Papa Francesco: 10 anni alla guida della Chiesa Universale
13 marzo 2013. Dal balcone della Basilica di San Pietro si apre la grande finestra, quella dove i pontefici si affacciano subito dopo la loro elezione al soglio di Pietro e la storica “fumata bianca”. Il gesuita argentino Jorge Mario Bergoglio, 76 anni, arcivescovo di Buenos Aires dal 1998, saluta, sorride e guarda le migliaia di persone, laici e religiosi, sacerdoti, semplici fedeli, non credenti e turisti che si sono raccolti a Piazza San Pietro. La guida della Chiesa universale, il Primate della Chiesa Italiana, il Vescovo di Roma è stato eletto dal Conclave e dai confratelli cardinali. Bergoglio pronuncia le sue prime parole: “Buonasera!”. E subito la gente scoppia in un applauso. La fotografia di Via della Conciliazione gremita di giovani, adulti, famiglie resterà memorabile. Il feeling è stabilito. “Francesco”, questo sarà il suo nome da Papa è una figura di spicco dell’intero continente latino-americano. Un pastore semplice e molto amato nella sua diocesi, che ha girato in lungo e in largo, anche in metropolitana e con gli autobus. Un sacerdote, un vescovo e un cardinale che è sempre stato accanto agli ultimi della terra, ai poveri a quanti hanno bisogno, ma anche capace di dialogare con i governanti e chi esercita il governo degli Stati e delle Nazioni: “La mia gente è povera e io sono uno di loro”, ha detto una volta per spiegare la scelta di abitare in un appartamento e di prepararsi la cena da solo. Ai suoi preti ha sempre raccomandato misericordia, coraggio e porte aperte. La cosa peggiore che possa accadere nella Chiesa, ha spiegato in alcune circostanze, “è quella che de Lubac chiama mondanità spirituale”, che significa “mettere al centro se stessi”. E quando cita la giustizia sociale, invita a riprendere in mano il catechismo, i dieci comandamenti e le beatitudini. Nonostante il carattere schivo è divenuto un punto di riferimento per le sue prese di posizione durante la crisi economica che ha sconvolto il Paese nel 2001.
Nato il 17 dicembre 1936, Jorge Mario Bergoglio è figlio di emigranti piemontesi: suo padre Mario fa il ragioniere, impiegato nelle ferrovie, mentre sua madre, Regina Sivori, si occupa della casa e dell’educazione dei cinque figli. Diplomatosi come tecnico chimico, sceglie poi la strada del sacerdozio entrando nel seminario diocesano. L’11 marzo 1958 passa al noviziato della Compagnia di Gesù. Completa gli studi umanistici in Cile e nel 1963, tornato in Argentina, si laurea in filosofia al collegio San Giuseppe a San Miguel. Fra il 1964 e il 1965 è professore di letteratura e psicologia nel collegio dell’Immacolata di Santa Fé e nel 1966 insegna le stesse materie nel collegio del Salvatore a Buenos Aires. Dal 1967 al 1970 studia teologia laureandosi sempre al collegio San Giuseppe.
Il 13 dicembre 1969 è ordinato sacerdote dall’arcivescovo Ramón José Castellano. Prosegue quindi la preparazione tra il 1970 e il 1971 in Spagna, e il 22 aprile 1973 emette la professione perpetua nei gesuiti. Di nuovo in Argentina, è maestro di novizi a Villa Barilari a San Miguel, professore presso la facoltà di teologia, consultore della provincia della Compagnia di Gesù e rettore del Collegio.
Il 31 luglio 1973 viene nominato provinciale dei gesuiti dell’Argentina. Sei anni dopo riprende il lavoro nel campo universitario e, tra il 1980 e il 1986, è di nuovo rettore del collegio di San Giuseppe, oltre che parroco ancora a San Miguel. Nel marzo 1986 va in Germania per ultimare la tesi dottorale; quindi i superiori lo inviano nel collegio del Salvatore a Buenos Aires e poi nella chiesa della Compagnia nella città di Cordoba, come direttore spirituale e confessore.
È il cardinale Quarracino a volerlo come suo stretto collaboratore a Buenos Aires. Così il 20 maggio 1992 Giovanni Paolo II lo nomina vescovo titolare di Auca e ausiliare di Buenos Aires. Il 27 giugno riceve nella cattedrale l’ordinazione episcopale proprio dal cardinale. Come motto sceglie Miserando atque eligendo e nello stemma inserisce il cristogramma ihs, simbolo della Compagnia di Gesù. È subito nominato vicario episcopale della zona Flores e il 21 dicembre 1993 diviene vicario generale. Nessuna sorpresa dunque quando, il 3 giugno 1997, è promosso arcivescovo coadiutore di Buenos Aires. Passati neppure nove mesi, alla morte del cardinale Quarracino gli succede, il 28 febbraio 1998, come arcivescovo, primate di Argentina, ordinario per i fedeli di rito orientale residenti nel Paese, gran cancelliere dell’Università Cattolica.
Nel Concistoro del 21 febbraio 2001, Giovanni Paolo II lo crea cardinale, del titolo di san Roberto Bellarmino. Nell’ottobre 2001 è nominato relatore generale aggiunto alla decima assemblea generale ordinaria del Sinodo dei vescovi, dedicata al ministero episcopale. Intanto in America latina la sua figura diventa sempre più popolare. Nel 2002 declina la nomina a presidente della Conferenza episcopale argentina, ma tre anni dopo viene eletto e poi riconfermato per un altro triennio nel 2008. Intanto, nell’aprile 2005, partecipa al conclave in cui è eletto Benedetto XVI.
Come arcivescovo di Buenos Aires — tre milioni di abitanti — pensa a un progetto missionario incentrato sulla comunione e sull’evangelizzazione. Quattro gli obiettivi principali: comunità aperte e fraterne; protagonismo di un laicato consapevole; evangelizzazione rivolta a ogni abitante della città; assistenza ai poveri e ai malati. Invita preti e laici a lavorare insieme. Nel settembre 2009 lancia a livello nazionale la campagna di solidarietà per il bicentenario dell’indipendenza del Paese: duecento opere di carità da realizzare entro il 2016. E, in chiave continentale, nutre forti speranze sull’onda del messaggio della Conferenza di Aparecida nel 2007, fino a definirlo «l’Evangelii nuntiandi dell’America Latina».
Poi l’elezione a pontefice il 13 marzo 2013.
I film preferiti da Papa Francesco
Il neorealismo è stato tra i fondamenti di una cultura cinematografica che Papa Francesco ha poi coltivato e arricchito nel corso del tempo e di cui il suo magistero è nitida testimonianza: non sono rare, infatti, le occasioni in cui il Papa ha fatto riferimento a questo o quel film nell’ambito di discorsi e omelie e perfino nei grandi testi del suo magistero. È emersa così l’idea di una intervista al Papa che cerca di comporre un quadro unitario del suo rapporto con il cinema, ma che va anche molto oltre. In questa intervista il Santo Padre afferma la forza testimoniale e documentale delle immagini e dei film, riconoscendo per alcuni di essi il loro valore universale e la loro capacità di interrogare il cuore dell’uomo. Oltre all’intervista a papa Francesco il volume si compone di un saggio nel quale viene proposta una riflessione sull’importanza dello sguardo tra memoria e storia a partire dall’esperienza del neorealismo: un’analisi che guarda al fenomeno neorealista senza pretese filologiche ma allargando volutamente l’interpretazione alla luce delle vicende presenti e delle specifiche riflessioni del Papa su questo cinema. Arricchiscono infine il volume le opere inedite e originali dell’artista Walter Capriotti che reinterpretano alcuni dei capolavori del neorealismo estendendo lo sguardo anche oltre quel cinema. “Vedere è un atto che si compie solo con gli occhi, per guardare occorrono gli occhi e il cuore – ha detto Papa Francesco -. I film neorealisti non sono dei documentari che restituiscono una semplice registrazione oculare della realtà; la restituiscono sì, ma in tutta la sua crudezza, attraverso uno sguardo che coinvolge, che muove le viscere, che genera compassione. È la qualità dello sguardo a fare la differenza, allora come oggi. Quello neorealista non è uno sguardo da lontano, ma uno sguardo che avvicina, che tocca la realtà così com’è, che se ne prende cura e, dunque, che mette in relazione”.
Del suo rapporto con il cinema, Bergoglio parla nell’intervista realizzata da monsignor Dario Edoardo Viganò e pubblicata nel suo libro: “Lo sguardo: porta del cuore. Il neorealismo tra memoria e attualità” (Effatà Editrice). Monsignor Viganò chiede al Papa, nella prefazione del libro, da dove nasce questo suo particolare rapporto col cinema. “Devo la mia cultura cinematografica soprattutto ai miei genitori. Quando ero bambino, frequentavo spesso il cinema di quartiere, dove si proiettavano anche tre film di seguito. Fa parte dei ricordi belli della mia infanzia: i miei genitori mi hanno insegnato a godere dell’arte, nelle sue varie forme”, dice il Pontefice nella prefazione-intervista pubblicata da Vatican News.
“Tra i film che i miei vollero assolutamente che noi conoscessimo c’erano proprio quelli del neorealismo. Tra i dieci e i dodici anni credo di aver visto tutti i film con Anna Magnani e Aldo Fabrizi, tra cui Roma città aperta di Roberto Rossellini che ho amato molto. Per noi bambini in Argentina, quei film sono stati molto importanti, perché ci hanno fatto capire in profondità la grande tragedia della guerra mondiale”, confida il Papa.
Il Papa fa una riflessione: “La difficile situazione che stiamo vivendo, segnata a fondo dalla pandemia, genera preoccupazione, paura, sconforto: per questo servono occhi capaci di fendere il buio della notte, di alzare lo sguardo oltre il muro per scrutare l’orizzonte. Oggi è tanto importante una catechesi dello sguardo, una pedagogia per i nostri occhi spesso incapaci di contemplare in mezzo all’oscurità la «grande luce”.
“I bambini ci guardano è un film del 1943 di Vittorio De Sica che amo citare spesso perché è molto bello e ricco di significati. In tanti film lo sguardo neorealista è stato lo sguardo dei bambini sul mondo: uno sguardo puro, capace di captare tutto, uno sguardo limpido attraverso il quale possiamo individuare subito e con nitidezza il bene e il male”, commenta il Papa.
I libri preferiti di Papa Francesco
Don Chisciotte della Mancia, Il padrone del mondo”di Robert Hugh Benson, “In ritardo sono arrivato per amarti” di Gerard Manley Hopkins, “Adam Buenosayres” di Leopoldo Macheral, “Ricordi del sottosuolo”di Fyodor Dostoevsky, “L’altro, lo stesso”di Jorge Luis Borges, “Esercizi spirituali”, di San Ignacio de Loyola, «La freschezza più amata»di Gerald Manley Hopkins, “Meditazione sulla Chiesa”di Henri de Lubac, “Odi”di Friedrich Hölderlin, “Martin Fierro”di José Hernández, «È arrivato Agostino o il Maestro»di Joseph Malègue, “Eneide”di Virgilio, “L’opposizione polare”Romano Guardini, “Il divino impaziente”di José María Pemán, “Storia del pellegrino”, di San Ignacio de Loyola, “Of the happy age”, di Jorge Milia, “Sul sacerdozio”, di San Agustín, “Memoriale”di Pierre Favre, “Cento poesie”di Nino Costa.
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