Giorni di Storia

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Quando la Sicilia fece guerra all’Italia.

E’ la Sicilia attraversata dal malcontento quella da dove parte il viaggio percorso da Alfio Caruso nel suo ultimo lavoro dal titolo “Quando la Sicilia fece guerra all’Italia” (Longanesi, 2014). Giornalista e scrittore di tantissimi libri di successo, solo per citarne alcuni “Italiani, dovete morire” e “Noi moriamo a Stanlingrado”, Caruso riparte dalla storia della Sicilia che si rivela ancora una volta specchio di un’Italia che uscendo dal fascismo e dalla Seconda guerra mondiale fa fatica a mettere in moto strutture e meccanismi che possono farla risollevare dall’oblio in cui era caduta a partire dal Ventennio.

Quella che viene raccontata con minuziosità e precisione dall’autore di “Da Cosa nasce cosa” e “Perché non possiamo non dirci mafiosi” è una guerra che non è stata mai dichiarata ufficialmente, ma che fu un conflitto di forte intensità che avviene all’interno di uno “stato” nello Stato tra il 1943 e il 1950. Dallo sbarco del luglio 1943, guarda caso in Sicilia, e l’uccisione del bandito Salvatore Giuliano di Montelepre dopo la strage di Portella delle Ginestre in circostanze misteriosi.

Quella di Alfio Caruso è una storia fatta di intrecci politici, attività segrete e di controspionaggio, che ha sullo sfondo un’isola in cui la lotta per il controllo del territorio è furibonda e il cui numero finale di caduti, malgrado manchi una contabilità ufficiale, oscilla tra i 1500 e i 2000: soldati, carabinieri, poliziotti, mafiosi, banditi, indipendentisti, fascisti, comunisti, sindacalisti e poveri cristi. Tutti protagonisti degni del “teatro dei pupi” dove si fa fatica a distinguere chi sono i pupi e in un primo momento anche chi sono i pupari. Ma se di volta in volta cambiarono i pupi e gli scenari il puparo, invece, pian piano si staglia all’orizzonte e si identifica con il Pus, il Partito unico siciliano, a cui aderirono massoni, imprenditori, boss di Cosa Nostra, politici di ogni colore, giudici. E suoi e solo suoi furono alla fine i guadagni.

Quelli che descrive Alfio Caruso sono sette anni di anarchia e di terrore indiscriminato con uno Stato che forse e senza forse è l’ospite indesiderato. Così dapprima ci sono gli indipendentisti, cioè i grandi proprietari terrieri e i nobili che cercano di difendere anche i centimetri più nascosti dei latifondi. Poi ci sono gli agitatori fascisti che tentano di sabotare la leva obbligatoria in favore dell’esercito della nuova Italia. Poi accadono le rivolte contro la politica dell’ammasso, la guerriglia per il pane, la ribellione di Catania, di Comiso, di Piana degli Albanesi, di Vittoria, di Ragusa, di Giarratana, di Scicli, di cento altri comuni, dove l’esercito per ristabilire l’ordine fu costretto a utilizzare mitragliatrici, cannoni, blindati.

In un misterioso agguato venne ucciso il personaggio più singolare di tutti, il professore universitario Antonio Canepa: nella sua breve vita aveva preparato un attentato a Mussolini, ne era diventato uno sperticato agiografo, aveva guidato la cellula dello spionaggio britannico nell’isola, aveva infiammato con un libello i cuori degli indipendentisti, si era clandestinamente iscritto al Pci.
A rendere più torbide le acque infine anche la congiura per instaurare a Palermo una monarchia con i Savoia e l’arruolamento nell’Esercito dei volontari per l’indipendenza siciliana, l’Evis, della banda Giuliano a ovest e di quella dei niscemesi a est.

Ne sarebbero discesi la strage di Portella delle Ginestre e quella degli 8 carabinieri di feudo Nobile, sulle quali da quasi settant’anni proseguono misteri e depistaggi.

Nell’ombra tramavano i grandi boss della mafia. Avevano individuato in Giuliano lo strumento perfetto dei propri disegni, lo fecero diventare il pericolo pubblico numero uno onde poter ricattare le Istituzioni e contrattare il prezzo della consegna, il più alto possibile: l’inossidabile alleanza fra la disonorata società e rappresentanti dello Stato, che sarebbe proseguita per oltre mezzo secolo. Naturalmente Giuliano mai sarebbe potuto arrivare vivo in un’aula di tribunale.

Un libro da leggere tutto d’un fiato scorrevole e immediato nella narrazione così come nella tradizione giornalistica e letterarie di Alfio Caruso che a quindici anni dalla sua prima pubblicazione con Longanesi non ha certo perso il gusto dell’inchiesta storica e lo smalto di scrittore che da sempre lo caratterizza.

Per saperne di più vai al sito www.alfiocaruso.it