón[18].  Il suo fulgido eroismo non fu dimenticato dal Paese, tanto è vero che già al termine della tremenda battaglia che procurò ad entrambi gli Eserciti migliaia di morti, il suo nome fu posto all’Ordine del Giorno da parte dello stesso Colonnello Paunero. La salma dell’eroico Capitano di Feltre fu sepolta nello stesso campo di battaglia, contraddistinta da una croce in legno. Le spoglie dell’eroe italo-argentino furono, poi, riesumate nel dicembre dello stesso anno, per raggiungere, agli inizi del gennaio 1862, le rive del Rio de la Plata, ove furono accolte dai tanti connazionali, primi fra tutti i membri della gloriosa Società “Unione e Benevolenza[19], nel corso di una solenne cerimonia organizzata presso lo stesso molo dal Prof. Gustavo Minelli, anche lui straordinario patriota italiano trapiantato in Argentina. Il Minelli concluse il suo ammirevole intervento con la seguente frase: <<La tua morte sarà pegno eterno di solidarietà fra la causa italiana e americana. La tua morte disse ancora una volta al mondo: che il soldato della libertà non è straniero in nessun paese, poiché è concittadino a tutti i liberi. Pezzuti-Pilloni! Se il tuo sacrificio è stato grande, grande è pure la gratitudine del popolo americano. Se la Patria ti ha perduto e ti piangerà lungamente, noi italiani dell’esilio stiamo con l’animo sospeso fra l’immenso dolore della tua perdita e l’orgoglio che la tua morte abbia dato un nome di più al grande martirologio italiano>>[20]. Fu, in verità, nel settembre dello stesso ’62, quando ormai alla Presidenza della Repubblica Argentina era assurto da pochi giorni il suo amato Generale Mitre, che si tennero i veri e propri funerali di Stato del Capitano Pezzuti Pilloni. Secondo le cronache del tempo questi furono celebrati presso la Cattedrale di Buenos Aires il 29 settembre, alla presenza delle più alte cariche istituzionali della rinata Nazione Argentina, primo fra tutti lo stesso Bartolomé Mitre, particolarmente commosso e riconoscente.

Col. Gerardo Severino
Direttore del Museo Storico della Guardia di Finanza

 

Si ringrazia per l’egregia collaborazione ricevuta il Direttore dell’Archivio di Stato di Torino, Dott. Stefano Benedetto e i suoi collaboratori.

[1] Cfr. Dionisio Petriella – Sara Sosa Miatello, Diccionario Biográfico Italo-Argentino, Buenos Aires, Associacion Dante Alighieri, 1987, p. 532.

[2] Cfr. “Ruolo Matricolare dello Stato Maggiore del Comando del Corpo della Brigata Musolino”, in Archivio di Stato di Torino (d’ora in poi ASTo), Sezioni Riunite, Ministero della Guerra, Esercito Italia meridionale, Archivio Militare di Sicilia (1860-1862), Esercito Italia Meridionale, Ruoli matricolari, mazzo 27, registro 151. Vgs. anche Anna Maria Isastia, Il volontariato militare nel Risorgimento. La partecipazione alla guerra del 1859, Roma, Ufficio Storico Stato Maggiore Esercito, 1990, p. 469.

[3] Ibidem.

[4] Nota del 17 ottobre 1859 della Regia Questura di Torino indirizzata al Ministero dell’Interno, in ASTo, Sezioni Riunite, Comitato centrale dell’emigrazione italiana, Serie seconda, mazzo 62.

[5] Cfr. Delegazione di Governo del Terziere del Porto di Livorno – Ufficio dei Forestieri, “Foglio di Via” n. 18802 rilasciato a Romano Pezzuti Pilloni, in ASTo, Sezioni Riunite, Comitato centrale dell’emigrazione italiana, Serie seconda, mazzo 62.

[6] Nota del 31 ottobre 1859 della Regia Questura di Torino indirizzata al Comandante del 4° Reggimento Fanteria a Firenze, in ASTo, Sezioni Riunite, Comitato centrale dell’emigrazione italiana, Serie seconda, mazzo 62.

[7] In ASTo, Sezioni Riunite, Comitato centrale dell’emigrazione italiana, Serie seconda, mazzo 62.

[8] Ibidem.

[9] Come evidenziò la lettera di risposta che il 12 maggio 1860 la Questura di Milano inviò a quella di Torino, ASTo, Sezioni Riunite, Comitato centrale dell’emigrazione italiana, Serie seconda, mazzo 62.

[10] Cfr. “Confederazione della Plata o Argentina”, in <<Geografia Storica Moderna Universale>>, Milano, Francesco Pagnoni Editore, 1863, p. 925.

[11] Cfr. “Brigata Musolino – Ruolo Matricolare degli Ufficiali della predetta Brigata”, in Archivio di Stato di Torino (d’ora in poi ASTo), Sezioni Riunite, Ministero della Guerra, Esercito Italia meridionale, Archivio Militare di Sicilia (1860-1862), Esercito Italia Meridionale, Ruoli matricolari, mazzo 29, registro 169.

[12] L’11 novembre 1860, pochi giorni dopo il plebiscito del 1860, il Primo Ministro Cavour firmò il decreto che scioglieva l’Esercito Meridionale. Ai volontari Garibaldini fu data la possibilità di arruolarsi con una ferma biennale nell’Esercito Sardo, ovvero di chiedere le dimissioni con sei mesi di paga. Agli ufficiali fu concessa l’ammissione nell’Esercito sottoponendosi a un esame.

[13] La “Legione Italiana”, detta anche “La Valiente”, nacque tra il dicembre 1852 e il luglio successivo, allorquando la città di Buenos Aires fu posta sotto assedio dalle truppe del Colonnello Hilario Lagos per costringerla a restare nella Confederazione Argentina. Fu proprio in quel frangente storico che il Col. Silvino Olivieri, assieme al Magg. Edoardo Clerici, radunò 300 italiani residenti in città, mettendoli al servizio dello Stato di Buenos Aires.

[14] Lettera prot. n. 32922 del Ministero dell’Interno indirizzata al Questore di Torino in data 2 maggio 1861 con oggetto: “Romano Pezzuti Pilloni, via del Monte di Pietà, n. 22”, in ASTo, Sezioni Riunite, Comitato centrale dell’emigrazione italiana, Serie seconda, mazzo 62.

[15] Informativa n. 439 dell’Ispettore di Polizia di Borgo Dora (Torino) in data 8 maggio 1861 indirizzata al Ministero dell’Interno, in ASTo, Sezioni Riunite, Comitato centrale dell’emigrazione italiana, Serie seconda, mazzo 62.

[16] Cfr. <<Boletin de la Academia Argentina de Letras>>, vol. 70, maggio-giugno 2005, Buenos Aires, 2006, p. 515.

[17] Cfr. Gaio Gradenico, Italianos entre Rosas y Mitre, Buenos Aires, Ediciones Edilba, 1987, p. 214.

[18] Cfr. Dionisio Petriella – Sara Sosa Miatello, op. cit., p. 532.

[19] Cfr. giornale <<L’Unità Italiana>>, 2 gennaio 1862.

[20] Cfr. Edoardo Piva, Una pagina della vita di Gustavo Minelli, in <<Miscellanea in onore di Roberto Cessi>>, 3° volume, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1958, p.102.