Intelligenza Artificiale e “bene comune”: per un ecosistema di comunità
Internet, i social network e oggi l’Intelligenza Artificiale possono essere un rischio oppure un’opportunità. Dipende dalla destinazione che l’uomo vorrà dare e vorrà fare di questo bene immateriale che incide fortemente nella vita politica, sociale e culturale delle nostre comunità.
L’Intelligenza Artificiale (AI), le “macchine pensanti” e tutti gli strumenti dell’innovazione tecnologica, nonostante la loro pervasività e la loro capacità tecnica sempre più evoluta, non potranno mai sostituire l’Intelligenza Naturale (IN) se l’essere umano riuscirà ad innescare processi sociali di “partecipazione collaborativa” (Katzenbach – Smith, 2003), “cooperazione convergente” (H. Jenkins, 1998) e condivisione dei saperi e delle conoscenze.
Fare “communitas” significa costruire un nuovo pensiero digitale che abbia alla base un approccio multidisciplinare ai temi del machine learning, del deep learning e della disinformazione generata, spesso, dall’uso distorto e non etico dell’Intelligenza Artificiale.
Innescare nuove modalità e nuovi processi scientifici e culturali nel mondo delle scienze sociali, ma soprattutto in quello delle comunicazioni sociali, è possibile se costruiamo un ecosistema, ossia un ambiente comunitario, che faccia della interdisciplinarietà e dell’integrazione delle ricerche una risorsa che può essere la migliore risposta all’egosistema ovvero all’individualismo e al tecnocentrismo esasperato che pone la persona umana in secondo piano rispetto all’innovazione tecnologica.
Occorre, però, ripartire da un campo etico e giuridico sviluppando – all’interno del mondo accademico – un progetto di scienze sociali volto a costruire un modello utile a fornire maggiori informazioni circa il rapporto uomo-macchina orientato per il bene comune.
San Giovanni Paolo II, il quale è stato uno studente qui all’Angelicum come noi, e di cui quest’anno ricordiamo i venti anni dal giorno in cui “è salito alla Casa del Padre”, agli albori del Duemila, nel suo messaggio per la Giornata mondiale delle comunicazioni sociali dal titolo “Internet: nuovo forum per proclamare il Vangelo” sottolineava i possibili rischi, ma anche le enormi possibilità delle tecnologie. Nella Lettera Apostolica “Il Rapido Sviluppo” (24 gennaio 2005), tre mesi prima della sua morte, poneva l’accento sui “media come crocevia delle grandi questioni sociali”.
Papa Wojtyla scriveva: “S’impongono alcune scelte riconducibili a tre fondamentali opzioni: formazione, partecipazione, dialogo”. Ed ancora: “Il positivo sviluppo dei media a servizio del bene comune è una responsabilità di tutti e di ciascuno. Per i forti legami che i media hanno con l’economia, la politica e la cultura, è necessario un sistema di gestione che sia in grado di salvaguardare la centralità e la dignità della persona, il primato della famiglia, cellula fondamentale della società, ed il corretto rapporto tra i diversi soggetti”.
Giovanni Paolo II scriveva questo vent’anni fa. Proviamo ad attualizzarlo e chiediamoci: questo vale anche oggi sul fronte dell’Intelligenza Artificiale? Sicuramente sì.
Mettere al centro la persona umana e la sua dignità per pensare, sviluppare e realizzare una governance delle “macchine intelligenti”, dando una risposta etica e giuridica davanti alla pervasività degli strumenti e all’opacità degli algoritmi è possibile.
Fare ecosistema vuol dire rispondere a una chiamata: quella di essere come gli incisori dei sicomori, come il profeta Amos (forse voi sapete che il sicomoro è un albero che produce moltissimi frutti. Ma non hanno alcun sapore, se non li si incide accuratamente e non si lascia fuoriuscire il loro succo affinché divengano gradevoli al gusto).
Fare ecosistema vuol dire essere “incisori di sicomori”, non solo “ad intra” del mondo universitario ed accademico, ma anche “ad extra”, in tutti gli ambiti del vivere civile e sociale, soggetti attivi che con buon senso, competenza e responsabilità pongono al centro il “fattore umano” contro le filter bubble (Eli Parisier) e le echo chambers che, spesso, riducono l’uomo a un mero utente-destinatario di messaggi e di contenuti.
L’uomo inquadrato dentro la “macchina” del consumismo, destinatario inerme di messaggi, informazioni e disinformazioni o, peggio, “un gadget” (J. Lanier) che fa da corollario a chi pone una esasperata fiducia nell’innovazione tecnologica orientata all’affermazione dell’individualismo esasperato, a un “egosistema” generato da una visione distorta della new economy che definisce la persona un “utente” da collocare dentro i gangli di una macchina che tanto fa pensare a quella in cui rimaneva imprigionato Charlie Chaplin nel film “Modern Times”.
Fare “communitas” vuol dire fare “ecosistema”. Pensare a metodi, processi, linguaggi, impostazioni e organizzazioni che puntano allo sviluppo di una “comunità interconnessa” che lavora, sulla scia della Dottrina Sociale della Chiesa, per “il bene comune”.
Per approfondire il Convegno di Studi promosso dalla Pontificia Università San Tommaso d’Aquino – Angelicum
Per ulteriori informazioni: Catholic Tech