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21 settembre: in memoria del giudice Rosario Livatino è beato

Una vita per la giustizia e la legalità. Un testimone che nel suo impegno di magistrato seppe coniugare Fede e Diritto, afflato evangelico e passione per una giurisprudenza che prima di ogni cosa deve trasmettere la passione per il rispetto delle regole in una società in cui lo Stato deve essere percepito come bene comune, specialmente in Sicilia.

Primo e unico figlio di Vincenzo Livatino e Rosalia Corbo, Rosario Angelo Livatino nacque a Canicattí, Provincia e Arcidiocesi di Agrigento, il 3 ottobre 1952 e fu portato al fonte battesimale il 7 dicembre successivo nella locale chiesa parrocchiale di San Pancrazio. T Terminati gli studi ginnasiali-liceali dal 1958 al 1971, si iscrisse alla Facoltà di Giurisprudenza presso l’Università di Palermo, dove il 9 luglio 1975 conseguì la Laurea con il massimo dei voti. Sulla tesi scrisse il suo motto: “Sub tutela Dei”. Superato il concorso per entrare in Magistratura, fu impiegato presso l’Ufficio del Registro di Agrigento. Dal 18 luglio 1978 lo troviamo attivo per il tirocinio presso il Tribunale di Caltanissetta. Il 24 settembre 1979 gli vennero conferiti gli impegni giurisdizionali con l’immissione in ruolo e con l’incarico di Uditore giudiziario con funzioni di Sostituto Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Agrigento. Il 21 agosto 1989 gli fu affidato l’incarico di Giudice della sezione penale presso lo stesso Tribunale di Agrigento, che egli svolse per poco più di un anno. La mattina del 21 settembre 1990, infatti, mentre si recava senza scorta con la sua Ford Fiesta da Canicattì al Tribunale di Agrigento, cadde per mano di un commando di killer mafiosi, agli ordini delle Stidde di Canicattì e Palma di Montechiaro, di Cosa Nostra, e che odiavano la sua fede e la sua integrità nell’esercizio della giustizia.

Partendo dalle poche foto esistenti del Servo di Dio Rosario Angelo Livatino, si è voluto realizzare una tela di cm 80×100 che ne raccontasse, l’uomo, il magistrato e il credente. La toga sulle spalle richiama al progetto di Dio che Rosario Livatino abbraccia come servizio all’uomo, alla verità e alla giustizia. La mano sinistra, dal lato del cuore, è poggiata su Vangelo e Codice Penale, a volere rappresentare come si sia lasciato guidare, come magistrato, da punti di riferimento certi. L’agendina in mano, da cui non si separava mai e sulla quale annotava le sue riflessioni e sulla quale annotava ripetutamente STD, sub tutela Dei. La palma, simbolo del martirio, è posta sullo sfondo, quale segno del progetto di Dio. La stessa palma sembra tendere verso il Crocifisso a testimoniare quel processo di conformazione a Cristo. L’artista. Maria Cardella, meglio nota come Mariella, nasce ad Agrigento nel 1975 e cresce a Raffadali dove si dedica per passione all’arte esercitando con assidua ricerca di colori e luci, la pratica della pittura ad olio. Pittrice autodidatta e amatoriale, esordisce nel 2002 in mostre collettive, personali e concorsi, ottenendo importanti consensi e riconoscimenti da parte del pubblico e della critica.

“Nonostante le difficoltà legate alla pandemia consideriamo questo giorno come un regalo prezioso della divina provvidenza che rende ancora più bello il volto della chiesa agrigentina. Sono passati quasi trent’anni dallo storico grido di San Giovanni Paolo II nella valle dei Templi, quando, dopo aver incontrato i genitori del giudice e a conclusione della solenne celebrazione eucaristica, invitava in modo accorato i mafiosi a convertirsi – ha detto nel suo saluto Francesco Montenegro, Arcivescovo di Agrigento, nel giorno della beatificazione -. Da allora la nostra chiesa ha sentito il bisogno di conoscere meglio la figura del giovane giudice. Le testimonianze raccolte e la ricostruzione della vita del beato Livatino ci hanno spinto ad aprire la fase diocesana del processo di beatificazione. Alla sua conclusione, la documentazione è stata consegnata alla Congregazione dei Santi per i passaggi previsti e ha avuto la conferma nella scelta di Papa Francesco di dichiararlo martire. Si tratta del primo giudice che viene riconosciuto martire a motivo della fede professata e testimoniata fino all’effusione del sangue. Quanto abbiamo vissuto ci responsabilizza a testimoniare con coraggio il Vangelo con una vita di fede semplice e credibile come quella del giudice Livatino. Speriamo che questa nostra terra di Sicilia, che purtroppo ancora soffre a motivo della mentalità mafiosa, faccia tesoro di questa lezione”.

Il pensiero e la preghiera, ha aggiunto Montenegro “non possono non andare ai tanti magistrati, uomini delle forze dell’ordine, politici e a quanti altri sono state vittime della violenza dei malavitosi. Ma anche a coloro ai quali era rivolto il grido di Papa Giovanni Paolo II”.

La celebrazione è stata presieduta dal cardinale Marcello Semeraro, Prefetto della Congregazione per le Cause dei Santi e delegato pontificio. Concelebranti il cardinale Francesco Montenegro, arcivescovo di Agrigento, monsignor Alessandro Damiano, arcivescovo coadiutore, monsignor Salvatore Gristina presidente della Conferenza Episcopale Siciliana e monsignor Vincenzo Bertolone, Postulatore, arcivescovo di Catanzaro- Squillace. Presenti 21 vescovi siciliani, tra cui l’arcivescovo emerito di Agrigento monsignor Carmelo Ferraro e i vescovi di origine agrigentina monsignor Ignazio Zambito e monsignor Salvatore Muratore

32 i sacerdoti presenti, in rappresentanze delle 9 foranie della Diocesi di Agrigento. Presente il parroco di San Domenico di Canicattì don Salvatore Casà e don Giuseppe Livatino, postulatore diocesano della causa di beatificazione. Tra i sacerdoti anche don Luigi Ciotti, presidente di Libera, che sulla figura del “giudice ragazzino” ha sottolineato che “Rosario Livatino vive nella memoria di chi l’ha conosciuto. Vive nel lavoro della cooperativa di giovani che porta il suo nome, e coltiva le terre confiscate ai boss. Vive nell’ammirazione di tanti magistrati, giuristi e studenti che a lui si ispirano nel coltivare l’amore per il diritto e soprattutto per i diritti di ogni persona. Vive nell’impegno di chiunque si spenda contro ogni forma di prepotenza, violenza e sopraffazione dell’uomo sull’uomo”.
Rosario Livatino non era un uomo dalle grandi certezze, ma piuttosto dalle grandi e coraggiose domande. “Il dubbio, la domanda profonda e feconda, erano il motore del suo pensiero e la premessa del suo agire. Sia nella fede che nella professione – ha aggiunto don Luigi Ciotti -. Non gli interessavano una fede esibita o una carriera brillante. Aderiva con sincerità di cuore al Vangelo e lo incarnava nelle sue scelte di vita. Con altrettanta sincerità aderiva alla legge per farla rispettare, sapendo però che la legge è sempre solo un mezzo, mentre il fine è la giustizia.
L’abitudine a interrogare senza sconti la propria coscienza non lo rendeva incerto nell’azione. Era anzi un magistrato risoluto, capace di portare avanti inchieste scomode e imboccare strade innovative, ad esempio riguardo alla confisca dei beni mafiosi”. Un’altra sua caratteristica era l’enorme senso di responsabilità.
“Si sentiva responsabile verso lo Stato e verso il ruolo di tutore della legge che gli aveva affidato – ha detto Ciotti -. Ma si sentiva tanto più responsabile verso le persone, i loro diritti e la loro dignità. Le sue bussole erano il Vangelo e il Codice, che sempre teneva a portata di mano. Nei mesi prima dell’omicidio, era consapevole dei rischi che stava correndo. E scriveva: “vedo scuro nel mio futuro”. Il suo coraggio nell’accettare la possibilità della morte non va però confuso con un’aspirazione a morire. Era innamorato della vita, come tutti coloro che vivono senza risparmio, perché la vita non si può risparmiare ma soltanto appunto vivere più o meno intensamente”.

Tra le autorità civili (rappresentati della politica e delle istituzioni nazionali, regionali e locali) e militari, una cinquantina, il presidente della Regione Siciliana Nello Musumeci, il vicepresidente del Consiglio Superiore della Magistratura David Ermini, il sottogretario al ministero dell’Interno Nicola Molteni, il Procuratore generale antimafia Federico Cafiero De Raho. Presenti anche il sindaco della città di Agrigento Francesco Micciché e di Canicattì Ettore Di Ventura.

Tra fede e diritto

Nel reliquiario è contenuta la camicia indossata dal beato Rosario Angelo Livatino il giorno in cui venne ucciso. Il reliquiario è stato realizzato in argento martellato e cesellato. Peso dell’argento gr. 1240. I libri nascono da due lastre sagomate e fissate con delle lastre perpendicolari rigate che simulano le pagine. Su un telaio che segue il perimetro della teca sono state saldate le palme che fungono da sostegno e fissano la parte superiore del reliquiario.
Le pagine e le scritte sono dorate con doratura 24K. Realizzato dalla ditta Amato sotto la direzione di Alessandro Staiano (Cesellatore: Amato Filippo; Montatore: Romeo Elio Argentatore: Barreca Salvino).

Rosario Livatino, testimone di speranza: una biografia

La vita. Rosario Livatino è nato a Canicattì il 3 ottobre 1952, dal papà Vincenzo, laureato in legge e pensionato dell’esattoria comunale, e dalla mamma Rosalia Corbo. Rosario conseguì la laurea in Giurisprudenza all’Università di Palermo il 9 luglio 1975 a 22 anni col massimo dei voti e la lode. Il 21 aprile ’90 conseguì con la lode il diploma universitario di perfezionamento in Diritto regionale. Giovanissimo entra nel mondo del lavoro vincendo il concorso per vicedirettore in prova presso la sede dell’Ufficio del Registro di Agrigento dove restò dal 1° dicembre 1977 al 17 luglio 1978.

Nel frattempo però partecipa con successo al concorso in magistratura e superatolo lavora a Caltanissetta quale uditore giudiziario passando poi al Tribunale di Agrigento, dove per un decennio, dal 29 settembre ’79 al 20 agosto ’89, come Sostituto Procuratore della Repubblica, si occupò delle più delicate indagini antimafia, di criminalità comune ma anche (nell’85) di quella che poi negli anni ’90 sarebbe scoppiata come la “Tangentopoli siciliana”. Fu proprio Rosario Livatino, assieme ad altri colleghi, ad interrogare per primo un ministro dello Stato. Dal 21 agosto ’89 al 21 settembre ’90 Rosario Livatino prestò servizio presso il Tribunale di Agrigento quale giudice a latere e della speciale sezione misure di prevenzione.

Dell’attività professionale di Rosario Livatino sono pieni gli archivi del periodo non solo del Tribunale di Agrigento ma anche degli altri uffici gerarchicamente superiori. Rosario Livatino fu ucciso, in un agguato mafioso, la mattina del 21 settembre ’90 sul viadotto Gasena lungo la SS 640 Agrigento-Caltanissetta mentre, senza scorta e con la sua auto, si recava in Tribunale. Per la sua morte sono stati individuati, grazie al supertestimone Pietro Ivano Nava, i componenti del commando omicida e i mandanti che sono stati tutti condannati, in tre diversi processi nei vari gradi di giudizio, all’ergastolo con pene ridotte per i “collaboranti”.

Il pensiero. Nell’agenda di Livatino del 1978 c’è un’ invocazione sulla sua professione di magistrato, datata 18 luglio, che suona come consacrazione di una vita: “Oggi ho prestato giuramento: da oggi sono in magistratura. Che Iddio mi accompagni e mi aiuti a rispettare il giuramento e a comportarmi nel modo che l’educazione, che i miei genitori mi hanno impartito, esige”. Fede e diritto, come Livatino spiegò in una conferenza tenuta a Canicattì nell’aprile 1986 ad un gruppo culturale cristiano, sono due realtà “continuamente interdipendenti fra loro, sono continuamente in reciproco contatto, quotidianamente sottoposte ad un confronto a volte armonioso, a volte lacerante, ma sempre vitale, sempre indispensabile”.

Rifacendosi ad alcuni passi evangelici, Livatino osservava come Gesù affermi che “la giustizia è necessaria, ma non sufficiente, e può e deve essere superata dalla legge della carità che è la legge dell’amore, amore verso il prossimo e verso Dio, ma verso il prossimo in quanto immagine di Dio, quindi in modo non riducibile alla mera solidarietà umana; e forse può in esso rinvenirsi un possibile ulteriore significato: la legge, pur nella sua oggettiva identità e nella sua autonoma finalizzazione, è fatta per l’uomo e non l’uomo per la legge, per cui la stessa interpretazione e la stessa applicazione della legge vanno operate col suo spirito e non in quei termini formali”.

Ancora su questo aspetto, Levantino dichiarava: “Cristo non ha mai detto che soprattutto bisogna essere ‘giusti’, anche se in molteplici occasioni ha esaltato la virtù della giustizia. Egli ha, invece, elevato il comandamento della carità a norma obbligatoria di condotta perché è proprio questo salto di qualità che connota il cristiano”. Rispetto al ruolo del magistrato, nella stessa conferenza, Livatino affermava: “Il compito del magistrato è quello di decidere. Orbene, decidere è scegliere e, a volte, tra numerose cose o strade o soluzioni. E scegliere è una delle cose più difficili che l’uomo sia chiamato a fare. Ed è proprio in questo scegliere per decidere, decidere per ordinare, che il magistrato credente può trovare un rapporto con Dio. Un rapporto diretto, perché il rendere giustizia è realizzazione di sé, è preghiera, è dedizione di sé a Dio. Un rapporto indiretto per il tramite dell’amore verso la persona giudicata”.

Hanno detto di lui. Il Papa, il 9 maggio 1993, Giovanni Paolo II in occasione della sua visita pastorale, in Sicilia il 9 maggio del 1993, dopo aver incontrato ad Agrigento i genitori di Livatino, dirà degli uccisi dalla mafia: “Sono martiri della giustizia e indirettamente della fede”. Nella messa di commiato, il suo vescovo lo descrisse come giovane “impegnato nell’Azione Cattolica, assiduo all’Eucaristia domenicale, discepolo fedele del Crocifisso”. E’ attestato il suo impegno affinché, nell’aula delle udienze, in tribunale, ci fosse un crocifisso. Ogni mattina, prima di entrare in tribunale, andava a pregare nella vicina chiesa di San Giuseppe. (Fonte: CEI – 4° Convegno Ecclesiale di Verona)

Libri e Film su Rosario Livatino

Tra i film che raccontano la storia vera del giovane Sostituto Procuratore della Repubblica che nella Sicilia degli anni Ottanta decide di intraprendere la sua personale battaglia contro la mafia in un clima di omertà e copertura c’è quello di Alessandro De Robilant con Giulio Scarpati e Sabrina Ferilli dal titolo “Il giudice ragazzino”.  E’ possibile rivederlo su RaiPlay (clicca qui)

Anche il documentario “Luce verticale. Rosario Livatino. Il martirio”, di Salvatore Presti, ripercorre la vita del magistrato siciliano partendo proprio da quel 21 settembre 1990.  Come ogni giorno Rosario Livatino, giovane giudice siciliano, percorre, a bordo della sua fiesta bordeaux, la strada statale 640 che da Canicattì lo porta ad Agrigento. È l’ultimo giorno della sua esistenza. E nella mente scorre tutta la sua vita, attraverso i volti e le voci di quanti lo hanno amato e conosciuto. A parte il clamore seguito all’assassinio, la giovane età del magistrato, la crudeltà della mafia e tutte le altre notizie che potevano generare la cosiddetta “audience”, il mondo della comunicazione lasciò ben presto la figura di Livatino agli storici della mafia. Scavando nell’esistenza di Rosario Livatino si scopre che la sua era una vita “normale”, il suo eroismo non aveva tratti che coincidevano con le categorie contemporanee dello “spettacolo”. E tuttavia attraverso quelle poche notizie date dai telegiornali e qualche anno dopo dal film “Il giudice ragazzino” di Alessandro Di Robilant (1993) tratto dall’omonimo libro di Nando Dalla Chiesa, trapelava da quella figura qualcosa di speciale. Un non detto da cui pulsavano, inspiegabilmente, lampi di una Bellezza non immediatamente raccontabile. Tutti, allora, colsero questi lampi: cronisti, intellettuali e gente comune. Ma i riflettori si spensero lo stesso. Da quella Bellezza inesprimibile, da quel desiderio che ha il gusto dell’infinito parte questo lavoro su Rosario Livatino,”Un martire della giustizia e, indirettamente, anche della fede” (Giovanni Paolo II).

Il trailer

Tra i libri da leggere di vecchia e nuova pubblicazione c’è “Rosario Livatino. L’uomo, il giudice e il credente” di Giuseppe Mistretta (Edizioni Paoline)dove si parla anche delle agende che il giudice aggiornava ogni giorno dal 1978 e la ricostruzione dell’agguato, tramite le sentenze dei processuali. L’opera, inoltre, approfondisce la fede cristiana di Livatino. Nella seconda parte sono riportate le uniche due relazioni che il giudice tenne in pubblico. La prima è il suo testamento spirituale sul ruolo del giudice. La seconda è il manifesto del suo impegno di magistrato credente.
“Il giudice ragazzino: Storia di Rosario Livatino assassinato dalla mafia sotto il regime della corruzione” (Einaudi) di Nando Dalla Chiesa che ricostruisce, in un racconto fatto di partecipazione e di testimonianza, la biografia personale e professionale di Livatino nell’arco di tutti gli anni Ottanta. Alla vicenda del magistrato si intreccia la ricostruzione dei casi più clamorosi e delle polemiche più dirompenti che hanno contrapposto, nell’arco del decennio, mafia, società civile e istituzioni, troppo spesso nel segno di un attacco diretto all’attività di quei “giudici ragazzini” mandati a rappresentare lo Stato in prima linea. Se la vicenda di Livatino è infatti centrale nel libro, di grande importanza è, per comprenderne davvero i contorni, il concetto di “regime della corruzione” attraverso cui Nando dalla Chiesa descrive, non risparmiando nomi ed episodi precisi, quella discreta connivenza fra politica, intellettuali, mass media e mafia che sola può garantire, attraverso la manipolazione dell’opinione pubblica, il successo dei poteri criminali.

“Io sono nessuno” (Rizzoli) è il libro di Piero Nava. Un eroe dimenticato del nostro Paese. Un eroe senza volto, ma un eroe vero. Brillante agente commerciale di una ditta del Nord Italia, il 21 settembre 1990 percorre la strada tra Enna e Agrigento per raggiungere un cliente. Pur guidando una Lancia Thema fiammante, va piano per un problema a una ruota. È così che vede e registra nella memoria una strana scena. Prima due ragazzi su una moto da cross che lo superano sgommando, poi dietro la curva una Fiesta incidentata e come una rissa, un terzo individuo, pistole, l’uomo della macchina che fugge giù dalla scarpata, gli altri che lo inseguono. Nava pensa a una rapina e cerca subito qualcuno della Polizia. Non sa ancora, in quel momento, che la sua vita sta per cambiare per sempre. Poco dopo, in commissariato apprende che quello a cui ha testimoniato è il feroce omicidio di un giovane giudice coraggioso, Rosario Livatino, uno che “stava dando fastidio”. Siamo all’inizio dell’escalation che due anni dopo porterà agli attentati contro Falcone e Borsellino. E quel giorno è proprio Falcone a far intuire a Nava che lui e la sua famiglia si trovano in estremo pericolo, devono nascondersi, anzi meglio sparire, soprattutto se lui confermerà la sua preziosa testimonianza. Nava non ha dubbi: dire la verità è l’unica scelta possibile. E la sua verità porterà i killer all’ergastolo. Tutto ciò, però, ha un prezzo altissimo per lui e i suoi familiari, perdere la propria identità, il lavoro che stava garantendo loro agio e soddisfazioni, la casa, le amicizie, le relazioni. Ha inizio così la vita eroica e dedita alla Giustizia che Nava racconta in questo libro importante e denso di emozione, in un alternarsi di dramma e speranza, paura e orgoglio per aver fatto il proprio dovere. Una vera odissea umana, resa ancor più difficile da un buco legislativo che fino al 2018 omologava i pentiti ai veri testimoni di Giustizia come lui. Eroi “oscuri” ma esemplari per ogni cittadino. Prefazione di Rosy Bindi.

Due ragazzi in un piccolo paese della Sicilia fanno i conti con loro stessi e la realtà che li circonda. E’ la premessa del libro “Rosario Livatino. La lezione del giudice ragazzino” di Lilli Genco e Alessandro Damiano (Il Pozzo di Giacobbe). Grazie a un progetto scolastico si mettono sui passi del giudice Rosario Livatino. Un personaggio normale, che non ha nulla di eroico, ucciso in maniera brutale da una mafia ribelle, ma la cui conoscenza li porterà a scoprire un drammatico segreto e ad affrontare la sfida di crescere scegliendo da che parte stare. Con materiali per l’approfondimento e “Pagine per te”. Con un messaggio di Papa Francesco ai ragazzi e alle ragazze.

Toni Mira, nel libro “Rosario Livatino. Il giudice giusto” ha compiuto un ampio lavoro di indagine intorno alla figura dell’uomo, del cittadino, del servitore dello Stato, per offrirci la possibilità di un incontro faccia a faccia con un personaggio che è un altissimo esempio di valore civile e che scuote le coscienze di tutti noi ben più di quanto farebbe un “santo da immaginetta-. Livatino in preghiera, sì, Livatino guidato da un fortissimo senso della giustizia e della misericordia divine… ma soprattutto Livatino professionista, magistrato competente, concentrato e abile. L’uomo di legge che guadagna sul campo rispetto e autorevolezza. L’uomo scomodo per le mafie e forza trainante nel contrasto alla malavita. Un incontro vivo, emozionante e istruttivo, reso possibile dall’ascolto di molti testimoni: colleghi, collaboratori nelle indagini, persone informate sui fatti. Al termine del percorso vengono pubblicati integralmente tre discorsi di Livatino (uno dei quali inedito) che, in circostanze e su temi diversi, ci fanno scoprire la sua voce, il suo pensiero, i suoi ideali. ” Un uomo che ancora, nell’esempio e nella memoria, vive-. Dalla Prefazione di don Luigi Ciotti.

Vincenzo Grienti

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