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Da discoli a marinaretti, la cultura del mare per navigare la vita

Alberto Conti aveva 16 anni quando il 9 dicembre del 1924 scrisse una lettera indirizzata a Mamerto Camuffo, direttore di nave Scilla, a Venezia. Era desideroso di avere notizie dei suoi ex compagni di classe, di altri “marinetti” che insieme a lui avevano fatto parte di un equipaggio molto speciale che aveva affrontato prove difficili ma che alla fine aveva insegnato a tutti a navigare sulle rotte della vita. Alberto era stato ospite del Pio Albergo Trivulzio di Milano così come Fausto Sacchiero di 17 anni, anch’egli proveniente dall’orfanotrofio lombardo, ed entrambi avevano vissuto l’esperienza di quelle che nella storia e nell’immaginario collettivo saranno ricordate per sempre come “navi asilo”. Nel caso di nave “Scilla” la Regia Marina autorizzò a cedere gratuitamente alla “Società veneta di pesca e acquacoltura” l’imbarcazione che già nel 1904 era stata data in consegna a detta società per “farne sede in Venezia della scuola di pesca e istituirvi un asilo per i figli dei pescatori del litorale Adriatico”. Nate sulla scia delle training ship britanniche della Royal Navy queste scuole galleggianti diventarono luoghi di accoglienza, di educazione e di reinserimento sociale e civile per tanti bambini e ragazzi abbandonati che, specialmente tra le due guerre mondiali, si trovarono alle periferie geografiche ed esistenziali nei quartieri bombardati delle città di mare come Genova, Napoli, Bari e Venezia, in balia della miseria, della fame, della povertà e della criminalità.

In Italia nacque un’esperienza simile, ma ancora più originale di quella inglese, non solo per la capacità degli ufficiali italiani di trasmettere ai giovani le tradizioni della Marina, il rispetto per il mare e i mestieri marinareschi, ma soprattutto per la dedizione e l’impegno dei maestri e degli insegnanti che fondarono questo nuovo metodo educativo. Essi con amore e dedizione cercarono di dare un’istruzione ai piccoli allievi. Questo era stato già sperimentato con la “Nave scuola-officina per discoli” a Genova il 1° dicembre del 1883 con l’intento di coniugare la “vita di mare” con la “redenzione sociale”, due ambiti apparentemente lontani, ma strettamente legati alla vita marinara. Il promotore dell’iniziativa fu Nicolò Garaventa, un docente di matematica presso il Liceo ginnasio “Andrea Doria” di Genova, che intuì nella vita marinaresca un progetto educativo e una effettiva opportunità di recupero e di riscatto sociale per i giovani “marinaretti”. Così nave “Daino”, un brigantino ormai in disarmo che aveva combattuto la guerra navale del 1848 contro l’Austria, fu destinato dalla Regia Marina alla famiglia Garaventa, grazie anche all’interesse del grande ammiraglio Paolo Thaon di Revel. Il veliero fu adattato per accogliere i ragazzi e diventò una nave scuola con il nome prima di “Redenzione” e poi con quello di “Nave Officina Redenzione Garaventa”. La nave restò ancorata a Genova fino al 1904 quando la Regia Marina assegnò al professore Garaventa e ai suoi figli la cannoniera “Sebastiano Veniero” dismessa dal servizio. Il motto di nave Garaventa fu “Ubi charitas ibi Deus” e accolse giovani sbandati di età non superiore ai sedici anni, ma anche molti che avevano scontato già pene detentive. A bordo si imparava a leggere, a scrivere e si apprendevano nozioni di cultura marinara. Quello che i piccoli “marinaretti” imparavano era soprattutto la cura di se stessi e la pulizia dell’imbarcazione, il rispetto per gli altri e per il mare. La nave per tutto il periodo di permanenza a bordo, secondo quanto emerge da diari, lettere e cartoline, diventava per un periodo di tempo la loro casa, il loro rifugio, il loro punto di riferimento, un approdo dopo un girovagare nei sobborghi dei piccoli e grandi centri di un’Italia che correva verso “l’inutile strage” della Prima guerra mondiale.

A Bari, invece, operò la nave-asilo “Eridano” nel periodo a cavallo tra la Grande Guerra e la Seconda guerra mondiale. Ex “Tevere” ed ex mercantile britannico “Edinburgh”, era stata radiata nel 1907 e mantenuta in servizio fino alla fine della guerra come nave deposito. Poi trasferita a Bari e data in gestione all’Opera Nazionale del Patronato (ONP). L’arrivo dell’imbarcazione in Puglia fu voluta fortemente dalla sezione barese della Lega Navale Italiana con la motivazione, inoltrata al Ministero della Marina di “ritrovare un moderno e civile mezzo d’istruzione e di educazione popolare, con l’intento di redimere una quantità di giovanetti abbandonati alle molteplici tentazioni della strada, trasformandoli in artigiani, in marinai”.

La stessa cosa accadde nel 1911 su nave “Caracciolo”, ex “Brillante”, una pirocorvetta a elica che per anni a Napoli fu al centro dell’interesse pedagogico internazionale per lo straordinario esperimento educativo realizzato dalla signora Giulia Civita Franceschi. A bordo di nave “Caracciolo” furono accolti oltre 750 bambini e ragazzi sottraendoli a una condizione di abbandono e restituendoli a una vita sana, civile e dignitosa. Il metodo, apprezzato da Maria Montessori, fu definito dai giornali del tempo come “sistema Civita” per descrivere l’azione educativa volta al recupero di minori a rischio di delinquenza ed esposti a ogni tipo di malattia, che poneva al centro i valori della dignità legata al lavoro, della solidarietà e degli affetti. Nave “Caracciolo” non si limitò ad essere semplicemente una scuola di addestramento ai mestieri marittimi, ma fu piuttosto una “comunità”, in cui ogni fanciullo fu rispettato nei propri bisogni, incoraggiato e valorizzato nella proprie tendenze, ma soprattutto fu luogo in cui i ragazzi riscoprirono il valore della dignità. Un valore intrinseco della cultura del mare che portò a fare dei “marinaretti” persone inserite e impegnate in una società che in un primo momento li aveva dimenticati. Giulia Civita Franceschi, salì a bordo della nave nell’agosto del 1913 e vi rimase fino al 1928, quando questo istituto educativo fu inserito, così come le altre navi-asilo, nell’Opera Nazionale Balilla. Dopo gli anni del “ventennio fascista” le navi-asilo ripresero la loro attività che si concluse negli anni Settanta.

A Cagliari si concretizzò invece l’esperienza della Regia nave-asilo “Azuni”, ex panfilo della Regina Madre, dove nel 1920, all’età di 10 anni viene fu imbarcato Efisio Mattana in qualità di marinaretto. Tra i suoi insegnanti spicca la figura di Giovanni Corrias, eroe a Pola nella Grande Guerra. Mattana nel 1927 si imbarcò come mozzo su navi mercantili e vi rimase fino al 1930, anno in cui fu chiamato in Marina per i 28 mesi di ferma di leva. Partecipò a diverse azioni navali a bordo dei MAS e alla fine del conflitto fu decorato della Croce di guerra e della nomina a Cavaliere dell’Ordine della Repubblica.

L’esperienza delle “navi asilo” fu istituita su proposta dell’ammiraglio Paolo Thaon di Revel, allora ministro della Marina, con decreto 28 giugno del 1912, poi convertito in legge, e prevedeva la costituzione del Consorzio fra Ministero della Marina, dell’Interno, della Pubblica Istruzione e degli enti locali della città di Napoli per l’istituzione e l’esercizio di una nave-asilo sull’unità radiata “Caracciolo”, concessa dallo Stato. Il 21 giugno 1914, un mese prima dello scoppio della Grande Guerra nacque l’Ente Morale Opera Nazionale di Patronato per le navi asilo − “Caracciolo” e “Scilla” − con sede a Roma presso il Ministero della Marina.

“L’ammiraglio Thaon di Revel è stato uno degli uomini di maggiore spicco della Marina. Benché abbia prestato servizio nella prima metà del ‘900 le sue idee furono tanto lungimiranti che ancor oggi possono considerarsi attuali – spiega il comandante Leonardo Merlini, capo sezione editoria dell’Ufficio storico della Marina militare -. Moltiplicare ed adattare le attività alle più svariate congiunture fu il principio con il quale l’ammiraglio rivoluzionò oltre un secolo fa la Marina Militare, conferendole quella complessità di articolazioni e di competenze che ancora oggi la caratterizzano. Egli fu uno dei precursori del concetto di capacità dual use e la costituzione delle navi asilo ne fu una delle tante applicazioni. Generazioni di bambini furono tolti dalla strada e avviati a una vita onesta e dignitosa, spesso ricca di soddisfazioni”.

Al riguardo molto interessante è l’attività svolta dai “marinaretti” non solo a bordo, ma anche a terra. Infatti, nel caso di nave “Scilla” c’era la possibilità di utilizzo di un edificio “nel quale, col valido aiuto del Ministero della Marina, del Patronato Provinciale per gli Orfani di guerra” e del “Consorzio delle Scuole di avviamento professionale furono sistemate le officine Meccanici, Velai e Attrezzatori Navali”. A queste due ultime, per maggiore efficacia dell’insegnamento, furono affiancate l’istruzione pratica in mare e l’imbarco, per chi ne faceva richiesta e per i “marinaretti” ormai diventati giovani ed esperti l’imbarco su piccole unità della Regia Marina adibite a ricerca di pesca e a studi talassografici.

La storia delle “navi-asilo” e di ciascuno dei marinaretti che in quegli anni furono “arruolati” alla vita del mare e tratti in salvo dalla miseria e dal malaffare, potrebbero essere uno dei tanti racconti di Richard Henry Dana, di Joseph Conrad e di Ernest Hemingway. Ognuno di questi ragazzi una volta adulti, padri e nonni non tennero mai nascosti gli insegnamenti ricevuti sopra e sotto coperta di quei brigantini che mai, forse, in tutta la loro attività di navigazione, erano stati così tanto investiti dalle onde del mare e dalle raffiche di vento, quanto le voci di quei discoli ed impertinenti che da “simpatiche canaglie” diventarono marinaretti e uomini pronti a dare la vita per gli altri.