Giorni di Storia

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7 aprile 1916: la prima vittoria di Francesco Baracca

Nei cieli della Grande Guerra Francesco Baracca fu tra i protagonisti dell’aria. Ai comandi di un monoposto Nieuport Ni.11 il 7 aprile 1916 ottenne la prima vittoria ai danni di un Hansa-Brandeburg austro-ungarico.  A questa se ne aggiunsero altre 33, le ultime due ottenute il 15 giugno del 1918, solo quattro giorni prima di cadere in combattimento sul Montello. L’asso degli assi dell’aviazione italiana venne decorato di una medaglia d’oro al valor militare, due d’argento e una di bronzo. Nato a Lugo di Romagna nel 1888, ufficiale di cavalleria in forza al Reggimento Piemonte Reale, aveva preso il brevetto di pilota alla scuola di Betheny, in Francia, nel 1912. Nel maggio del 1915 era stato inviato di nuovo oltralpe per prendere in consegna i primi biplani Nieuport Ni.10 destinati alla nascente aviazione da caccia italiana. Il suo emblema era quello del cavallino rampante, che Baracca aveva mutuato dallo stemma del suo reggimento ed aveva disegnato nella carlinga del suo aereo. Lo stesso che Enzo Ferrari scelse come simbolo, nello scudo a sfondo giallo, delle auto da corsa della casa di Maranello, uno dei marchi italiani più popolari e conosciuti in tutto il mondo.  Sotto il profilo umano poi sono molti gli insegnamenti che si possano trarre da Baracca,  che si può definire davvero quel che si dice “un ufficiale e un gentiluomo”.  Della sua figura, oltre al tratto con cui si rivolgeva ai subordinati, non si può non sottolineare la capacità di proporsi sempre come esempio e guida. Più volte, a partire dall’estate del 1917, la madre, Paolina Biancoli, cercò di convincerlo a chiedere di essere destinato ad altro incarico, lasciando la squadriglia e il servizio di prima linea per far valere la sua esperienza e le sue capacità nelle scuole di volo o meglio ancora nell’organizzazione di comando dell’aviazione italiana, ma Baracca non le avrebbe mai dato ascolto, scegliendo di seguire il suo destino, passando di vittoria in vittoria fino a quella fatale sera di giugno sul Montello. Con la sua morte Baracca arrivò fino ai confini del mito, ma purtroppo non sapremo mai quale contributo un ufficiale con la sua personalità carismatica e la sua preparazione tecnica e militare avrebbe potuto dare alla costruzione della Regia Aeronautica nel 1923.

Due assi, una passione: il volo

Manfred von Richthofen (1892-1918) e Francesco Baracca non si incontrarono mai nei cieli della prima guerra mondiale. Eppure cento anni fa, a distanza di quasi due mesi, persero la vita quasi allo stesso modo. Sul “barone rosso” sono state scritte canzoni, disegnati fumetti, pubblicati decine di libri, tra i quali “Il barone rosso” di Joachim Castan (Mursia), e ispirati film come quello del 1971 dal titolo Il Barone Rosso diretto da Roger Corman e The Red Baron di Nikolai Müllerschön nel 2009. Dopo l’infanzia vissuta in famiglia, in Polonia, Manfred si arruola nel 1° Reggimento di cavalleria ulani, ma subito dopo lo scoppio della Grande Guerra entra in aviazione diventando un abile pilota. Nel 1917 gli viene affidato il comando della squadriglia Jasta 11, meglio conosciuta con il nome di “Circo Volante” per via dei colori alquanto bizzarri degli aerei. Von Richthofen vola su Albatros DII, Albatros DIII e altri aerei, ma quello per cui sarà per sempre ricordato nell’immaginario collettivo è il suo triplano Fokker Dr1 dipinto di rosso con il quale si assicura le 80 vittorie aeree che lo consacreranno per sempre come l’asso degli assi del primo conflitto mondiale. Purtroppo, però, la sua fama diventa facile strumento della propaganda del Reich dell’imperatore Guglielmo II. Nel marzo 1917 proprio a bordo del suo Albatros DIII viene abbattuto da un pilota britannico. Per il barone rosso, così come scrive nel suo libro edito in Germania lo stesso anno dal titolo Der Rote Kampfflieger e poi tradotto in inglese con il titolo The Red battle Flyer, “abbattuto” non è la parola esatta: “Secondo me – scrive von Richthofen – uno è abbattuto solo quando precipita di schianto mentre io mi sono ripreso per atterrare con le ossa intere“. Nel volume, che può essere considerato il suo diario, prima della morte il 21 aprile 1918 avvenuta durante un combattimento nei cieli della Somme, scrive anche il perché della decisione di dipingere di rosso il suo aereo: “Per chissà quale motivo mi è venuto un giorno in mente di pitturare il mio trabiccolo d’un rosso acceso. La conseguenza è che il mio rosso volatile si fa notare senza scampo da chiunque. Sembra che anche i miei avversari se ne rendano conto”. Nel suo “diario” i sentimenti e i pensieri si susseguono anche in riferimento ai drammatici scontri aerei:” Nel corso di uno scontro che avvenne in un altro settore del fronte, non quello abituale, riuscii a colpire un Vickers biposto che stava tranquillamente fotografando le nostre postazioni d’artiglieria. L’avversario non ebbe nemmeno il tempo di difendersi e dovette affrettarsi a atterrare, visto che iniziava a manifestare i primi indizi di un incendio. Provo compassione per il mio avversario e avevo deciso di non abbatterlo, ma di costringerlo soltanto a atterrare. A circa 500 metri di quota, un difetto del mio apparecchio mi costrinse a mia volta a atterrare in volo planato – racconta von Richthofen -.  All’atterraggio seguì una serie di convenevoli sportivi tra i due Englishmen e me. Questi espressero la loro meraviglia per l’incidente di cui ero rimasto vittima perchè, come già detto, non avevano sparato un solo colpo per cui non riuscivano a immaginare il motivo del mio atterraggio di fortuna. Quelli furono i primi inglesi che io abbia mai fatto atterrare vivi. Per questo mi piacque particolarmente intrattenermi con loro. Tra l’altro domandai loro se avessero mai visto prima il mio apparecchio in volo. “Oh, yes” rispose uno dei due, “lo conosco benissimo. Noi lo chiamiamo le petit rouge”.