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4 dicembre: la Marina Militare celebra Santa Barbara

Santa Barbara appartiene alla schiera dei primissimi santi cristiani di cui fanno parte San Pietro, San Paolo, San Lino, San Alessandro, Santa Cecilia, San Callisto solo per citarne alcuni. Non abbiamo certezze storiche sulla sua vita, né sulle fonti relative all’autenticità storiche delle varie reliquie. Gli studiosi, al riguardo, hanno navigato per secoli nel mare delle ipotesi. In mancanza di documenti storicamente inoppugnabili, è difficile ricostruire le vicende delle reliquie, anche perché molte sono le divergenze sul luogo d’origine, così come sulla data del martirio.

E’ certo che Santa Barbara è molto venerata sia dalla Chiesa Cattolica che da quella ortodossa.

 

La Leggenda

Esistono molte redazioni in greco e traduzioni latine della passio di Barbara. Si tratta di narrazioni leggendarie, il cui valore storico è ovviamente scarso, anche perché vi si notano altisonanti divergenze.

Ci si trova di fronte al caso di una martire il cui culto, fin all’antichità fu assai diffuso, tanto in Oriente quanto in Occidente, ma di cui si possiedono scarsissimi elementi dal punto di vista biografico e documentale. La leggenda, inoltre, ha arricchito la vita della martire con particolari fantastici e irreali che hanno avuto un influsso determinante sia sul culto che sull’iconografia.

Il padre di Barbara, Dioscoro, fece costruire una torre per rinchiudervi la bellissima figlia richiesta in sposa da moltissimi pretendenti. Ella, però, non aveva intenzione di sposarsi, ma di consacrarsi a Dio. Prima di entrare nella torre, non essendo ancora battezzata, si recò in una piscina d’acqua vicino alla torre e vi si immerse tre volte. Per ordine del padre, la torre avrebbe dovuto avere due finestre, ma Barbara ne volle tre in onore della Santissima Trinità. Il padre, pagano, venuto a conoscenza della professione cristiana della figlia, decise di ucciderla, ma ella, passando miracolosamente fra le pareti della torre, riuscì a fuggire. Nuovamente catturata, il padre la condusse davanti al magistrato, affinché fosse tormentata e uccisa crudelmente. Il prefetto Marziano cercò di convincere inutilmente Barbara a recedere dal suo proposito e ordinò pertanto di tormentarla nuovamente, avvolgendole tutto il corpo in panni rozzi e ruvidi, tanto da farla sanguinare in ogni parte. Durante la notte Barbara ebbe una visione e fu completamente risanata. Il giorno seguente il prefetto la sottomise a nuove e più crudeli torture ponendo piastre di ferro rovente sulle sue carni nuovamente dilaniate. Una certa Giuliana, presente al supplizio, avendo manifestato sentimenti cristiani, venne associata al martirio. Le fiamme, accese ai loro fianchi per tormentarle, si spensero quasi subito. Barbara, portata nuda per la città, ritornò miracolosamente vestita e sana, nonostante l’ordine di flagellazione. Finalmente, il prefetto la condannò al taglio della testa e fu proprio Dioscoro, suo padre, a eseguire la sentenza.

Subito dopo un fuoco discese dal cielo e bruciò completamente il crudele padre, di cui non rimasero nemmeno le ceneri.

 

Le Reliquie

Si narra che un cristiano di nome Valentino, richiese a Marziano il corpo di Santa Barbara, che seppellì riverentemente nel luogo chiamato “Sole” (probabilmente Eliopoli, nel delta del Nilo), in una piccola abitazione dove si rinnovarono frequentemente diversi miracoli. È certo che il corpo della Santa rimase a Nicomedia sino al IV secolo, epoca in cui l’imperatore Giustino lo fece trasportare a Costantinopoli dove Leone, verso la fine del IX secolo, fece erigere una chiesa nella quale venne custodito.

Moltissime città nel mondo reclamano il possesso delle reliquie di Barbara.

Nel mondo

Il Cairo, Costantinopoli e Kiev rivendicano il possesso delle reliquie, mentre la testa è venerata a Novgorod, in Russia, che ne possiede anche il seno pietrificato in Pomerania

In Italia

Rieti

Un momento della celebrazione del 4 dicembre 2020 nella chiesa di Santa Caterina da Siena a Magnanapoli

Molti affermano che intorno al 286-287 Barbara si trasferì presso la villa di Scandriglia, oggi in provincia di Rieti, al seguito del padre Dioscoro, collaboratore dell’Imperatore Massimo Erculeo.

Un pio uomo fece dare alle spoglie della Martire onorata sepoltura nei pressi di una fonte, che divenne ben presto memorabile per miracoli ottenuti per intercessione della Santa.

Cessate le persecuzioni contro i cristiani, nella stessa località sorse una piccola edicola dedicata alla gloriosa Martire che fu trasformata in chiesa, dopo l’editto di Costantino.

Durante il secolo IX i Saraceni si spinsero dalla Sicilia, a saccheggiare le province della penisola. Anche la Sabina fu devastata e dell’antica villa di Dioscoro e della chiesetta di Santa Barbara non rimasero che le rovine. Solo più tardi, nei pressi della polla d’acqua miracolosa, fu costruita una cappella che conserva ancora oggi il titolo di Ecclesia Martyrii Sanctae Barbarae. In seguito la sacra salma fu trasportata a Rieti tra i sacri corpi di S. Giuliana vergine e martire e di S. Felice martire, tra il sec. XII e XIII, sotto l’altare maggiore della moderna Cattedrale, infine, il 27 aprile 1806, sotto il rinnovato altare maggiore della stessa Cattedrale.

Piacenza

Carlo Magno avrebbe ottenuto dal Pontefice Formoso che la venerata spoglia di Santa Barbara fosse donata a sua sorella Angilberga e fosse sepolta nella cripta della monumentale Basilica di S. Sisto a Piacenza. Il Vescovo di Piacenza di concerto con il Duca d’Aosta, comandante della III armata, sulla base di documenti inoppugnabili, verso il 1915 sembra che abbia desunto che il corpo di Santa Barbara di Nicomedia fosse effettivamente quello conservato nella chiesa di S. Sisto a Piacenza, nella cripta dedicata ai Caduti e solennemente inaugurata alla presenza del Re Vittorio Emanuele III dopo la vittoria nella Grande Guerra.

Burano

Nel 991 Giovanni Orseolo, figlio del Doge di Venezia, trovandosi a Costantinopoli chiese in sposa la nipote dell’imperatore Basilio II. L’imperatore acconsentì e le nozze furono celebrate con sfarzo. La sposa prima di abbandonare la patria volle con sé le reliquie di Santa Barbara, di cui era particolarmente devota. Le sacre spoglie, trasportate a Venezia e deposte dapprima nella basilica di San Marco furono depositate nel 1009 a Torcello, nella chiesa di San Giovanni Evangelista, mentre la reliquia del cranio, custodita prima in un busto di legno poi in uno di metallo, fu collocata nella chiesa di Santa Barbara dei Librari e, il 15 settembre 1594, a S. Lorenzo in Damaso.

Le sacre spoglie sarebbero state poi trasportate nell’isola di Burano (1810), e collocate in un altare della chiesa di S. Martino, dove tuttora sono venerate. Questa tesi fu avvalorata dall’atto di fede compiuto dal patriarca di Venezia, Cardinale Roncalli (poi Papa Giovanni XXIII), che designò Santa Barbara, quale una dei sette Patroni della città.

I pescatori di Burano, quando il mare è grosso e minaccia burrasca ancora oggi recitano la loro antica invocazione:

Santa Barbara del canon

Protegeme da sto ton

Protegeme da sta saeta,

Barbara benedetta

Montecatini e Pisa

Mancano notizie precise su come si sia sviluppato il culto di Santa Barbara in terra toscana e come possa essere giunta l’importante reliquia con il prezioso reliquario. La distruzione di Montecatini nel 1554 fu davvero fatale, perché Cosimo dei Medici, presumendo di cancellare perfino la memoria del Castello, fece bruciare tutti gli archivi. Osservando il teschio di Santa Barbara, conservato nello splendido reliquario della Chiesa di S. Pietro Apostolo di Montecatini Alto, ci si può porre la questione di come una reliquia così importante di Santa Barbara si trovi lì.

Tralasciando il problema dell’autenticità delle reliquie dei santi, si deve constatare che queste memorie di devozione si trovano soprattutto nelle città di mare o in luoghi che con esse hanno avuto rapporti politici e commerciali. Ciò vale ancor di più per le reliquie dei santi provenienti dall’estero e soprattutto dall’Oriente. I rapporti politici ed economici nel Medioevo furono mantenuti dalle Repubbliche Marinare (Amalfi, Venezia, Pisa e Genova). Guerrieri, mercanti e banchieri gareggiavano per riportare nelle loro città i corpi o le reliquie di martiri e santi, di cui vi era ricchezza in quelle terre, per onorarli degnamente nelle loro cattedrali e soprattutto a ricordo delle proprie gesta.

Così a Pisa, nella raccolta di reliquie della chiesa Primiziale, si trova l’osso mandibolare attribuito alla martire Barbara. La mandibola di Pisa compendia il cranio di Montecatini che ne è privo. A tal proposito uno studio approfondito, compiuto per il 17° centenario del martirio di Santa Barbara nel 1936, confermerebbe che appartengano alla stessa persona. Una delle varie spiegazioni, forse la più attendibile, sta nel fatto che, al tempo delle Repubbliche marinare, Venezia ambiva al dominio di tutti i nostri mari, dominio messo in discussione dalla Repubblica di Genova per quanto riguardava soprattutto il Mar Tirreno e fu così che le dichiarò guerra. Venezia chiese alleanza a Pisa che accettò chiedendo come controparte, tra l’altro, la testa di Santa Barbara. Successivamente Pisa non volendo sottostare al predominio territoriale di Firenze chiese aiuto a Montecatini che accettò di dare il suo contributo reclamando una parte delle reliquie di Barbara. Pisa acconsentì a dare il teschio alla sua alleata mantenendo per sé la mandibola dello stesso.

Altre zone d’Italia

Il Diario Romano del 1926, indica altre reliquie di Santa Barbara conservate in un cofanetto del XII secolo nel Tesoro di San Giovanni in Laterano a Roma, oltre che nella chiesa di Santa Maria in Trasportina (nell’altare a Lei dedicato c’è un frammento del suo braccio), nella Basilica dei Santi Cosma e Damiano e nella parrocchia di Santa Barbara alle Capannelle, proveniente dal corpo conservato a Venezia. Altre reliquie si trovano a Napoli, presso la Cappella della Chiesa della Real Casa della SS. Annunziata, a Cremona, a Mantova, a Trapani ed a Carbonia.

Il Culto

Dai vari elementi citati nella leggenda di Santa Barbara sono fioriti, col tempo, una quantità spropositata di patronati.

La prigionia nella torre associò la sua figura alle fortificazioni e a tutto ciò che concerneva la loro costruzione e manutenzione e quindi il loro uso militare. Da qui il fatto di essere considerata patrona di architetti, stradini, tagliapietre, muratori, cantonieri, campanari, nonché di torri e fortezze.

Parimenti, per via della morte di Dioscoro, Santa Barbara venne considerata protettrice contro i fulmini e il fuoco, e di conseguenza contro le morti causate da esplosioni o da colpi d’artiglieria. Da qui deriva il suo patronato su numerose professioni militari (artiglieri, artificieri, genio militare, marinai) e sui depositi di armi e munizioni (al punto che le polveriere vengono chiamate anche “santebarbare”).

Per quanto riguarda la Marina Militare (di cui fu confermata patrona da Pio XII con il breve pontificio del 4 dicembre 1951), la Santa fu scelta in particolare perché simboleggiante la serenità del sacrificio di fronte a un pericolo inevitabile.

Santa Barbara è inoltre patrona di tutto ciò che riguarda il lavoro in miniera e dei vigili del fuoco. Il patronato sugli artiglieri e sui minatori risale almeno al XV secolo.

Viene invocata per scongiurare i pericoli del fulmine e della morte improvvisa e priva dei conforti sacramentali, il che l’ha fatta entrare nel numero dei santi ausiliatori, un gruppo di quattordici santi alla cui intercessione la tradizione popolare attribuisce una particolare efficacia in determinate necessità. Tale devozione è attestata per la prima volta in Germania nel 1284 e si diffuse notevolmente nel corso del Trecento anche in Austria, Svizzera e in varie regioni Italiane.

Anche i racconti di miracoli operati per intercessione della Santa fecero molto per aumentare la sua popolarità.

Come patrona delle attività principali del gruppo Eni le è stata dedicata la grande nuova chiesa costruita a Metanopoli, frazione di San Donato Milanese, quartier generale del gruppo, per decisione di Enrico Mattei.

L’Iconografia

Nel XV e XVI secolo si assiste a una fioritura di rappresentazioni di Santa Barbara in opere artistiche, specialmente fra autori italiani, fiamminghi e, in minor misura, tedeschi.

La sua leggenda e la varietà di situazioni a cui è associata, hanno dato vita a un gran numero di elementi con i quali Ella viene rappresentata.

Il simbolo più comune e significativo è indubbiamente la torre a tre finestre, raffigurata tanto come ambiente in cui la Santa viene collocata, quanto come “miniatura” tenuta in mano o poggiata ai piedi.

Il più antico, però, testimoniato da un affresco nella chiesa di Santa Maria Antiqua a Roma, è il pavone, simbolo di lunga vita, apoteosi o immortalità.

In quanto martire, a Santa Barbara vengono associate spesso la palma, una corona o un diadema e la spada, l’arma con cui è stata uccisa.

Altri attributi comuni sono il calice e l’ostia, entrambi simboleggianti l’accompagnamento cristiano alla morte. Santa Barbara e Santa Chiara sono le uniche donne, tra i santi, a cui viene attribuita l’ostia nelle rappresentazioni sacre.

E’ occasionalmente affiancata da cannoni o catapulte, il cui attacco richiama la morte subita da Dioscoro e il patronato di Santa Barbara sull’artiglieria.

Più rare sono invece le rappresentazioni in cui tiene un libro (rappresentazione della sua vita studiosa), una torcia (richiamante un episodio del suo martirio) o in cui suo padre Dioscoro appare ai suoi piedi (simbolo della sua vittoria contro il paganesimo).

Generalmente, Santa Barbara è rappresentata riccamente vestita, spesso in tinte di rosso, ma fino a prima del Concilio di Trento esistevano anche opere dove veniva raffigurata seminuda, in particolare in quelle che richiamavano la parte del suo martirio in cui le viene tagliato il seno.

Dopo il Concilio, il culto e le rappresentazioni occidentali di Santa Barbara calarono notevolmente, concentrandosi maggiormente sull’episodio finale del martirio, la decapitazione.

Stendardo navale della marina veneziana del XVII secolo con Santa Barbara

La Tradizione

Ricordi di un Vecchio Marinaio

La tradizione invoca Santa Barbara contro i fulmini, il fuoco e la morte improvvisa.

La compenetrazione tra leggenda e momenti di vita mistica spiega le ragioni per cui subito dopo l’invenzione della polvere da sparo ciascun deposito di munizioni, in particolare sulle navi da guerra, per devozione alla vergine di Nicomedia, ha da sempre affisso sulle pareti un’immagine della Santa “perché siano preservati dal fuoco e dai fulmini celesti i depositi delle polveri che si chiamano appunto Santebarbare“.

In Marina, la festività di Santa Barbara, soprattutto sino alla fine dello XX secolo, ha rappresentato un momento di aggregazione del personale, soprattutto degli equipaggi delle navi e dei sommergibili.

La preparazione a questa giornata partiva da settimane prima.

Innanzitutto vi erano i giochi e le competizioni. Ogni equipaggio, ogni squadra, ogni gruppo vi partecipava.

Erano campionati lunghi, ad eliminazione. Calcio, pallavolo, pallacanestro, ma anche tiro alla fune, corsa con i sacchi, e, chi più ne ha ne metta.

Il giorno di Santa Barbara era destinato alle finali delle varie competizioni alle quali tutti gli Ammiragli e i Comandanti partecipavano, in “pompa magna”, sostenendo i propri “uomini”.

Santa Barbara era il giorno del riscatto.

Soprattutto a bordo vigeva la regola che per quell’occasione, e solo in quell’occasione, la gerarchia era invertita. Così il semplice Marinaio si ritrovava in mansioni di comando, coordinamento e controllo, e poteva “destinare” ufficiali e sottufficiali a lavori più “umili”. Tutto ciò sotto la supervisione attenta e intelligente del Comandante (unico fuori dal giuoco) a vigilare che nulla trascendesse. Era un modo unico ed efficace per creare il giusto affiatamento dell’equipaggio, per creare relazioni umane, per creare quello spirito di corpo necessario e indispensabile per compiere al meglio tutte le missioni a cui sarebbe stata chiamata la nave.

In tarda mattinata dopo un reset generale e la classica assemblea – durante la quale per tradizione il più giovane marinaio del servizio armi offriva un mazzo di rose rosse al 1° direttore di tiro – ci si dirigeva ad assistere alla Santa Messa insieme ai familiari, che quel giorno, diventavano parte integrante dell’equipaggio. La Messa aveva carattere solenne e la partecipazione non era forzata, ma sentitamente spontanea e la maggior parte dei presenti aveva un ruolo attivo, se non altro nei canti o nella preparazione della cappella o della chiesa.

Infine, il tanto agognato “pranzo di corpo”, con il vitto rinforzato, al quale partecipavano tutti, familiari compresi. I posti a tavola non erano assegnati, così potevi ritrovare il Marinaio con i suoi cari a mangiare in quadrato Ufficiali, e il Comandante in mensa equipaggio, orgoglioso di poter contare su degli uomini così efficienti.

Dimenticavo.

La notte fra il 3 e 4 dicembre nessuno dormiva, o, come si suol dire “chi dorme non piglia pesci”.

Era la notte delle battaglie fra equipaggi che si sfidavano fra di loro, senza esclusione di colpi, con scherzi goliardici e a volte memorabili.

Gli equipaggi più “distratti” o meno combattivi potevano svegliarsi la mattina e ritrovare la prua della propria nave pitturata (o “pittata”, come si dice in gergo) di rosa o di un colore ben evidente e fuori dalle righe; potevano scoprire la mancanza di attrezzatura marinaresca in coperta, casualmente scomparsa durante la notte e altre situazioni del genere. Il tutto finiva allegramente e con la massima goliardia, salvo la ramanzina che il Comandante avrebbe fatto il giorno successivo a tutto l’equipaggio “disonorato”.

Atri tempi, tempi in cui per telefonare bisognava pagare il dazio di lunghe e pazienti code alle cabine telefoniche con in mano un sacco contenente decine e decine di gettoni; tempi in cui entravano in commercio i primi videoregistratori; tempi in cui non esistevano computer, smartphone, smartwatch, ecc.

Tempi in cui i rapporti fra le persone non erano virtuali, ma erano sinceri e più genuini. Tempi in cui le “pecore nere” presenti in ogni equipaggio si auto-escludevano e avevano solo due possibilità: adeguarsi e integrarsi alle buone maniere e alle regole della sana convivenza, oppure vivere l’onore e l’opporunità di far parte del glorioso equipaggio di una nave da disagiati.

Tempi…….bei tempi andati che non torneranno più…..

Leonardo Merlini
Direttore Museo Tecnico Navale di La Spezia

Gianluca Pini
Esperto di storia navale