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Il marinaio Biagi, l’eroe della “tenda rossa”

L’uomo che fece la differenza nei giorni drammatici della “Tenda Rossa” durante la sfortunata spedizione al Polo Nord del dirigibile Italia. Giuseppe Biagi, da capo radiotelegrafista di 3ª classe il 19 marzo 1928 partì da Ciampino con il dirigibile N.4 ribattezzato Italia per fare sosta a Baggio, in provincia di Milano e poi 15 aprile decollare alla conquista del Polo Nord. Un’impresa che il generale della Regia aeronautica Umberto Nobile aveva già messo a segno nel maggio del 1926 raggiungendo per la prima volta il pack artico con il dirigibile N.1 Norge. A seguire l’avventura di Nobile la nave Città di Milano, al comando del capitano di fregata Giuseppe Romagna Manoja, diretta nell’isola di Spitzbergen situata a Ny-Ålesund, nella Baia dei Re. Un viaggio, quello di questa unità di appoggio, che durò quasi due mesi per arrivare al 78° parallelo e ricongiungersi l’8 maggio con l’Italia. L’obiettivo attorno al quale girava il piano complessivo dell’intera spedizione prevedeva, dopo l’allestimento della base situata alla Baia del Re, tre missioni principali che oltre a sorvolare il Polo Nord avrebbero esplorato tre vaste aree ancora sconosciute al nord della Groenlandia, in Siberia e nella Terra di Francesco Giuseppe. L’Italia, dopo le prime due missioni intermedie del 15 e del 19 maggio ripartì il 23 maggio per la sua terza missione, quella in cui lascio cadere sui ghiacci del Polo Nord la bandiera italiana, il gonfalone di Milano, una medaglia della Vergine del Fuoco di Forlì e la croce di legno donata da Pio XI a Nobile il 31 marzo. Ma nella fase di rientro dirigibile ed equipaggio dovettero lottare contro le pessime condizioni meteorologiche.

Quasi trenta ore di navigazione contro neve, ghiaccio, vento e nebbia. Quest’ultima non permetteva di orientarsi e l’aeronave, forse  appesantita per la perdita di idrogeno da uno squarcio dell’involucro, forse per altre cause sconosciute, iniziò una rapida discesa. A nulla servì la messa in moto del terzo motore per far risalire i dirigibile che andò a impattare sulla banchisa artica lasciando gran parte del materiale e degli uomini tra i ghiacci. Una tragedia che si consumò in un attimo tra le 10.27, ora dell’ultimo messaggio inviato via radio, e le 10.35. Il radiotelegrafista Giuseppe Biagi si trovò scaraventato sulla banchisa insieme a Nobile ed altri nove compagni (il motorista Vincenzo Pomella muore su colpo nella caduta mentre Nobile si frattura un braccio e una gamba). I naufraghi troveranno riparo sotto quella che resterà famosa come “Tenda Rossa”, nome coniato dai giornalisti per via della colorazione fatta dai naufraghi con le fiale di fucsina per rendersi visibili dall’alto. Non ci fu nulla da fare invece per gli altri sei aeronauti rimasti nelle cabine interne dell’aeromobile. Scomparvero per sempre assieme al dirigibile che, una volta diventato più leggero, venne risucchiato lontano e non fu mai più trovato. Una volta catapultato a terra Giuseppe Biagi ebbe un solo pensiero: mettere in funzione la piccola stazione radio d’emergenza, la ormai famosa “Ondina 33”,  ma nonostante i suoi sforzi in un primo momento riuscì solo a ricevere. Un eroe silenzioso Giuseppe Biagi, schivo e riservato come nelle migliori tradizioni della Marina, che rappresentò indubbiamente l’ancora di salvezza di tutta la spedizione del dirigibile Italia. La sua caparbietà, la sua competenza, la sua professionalità consentirono, in condizioni proibitive, come quelle della banchisa artica, di lanciare costantemente nell’etere quel flebile …..SOS…… che, una volta intercettato dal radioamatore russo Nikolaj Schmidt, riuscendo a trasmetterlo alla Stazione radio della Marina San Paolo di Roma, innescò, guidò e consentì di coordinare tutta la catena dei soccorsi. Ma non solo con la parte ricevente egli consentì ai superstiti di ascoltare direttamente gli sviluppi dei soccorsi in atto, alimentando la fiducia di essere ritrovati e la voglia di sopravvivenza.  La fortunosa vicenda, vissuta fra inenarrabili patimenti alla rigida temperatura polare, terminò dopo 48 giorni, quando il 12 Luglio otto superstiti, avvistati da nostri aerei, furono raccolti dalla nave rompighiaccio russa “Krassin”.

La stazione radio con accanto la sua antenna di fortuna aveva compiuto il grande miracolo. Al rientro dall’impresa artica l’Associazione radioamatori italiani, nel corso del congresso di Torino nel settembre del 1928, gli consegnò una medaglia d’oro appositamente coniata. Dopo l’avventura nell’Artico, lo stesso anno, Giuseppe Biagi riprese il suo posto nei ranghi della Marina.  Nel 1940, l’entrata in guerra nel secondo conflitto mondiale lo colse, capo di 1a classe, capo posto della stazione radio di Mogadiscio; preso prigioniero alla caduta della città, nel febbraio del 1941, fu rinchiuso in campo di  concentramento in India. Rimpatriato, nel dopoguerra lasciò la Marina, morendo a Roma il 1° novembre del 1965. “Oggi più di ieri ricordiamo Giuseppe Biagi con grande orgoglio – spiega il comandante Leonardo Merlini, direttore del Museo Tecnico Navale di La Spezia – un personaggio umile ma di grande professionalità che consentì alla Marina di essere ancora una volta protagonista in una delle storie più tragiche, più eroiche e avvincenti del secolo scorso”. Delle sue esperienze sull’aeronave Italia lasciò un libro di ricordi dal titolo Biagi racconta. I miracoli della radio nella tragedia polare, edito da Mondadori nel 1929. Sulla sua figura ruota anche l’epilogo del film La tenda rossa del 1969, co-produzione Unione Sovietica e Italia, per la regia Mikheil Kalatozishvili, musiche di Ennio Morricone, dove Giuseppe Biagi veniva interpretato da Mario Adorf.