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A caccia di criminali sotto copertura. La storia del maresciallo Baudanza

Uno “sbirro” in fiamme gialle sempre a caccia di contrabbandieri, delinquenti e criminali di ogni tipo. Un mago dei travestimenti Nicolò Baudanza, maresciallo della Regia Guardia di Finanza, nato il 6 maggio 1879, che attraverso informatori e confidenti riuscì a sgominare i traffici illeciti che tra la fine dell’800 e gli inizi del ‘900 colpivano al cuore non solo l’economia sana e le finanze dello Stato, ma anche i cittadini. Le sue indagini poliziesche riportano alla memoria uomini al servizio dello Stato come il poliziotto italo-americano Joe Petrosino (30 agosto 1860-12 marzo 1909) e la sua squadra speciale Italian Branch che combatté la “mano nera” negli Stati Uniti oppure Eliot Ness (19 aprile 1903 – 16 maggio 1957),  agente dell’Fbi, cioè del Bureau of Investigation, che operava per conto del Dipartimento del Tesoro Usa durante il periodo del proibizionismo, conosciuto per aver guidato la squadra degli “intoccabili” che mise nel sacco il mafioso Al Capone.

Il maresciallo Nicolò Baudanza

Uomini con le stellette che compresero una regola fondamentale: prima ancora di contrastare le organizzazioni mafiose occorreva combattere la mafiosità e l’omertà. E se Petrosino e Ness sono conosciuti al grande pubblico per via dei libri, degli sceneggiati televisivi degli anni Settanta e Ottanta e di film da Premio Oscar come The Untouchables (1987), la storia di Nicolò Baudanza emerge dagli archivi polverosi e dai fogli di servizio, dai ritagli dei quotidiani e dei periodici del tempo. Baudanza e il suo “drappello speciale” diventò il terrore di organizzazioni malavitose che si stavano consolidando per costruire sempre di più l’architettura mafiosa in Sicilia. Per questo venne ostacolato da gangster, da untori e da delatori. Ma il maresciallo di Caltagirone non si perse mai d’animo. Era un sottufficiale che “si fece da solo”, non frequentò alcuna scuola speciale, non fece nessun apprendistato presso altre forze di polizia in Italia e all’estero. Al contrario fece forza sull’ingegno e sulla cultura, sulla sua voglia di apprendimento, sulla sua innata curiosità che lo aveva animato sin dalla fanciullezza e sul suo intuito da vero e proprio segugio. Siracusa, Napoli, Palermo, Bolzano e Trento, Brindisi e la Calabria furono alcune delle numerose destinazioni dove venne inviato per risolvere casi difficili e a volte pericolosi. Nel caso della città partenopea, come scrivono le cronache del tempo, “il Comandante Maggiore Giuseppe Di Macco, attraverso alcuni informatori, era venuto a conoscenza che un certo Fiorino Improta ed altri poco raccomandabili figuri avrebbero tentato attraverso sotterfugi ed espedienti, di notte, ma in un giorno imprecisato, di introdurre in città, dal varco Sant’Antonio alle Paludi, alcuni generi di contrabbando, depositandoli momentaneamente nell’abitazione di un certo Lavarone, sita in un covo di malviventi del quartiere Borgo Loreto”.

Tra gli strumenti degli investigatori una macchina per scrivere utile a stilare i rapporti

Il maggiore Di Macco radunò gli uomini e diede l’ordine di appostarsi senza sosta e sfruttare la sorpresa nel momento in cui, secondo la soffiata ricevuta, i delinquenti si sarebbero palesati. Nell’idea del maggiore Di Macco, poi resa operativa dal maresciallo Baudanza, oltre al fermo dei contrabbandieri, c’era anche il disegno di una perquisizione di notte ed in luogo abitato. Un’operazione di eccezionale importanza, non tanto per l’entità del fermo, ma per le circostanze speciali che lo accompagnarono. Infatti il “drappello speciale”, guidato da Baudanza, da gruppo di uomini addestrati proprio dal coraggioso investigatore siciliano, si mise subito al lavoro. In una di queste notti Baudanza e la guardia Schembri, che si erano ben truccati e camuffati agirono di sorpresa e arrestarono i fratelli Improta, i quali col contrabbando che portavano sotto gli abiti, cercavano di introdursi di soppiatto nella casa del favoreggiatore. Intanto i due contrabbandieri, pericolosissimi pregiudicati, protetti da uno straordinario agglomeramento di persone, cercarono in tutti i modi di dileguarsi, impedendo così si procedesse a loro carico. Gli altri militari della Guardia di Finanza, ben collocati e distribuiti, da Baudanza in sinergia con il suo capitano Fiorineschi, non mancarono di colpire a fondo bloccando i criminali. Ma c’è di più Baudanza e la guardia Schembri con eccezionale coraggio, risolutezza e sangue freddo dovettero affrontare e disperdere da soli la folla, con l’evidente pericolo di essere da questi accoppati. Solo in tal modo riuscirono a non avere la peggio e a non farsi sfuggire i contrabbandieri.

Un episodio che rende l’idea come Baudanza e il suo “drappello speciale”, con evidenti prove ed esponendosi a sacrifici e pericoli di ogni genere, senza lasciare nulla al caso, riusciva a reprimere le azioni di esperti frodatori, i quali si avvalevano anche dell’omertà e della copertura delle persone. Grazie a queste doti Baudanza prese consapevolezza di quanto delicata, incisiva e determinante poteva essere l’indagine giudiziaria. Un’attività che non avrebbe dovuto trascurare nessun particolare e per la quale si sarebbe dovuto far ricorso a una vera e propria metodologia, fatta di stratagemmi, astuzie e tanta immaginazione. Baudanza e il suo “drappello speciale” proseguirono per tanti anni nella lotta al crimine. Si trasformarono in “Squadra Speciale” e infine in “Brigata Speciale di Polizia Finanziaria”.

Tracce e impronte sempre utili per il lavoro degli investigatori del “drappello speciale”

Diventarono un modello per gli investigatori del tempo. Le cronache dell’Ottocento, parte delle quali riportate dal Monitore Doganale, una rivista pubblicata dalla Direzione Generale delle Gabelle a partire dal 1866, e poi da Il Finanziere, rivista del Corpo della Guardia di Finanza, che aprì i battenti nel 1886, forniscono innumerevoli informazioni e documentano un’infinità di operazioni di servizio messe a segno dalle Guardie Doganali e dai Finanzieri dopo il 1881, grazie proprio alle “abili investigazioni”, così come emerge dalle numerose “corrispondenze” indirizzate alle redazioni di tali riviste dagli angoli più sperduti del Paese. Nicolò Baudanza, antesignano di una cultura investigativa propria dei finanzieri, riuscì a risolvere i casi giudiziari più complessi. Quelli che altri non erano riusciti a risolvere e che tra la fine dell’Ottocento fino all’Unità d’Italia erano collaterali alle attività criminose quali rapine, furti, abigeato, atti di malandrinaggio e omicidi. Non mancava poi il contrabbando di polvere pirica, le gestione del gioco d’azzardo e delle attività illegali in regioni come la Sicilia, la Sardegna, la Campania, la Puglia e la Calabria. Baudanza e il suo “drappello speciale” puntarono a colpire attraverso spie e fiancheggiatori proprio il contrabbando da sempre visto come un “buon affare” dalle organizzazioni malavitose come la mafia, la camorra, la ‘ndrangheta e prima ancora dal banditismo.

Per conoscere meglio la storia della Guardia di Finanza